Il tema del subentro nell’impresa assume una sopravvenuta rilevanza con riguardo a uno specifico luogo normativo, l’art. 2112 c.c.. Nella versione risultante dalle modifiche introdotte in attuazione della DIRETTIVA 2001/23 si attribuisce ivi rilevanza a qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro. Non sembra operarsi qui un mero richiamo al trasferimento volontario di azienda ai sensi degli artt. 2556 ss.; in tal senso orientano soprattutto le applicazioni giurisprudenziali della direttiva di riferimento. Le pronunzie della Corte di Giustizia evidenziano che: - a. la qualifica contrattuale del subentro nell’attività economica organizzata non postula che gli esiti dell’operazione si configurino necessariamente quale effetto negoziale; - b. la sussistenza di un legame contrattuale tra cedente e cessionario può addirittura essere irrilevante per il determinarsi o meno dell’effetto imposto; - c. il problema della latenza dello strumento contrattuale sembra superato ove sia possibile riscontrare che, colui in favore del quale si assume verificata la cessione, eserciti in concreto la medesima impresa già in capo al precedente titolare. Il fenomeno del subentro nell’impresa non va indagato soltanto con riferimento all’impresa individuale, ma anche a quella esercitata in forma societaria, come il legislatore stesso indica attraverso il riferimento alla fusione contenuto nell’art.2112 c.c., potenzialmente evocativo di altre operazioni societarie che realizzino l’effetto del subentro. Le risalenti distinzioni dottrinali tra subentro nell’impresa e trasferimento d’azienda si legano ora ad una sopravvenuta parziale distinzione di disciplina legata a fenomeni che non risultano sempre sovrapponibili, al punto da giustificarsi la proposizione del subentro nell’attività economica organizzata come autonoma fattispecie quoad effectum. Il nuovo corso giurisprudenziale aperto con la sentenza n.549/97 della Cassazione applica l’art.2557 c.c. a casi di cessione di partecipazioni di controllo di società, fondata su un predicato fenomeno di sostituzione nell’impresa. Tale evocata fattispecie non assume però alcuna consistenza autonoma, realizzandosi in definitiva nei casi decisi una mera applicazione in via analogica del divieto di concorrenza di cui all’art. 2557 c.c.. ad un caso - quello della cessione di partecipazioni di controllo - reputato riconducibile per similitudine al trasferimento volontario di azienda. Sono evidenziati taluni limiti e risvolti problematici di tale scelta applicativa. In altra direzione, i casi richiamati dalla giurisprudenza configurano un’ipotesi esemplificativa prorpio di quel subentro nell’impresa che si è visto utile e sufficiente al fine di applicare in via immediata e diretta le prescrizioni di cui all’art. 2112 c.c.: - a) il fatto che l’ex socio dominus avvii un’impresa che configura la titolarità di un’attività economica uguale o analoga a quella facente capo alla società è circostanza che implicitamente attesta, oltre che il pregresso svolgimento da parte di questi di funzioni essenziali nella gestione dell’impresa già in capo alla società, l’indebita utilizzazione di dati e notizie appresi in ragione del ruolo ricoperto nell’ambito della stessa; - b) il danno da indebita utilizzazione di dati e notizie può essere riconducibile ad una violazione del divieto di concorrenza (a carico dell’amministratore, anche di fatto); - c) tale profilo del divieto di concorrenza sembra possa estendersi anche al periodo successivo alla cessazione del rapporto con la società; - d) se e quando sia plausibile il riconoscere e qualificare l’attività del socio dominus come attività gestionale di fatto della società, tale attività subisce la vis attractiva della regolamentazione delle funzioni amministrative di fatto, restando allora anche questi assoggettato al divieto di concorrenza e quindi al divieto di utilizzare dati e notizie appresi nell’espletamento delle funzioni gestionali, per svolgere attività in concorrenza con la società, anche di seguito al trasferimento della partecipazione qualificata. Per tale via risulta comprovata la natura “contrattuale” del subentro nell’impresa oggetto di esame. In chiusura, talune indicazioni applicative, giustapposte alle soluzioni offerte dalla giurisprudenza sull’applicazione analogica in ambito societario dell’art. 2557 c.c.. Può assumersi che la società abbia azione per chiamare in giudizio l’ex socio gerente di fatto per ottenere il ristoro del danno ex art. 2391 ultimo comma. Se e quando poi la nuova disciplina del risarcimento dei danni da violazione di ogni diritto di proprietà industriale possa riguardare anche l’utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di informazioni aziendali riservate, il ricorso all’art. 125 (del Codice della proprietà industriale) potrebbe risultare praticabile anche in ambito societario. Si delineano infine prospettive legate al consolidarsi del subentro nell’impresa. Se in capo all’ex amministratore o in capo all’ex socio, già gerente di fatto si riscontri, in via diretta o indiretta, l’imputazione di un’attività d’impresa che configura la stessa identità di quella riferibile alla società, si comprova in via presuntiva da parte di questi un indebito utilizzo di dati e notizie orientato a realizzare un progressivo subentro nell’impresa. La dimostrazione in via presuntiva di tale utilizzo attesta non solo la pregressa sussistenza di una relazione qualificata tra ex socio e società, ma anche la rilevanza causale che tale relazione può assumere con riguardo al riscontrato subentro dell’impresa in concorrenza avviata rispetto a quella già in capo alla società: in tal senso attesta la sussistenza di quella cessione contrattuale necessaria al fine dell’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 2112 c.c..

Subentro nell'impresa e divieto di concorrenza

BUCCELLATO, Francesco
2011

Abstract

Il tema del subentro nell’impresa assume una sopravvenuta rilevanza con riguardo a uno specifico luogo normativo, l’art. 2112 c.c.. Nella versione risultante dalle modifiche introdotte in attuazione della DIRETTIVA 2001/23 si attribuisce ivi rilevanza a qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro. Non sembra operarsi qui un mero richiamo al trasferimento volontario di azienda ai sensi degli artt. 2556 ss.; in tal senso orientano soprattutto le applicazioni giurisprudenziali della direttiva di riferimento. Le pronunzie della Corte di Giustizia evidenziano che: - a. la qualifica contrattuale del subentro nell’attività economica organizzata non postula che gli esiti dell’operazione si configurino necessariamente quale effetto negoziale; - b. la sussistenza di un legame contrattuale tra cedente e cessionario può addirittura essere irrilevante per il determinarsi o meno dell’effetto imposto; - c. il problema della latenza dello strumento contrattuale sembra superato ove sia possibile riscontrare che, colui in favore del quale si assume verificata la cessione, eserciti in concreto la medesima impresa già in capo al precedente titolare. Il fenomeno del subentro nell’impresa non va indagato soltanto con riferimento all’impresa individuale, ma anche a quella esercitata in forma societaria, come il legislatore stesso indica attraverso il riferimento alla fusione contenuto nell’art.2112 c.c., potenzialmente evocativo di altre operazioni societarie che realizzino l’effetto del subentro. Le risalenti distinzioni dottrinali tra subentro nell’impresa e trasferimento d’azienda si legano ora ad una sopravvenuta parziale distinzione di disciplina legata a fenomeni che non risultano sempre sovrapponibili, al punto da giustificarsi la proposizione del subentro nell’attività economica organizzata come autonoma fattispecie quoad effectum. Il nuovo corso giurisprudenziale aperto con la sentenza n.549/97 della Cassazione applica l’art.2557 c.c. a casi di cessione di partecipazioni di controllo di società, fondata su un predicato fenomeno di sostituzione nell’impresa. Tale evocata fattispecie non assume però alcuna consistenza autonoma, realizzandosi in definitiva nei casi decisi una mera applicazione in via analogica del divieto di concorrenza di cui all’art. 2557 c.c.. ad un caso - quello della cessione di partecipazioni di controllo - reputato riconducibile per similitudine al trasferimento volontario di azienda. Sono evidenziati taluni limiti e risvolti problematici di tale scelta applicativa. In altra direzione, i casi richiamati dalla giurisprudenza configurano un’ipotesi esemplificativa prorpio di quel subentro nell’impresa che si è visto utile e sufficiente al fine di applicare in via immediata e diretta le prescrizioni di cui all’art. 2112 c.c.: - a) il fatto che l’ex socio dominus avvii un’impresa che configura la titolarità di un’attività economica uguale o analoga a quella facente capo alla società è circostanza che implicitamente attesta, oltre che il pregresso svolgimento da parte di questi di funzioni essenziali nella gestione dell’impresa già in capo alla società, l’indebita utilizzazione di dati e notizie appresi in ragione del ruolo ricoperto nell’ambito della stessa; - b) il danno da indebita utilizzazione di dati e notizie può essere riconducibile ad una violazione del divieto di concorrenza (a carico dell’amministratore, anche di fatto); - c) tale profilo del divieto di concorrenza sembra possa estendersi anche al periodo successivo alla cessazione del rapporto con la società; - d) se e quando sia plausibile il riconoscere e qualificare l’attività del socio dominus come attività gestionale di fatto della società, tale attività subisce la vis attractiva della regolamentazione delle funzioni amministrative di fatto, restando allora anche questi assoggettato al divieto di concorrenza e quindi al divieto di utilizzare dati e notizie appresi nell’espletamento delle funzioni gestionali, per svolgere attività in concorrenza con la società, anche di seguito al trasferimento della partecipazione qualificata. Per tale via risulta comprovata la natura “contrattuale” del subentro nell’impresa oggetto di esame. In chiusura, talune indicazioni applicative, giustapposte alle soluzioni offerte dalla giurisprudenza sull’applicazione analogica in ambito societario dell’art. 2557 c.c.. Può assumersi che la società abbia azione per chiamare in giudizio l’ex socio gerente di fatto per ottenere il ristoro del danno ex art. 2391 ultimo comma. Se e quando poi la nuova disciplina del risarcimento dei danni da violazione di ogni diritto di proprietà industriale possa riguardare anche l’utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di informazioni aziendali riservate, il ricorso all’art. 125 (del Codice della proprietà industriale) potrebbe risultare praticabile anche in ambito societario. Si delineano infine prospettive legate al consolidarsi del subentro nell’impresa. Se in capo all’ex amministratore o in capo all’ex socio, già gerente di fatto si riscontri, in via diretta o indiretta, l’imputazione di un’attività d’impresa che configura la stessa identità di quella riferibile alla società, si comprova in via presuntiva da parte di questi un indebito utilizzo di dati e notizie orientato a realizzare un progressivo subentro nell’impresa. La dimostrazione in via presuntiva di tale utilizzo attesta non solo la pregressa sussistenza di una relazione qualificata tra ex socio e società, ma anche la rilevanza causale che tale relazione può assumere con riguardo al riscontrato subentro dell’impresa in concorrenza avviata rispetto a quella già in capo alla società: in tal senso attesta la sussistenza di quella cessione contrattuale necessaria al fine dell’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 2112 c.c..
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