Ciò che ci si è proposti di esaminare in questo lavoro è il rapporto intercorrente tra i diritti di proprietà industriale elencati all’art. 1 del Codice dei diritti di proprietà industriale, segnatamente in riferimento al marchio ed ai brevetti per invenzione e la normativa antitrust. Il denominatore comune delle due normative è l’innovazione e, quindi, l’efficienza, ma è pacifico che proprietà intellettuale e antitrust sono agli antipodi, proprio perché la logica sottesa alla prima è ciò che la seconda vuole combattere. Il caso tipico di trasformazione dell’interfaccia in conflitto si caratterizza per il fatto che la risorsa protetta da diritti di proprietà industriale è di norma condizione d’esercizio di una certa attività economica. Le questioni che ci si è posti di analizzare riguardano da un lato la sussistenza o meno di un obbligo a carico del titolare della privativa di metterla a disposizione dei terzi, laddove i terzi abbiano necessità o interesse all’utilizzo di questa risorsa e, dall’altro, se tale obbligo sia configurabile all’esito di un processo di enforcement o di regolamentazione. Quanto alla prima questione si è analizzato se il titolare della privativa possa essere assimilato al monopolista legale o al monopolista naturale. Movendo dalla giurisprudenza consolidata degli organi giudiziari comunitari e nazionali che escludono che la semplice titolarità di un diritto di proprietà industriale a carico di un determinato soggetto possa ex sé configurare in capo allo stesso la posizione di monopolista ovvero di soggetto avente una posizione dominante, si è concluso che se la semplice titolarità di un diritto di privativa non configura posizione dominante, a fortiori non può configura nemmeno monopolio, né naturale, né legale. Ciò che è necessario valutare è la modalità con cui i diritti insiti nella titolarità della proprietà industriale vengono esercitati; così se è vero che un diritto di proprietà industriale conferisce al titolare determinati diritti di esclusiva, è anche vero che il titolare di questi diritti non deve esercitare gli stessi in modo eccessivo rispetto alla necessità di ottenere il risultato voluto con l’esercizio del diritto stesso. Si è così ritenuto che il criterio dirimente sarebbe in sostanza simile al criterio della essenzialità invocato per l’applicazione della normativa antitrust agli enti pubblici; in base a tale criterio un mero impedimento all’espletamento del servizio non è sufficiente ad escludere l’applicabilità della normativa sulla concorrenza alle imprese definibili come pubbliche, dovendosi ritenere esentabili solo le situazioni in cui la non applicazione di tali disposizioni costituisce l’unico mezzo per lo svolgimento della missione conferita. Trasponendosi tale principio nell’ambito delle “privative”, si è ritenuto che il titolare della privativa potrebbe essere escluso dall’applicazione delle regole di concorrenza, solo nel caso in cui tale esclusione fosse l’unico mezzo per garantire il raggiungimento della funzione essenziale del diritto di privativa medesimo. Ciò porterebbe ad applicare la disciplina antitrust, in tutti quei casi in cui fosse possibile dimostrare che il comportamento posto in essere dal titolare del diritto, avesse quale scopo quello di creare artificiali ripartizioni del mercato limitando la concorrenza, senza che ciò fosse giustificato dalle specifiche esigenze di tutela della proprietà intellettuale (esistenza del diritto ed esercizio dello stesso). Per ciò che riguarda la seconda questione che ci è posti di esaminare ossia se, nonostante il titolare di diritto di proprietà industriale non sia un monopolista né legale, né naturale, e non sia addirittura nemmeno in posizione dominante, per la semplice titolarità del diritto, gravi sullo stesso, o meno, un obbligo di contrarre. L’analisi è stata svolta sia con riguardo ai principi dettati dal Codice dei diritti di proprietà industriale che nell’ambito del diritto antitrust. Anche in tal caso si è ritenuto di rinvenire la soluzione in base dall’uso che della privativa viene fatta ovvero dalle modalità in cui viene operato il suo utilizzo da parte del titolare. Nell’ordinamento italiano non è sancita alcuna forma di regolamentazione preventiva del rapporto esistente fra le due normative e le uniche disposizioni esistenti, non solo nell’ambito del diritto antitrust, ma nell’ambito dello stesso Codice delle proprietà industriali, sono delle disposizioni dirette a regolamentare ex post, in termini di enforcement (di norma posto in essere con lo strumento della licenza obbligatoria ossia di coercizione), il possibile accesso di terzi al diritto di proprietà industriale. L’analisi è stata svolta prendendo in considerazione da un lato i marchi e, dall’altro, i brevetti. Posto che il marchio può essere considerato come lo strumento attraverso il quale il titolare riesce ad assurgere a posizioni di mercato rilevanti acquisendo un potere di mercato, proprio in ragione del capacità distintiva del marchio nel contraddistinguere i propri prodotti o servizi, ci si è posti la domanda di come si possa applicare un obbligo coercitivo di messa a disposizione di un marchio, quando ciò significherebbe sostanzialmente consentire che terzi partecipino alla distintività che dal marchio deriva, in riferimento a un determinato prodotto, creandosi così confusione agli occhi dei consumatori tra prodotti o servizi, e quindi vanificando quello che è lo scopo stesso del marchio. Nel Codice dei diritti di proprietà industriale, non vi è alcuna norma che, a differenza di quanto previsto per i brevetti imponga al titolare del marchio di concedere forzatamente il proprio diritto di marchio a terzi. Le uniche norme assimilabili ad una coercizione sono dettate come conseguenza naturale dell’incapacità, per quanto riguarda il non uso, o della genericità del segno; da tali norme tuttavia deriva la decadenza del marchio, non la sua forzosa compartecipazione in favore dei terzi. Diversa la situazione per ciò che riguarda i brevetti atteso che nell’ambito dello stesso Codice di proprietà industriale è previsto una sorta di enforcement quando il brevetto non viene attuato legittimandosi l’ottenimento da parte di un terzo della licenza obbligatoria. La licenza obbligatoria può essere concessa anche nella ipotesi dell’invenzione dipendente, cosicché il nuovo “inventore dipendente” può ottenere una licenza obbligatoria, che è poi una licenza incrociata. La conclusione che si è tratta è che, anche volendo prescindere dal rapporto esistente tra la proprietà industriale e il diritto antitrust, esistono degli strumenti di enforcement, in riferimento a determinati diritti di proprietà industriale legati al non agire del titolare ovvero alla rilevanza del trovato o alla posizione che il titolare del diritto di proprietà industriale ha all’interno di un determinato mercato, proprio in forza di quel diritto di proprietà industriale. Analogamente, ma per motivi completamente diversi, in riferimento al comportamento che tiene il soggetto titolare del diritto di proprietà industriale, il medesimo strumento di enforcement (ossia la licenza obbligatoria) è previsto nell’antitrust. Sotto questo profilo si è reso necessario analizzare le diverse modalità attraverso le quali in ambito antitrust è prevista la concessione della licenza obbligatoria ossia come rimedio comportamentale o come rimedio necessario, ossia intervento necessario. La misura della licenza obbligatoria come rimedio necessario, può trovare applicazione anche in riferimento ai marchi.. Per ciò che riguarda i brevetti trova, inoltre, applicazione (sia pure con rilevanti dubbi) anche la dottrina dell’essential facility ossia una sorta di terza via tra le licenze di tipo comportamentale e le licenze dettate dal potere di mercato o dal comportamento del titolare dei diritti di privativa. In base a tale dottrina se un determinato soggetto è titolare di una facility, cioè di una risorsa essenziale o di una infrastruttura, ha l’obbligo, a determinate condizioni, di mettere a disposizione dei terzi tale risorsa, quando sostanzialmente tale facility, è assolutamente necessaria per consentire ai terzi di accedere a un determinato mercato, di poter compiere una determinata attività e non è altrimenti reperibile in quel mercato, se non tramite l’accesso che gli viene consentito da parte del titolare stesso. Analizzando le problematiche connesse all’applicazione della dottrina dell’essential facility ai diritti di privativa, si è concluso che tale disciplina soggiace al principio di necessarietà e di utilizzo non eccessivo e, quindi, in guisa di eccezione e non di regola. In esito all’analisi svolta in merito al rapporto intercorrente tra la normativa antitrust ed i beni immateriali si è concluso che tale rapporto non è circoscritto in regole tassative, che il rifiuto di contrarre concernente diritti di privativa è soggetto ad uno standard valutativo più stringente rispetto a quello adottato laddove la medesima condotta riguardi beni tangibili e che, se e in quanto un diritto di proprietà industriale può o possa essere compresso, può esserlo solo in un’ottica di regolamentazione ex post, non ex ante, in maniera coercitiva, dettata da esigenze di mercato, di tutela della concorrenza, di efficienza a beneficio dei consumatori e di accesso ad una determinata risorsa, nella misura in cui il diritto di accesso non sia pregiudizievole per i diritti del titolare della proprietà industriale e questi non abusi dei diritti stessi per distorcere la concorrenza.

Confronto tra esigenze antitrust e proprietà industriale

MARABINI, FEDERICA
2014

Abstract

Ciò che ci si è proposti di esaminare in questo lavoro è il rapporto intercorrente tra i diritti di proprietà industriale elencati all’art. 1 del Codice dei diritti di proprietà industriale, segnatamente in riferimento al marchio ed ai brevetti per invenzione e la normativa antitrust. Il denominatore comune delle due normative è l’innovazione e, quindi, l’efficienza, ma è pacifico che proprietà intellettuale e antitrust sono agli antipodi, proprio perché la logica sottesa alla prima è ciò che la seconda vuole combattere. Il caso tipico di trasformazione dell’interfaccia in conflitto si caratterizza per il fatto che la risorsa protetta da diritti di proprietà industriale è di norma condizione d’esercizio di una certa attività economica. Le questioni che ci si è posti di analizzare riguardano da un lato la sussistenza o meno di un obbligo a carico del titolare della privativa di metterla a disposizione dei terzi, laddove i terzi abbiano necessità o interesse all’utilizzo di questa risorsa e, dall’altro, se tale obbligo sia configurabile all’esito di un processo di enforcement o di regolamentazione. Quanto alla prima questione si è analizzato se il titolare della privativa possa essere assimilato al monopolista legale o al monopolista naturale. Movendo dalla giurisprudenza consolidata degli organi giudiziari comunitari e nazionali che escludono che la semplice titolarità di un diritto di proprietà industriale a carico di un determinato soggetto possa ex sé configurare in capo allo stesso la posizione di monopolista ovvero di soggetto avente una posizione dominante, si è concluso che se la semplice titolarità di un diritto di privativa non configura posizione dominante, a fortiori non può configura nemmeno monopolio, né naturale, né legale. Ciò che è necessario valutare è la modalità con cui i diritti insiti nella titolarità della proprietà industriale vengono esercitati; così se è vero che un diritto di proprietà industriale conferisce al titolare determinati diritti di esclusiva, è anche vero che il titolare di questi diritti non deve esercitare gli stessi in modo eccessivo rispetto alla necessità di ottenere il risultato voluto con l’esercizio del diritto stesso. Si è così ritenuto che il criterio dirimente sarebbe in sostanza simile al criterio della essenzialità invocato per l’applicazione della normativa antitrust agli enti pubblici; in base a tale criterio un mero impedimento all’espletamento del servizio non è sufficiente ad escludere l’applicabilità della normativa sulla concorrenza alle imprese definibili come pubbliche, dovendosi ritenere esentabili solo le situazioni in cui la non applicazione di tali disposizioni costituisce l’unico mezzo per lo svolgimento della missione conferita. Trasponendosi tale principio nell’ambito delle “privative”, si è ritenuto che il titolare della privativa potrebbe essere escluso dall’applicazione delle regole di concorrenza, solo nel caso in cui tale esclusione fosse l’unico mezzo per garantire il raggiungimento della funzione essenziale del diritto di privativa medesimo. Ciò porterebbe ad applicare la disciplina antitrust, in tutti quei casi in cui fosse possibile dimostrare che il comportamento posto in essere dal titolare del diritto, avesse quale scopo quello di creare artificiali ripartizioni del mercato limitando la concorrenza, senza che ciò fosse giustificato dalle specifiche esigenze di tutela della proprietà intellettuale (esistenza del diritto ed esercizio dello stesso). Per ciò che riguarda la seconda questione che ci è posti di esaminare ossia se, nonostante il titolare di diritto di proprietà industriale non sia un monopolista né legale, né naturale, e non sia addirittura nemmeno in posizione dominante, per la semplice titolarità del diritto, gravi sullo stesso, o meno, un obbligo di contrarre. L’analisi è stata svolta sia con riguardo ai principi dettati dal Codice dei diritti di proprietà industriale che nell’ambito del diritto antitrust. Anche in tal caso si è ritenuto di rinvenire la soluzione in base dall’uso che della privativa viene fatta ovvero dalle modalità in cui viene operato il suo utilizzo da parte del titolare. Nell’ordinamento italiano non è sancita alcuna forma di regolamentazione preventiva del rapporto esistente fra le due normative e le uniche disposizioni esistenti, non solo nell’ambito del diritto antitrust, ma nell’ambito dello stesso Codice delle proprietà industriali, sono delle disposizioni dirette a regolamentare ex post, in termini di enforcement (di norma posto in essere con lo strumento della licenza obbligatoria ossia di coercizione), il possibile accesso di terzi al diritto di proprietà industriale. L’analisi è stata svolta prendendo in considerazione da un lato i marchi e, dall’altro, i brevetti. Posto che il marchio può essere considerato come lo strumento attraverso il quale il titolare riesce ad assurgere a posizioni di mercato rilevanti acquisendo un potere di mercato, proprio in ragione del capacità distintiva del marchio nel contraddistinguere i propri prodotti o servizi, ci si è posti la domanda di come si possa applicare un obbligo coercitivo di messa a disposizione di un marchio, quando ciò significherebbe sostanzialmente consentire che terzi partecipino alla distintività che dal marchio deriva, in riferimento a un determinato prodotto, creandosi così confusione agli occhi dei consumatori tra prodotti o servizi, e quindi vanificando quello che è lo scopo stesso del marchio. Nel Codice dei diritti di proprietà industriale, non vi è alcuna norma che, a differenza di quanto previsto per i brevetti imponga al titolare del marchio di concedere forzatamente il proprio diritto di marchio a terzi. Le uniche norme assimilabili ad una coercizione sono dettate come conseguenza naturale dell’incapacità, per quanto riguarda il non uso, o della genericità del segno; da tali norme tuttavia deriva la decadenza del marchio, non la sua forzosa compartecipazione in favore dei terzi. Diversa la situazione per ciò che riguarda i brevetti atteso che nell’ambito dello stesso Codice di proprietà industriale è previsto una sorta di enforcement quando il brevetto non viene attuato legittimandosi l’ottenimento da parte di un terzo della licenza obbligatoria. La licenza obbligatoria può essere concessa anche nella ipotesi dell’invenzione dipendente, cosicché il nuovo “inventore dipendente” può ottenere una licenza obbligatoria, che è poi una licenza incrociata. La conclusione che si è tratta è che, anche volendo prescindere dal rapporto esistente tra la proprietà industriale e il diritto antitrust, esistono degli strumenti di enforcement, in riferimento a determinati diritti di proprietà industriale legati al non agire del titolare ovvero alla rilevanza del trovato o alla posizione che il titolare del diritto di proprietà industriale ha all’interno di un determinato mercato, proprio in forza di quel diritto di proprietà industriale. Analogamente, ma per motivi completamente diversi, in riferimento al comportamento che tiene il soggetto titolare del diritto di proprietà industriale, il medesimo strumento di enforcement (ossia la licenza obbligatoria) è previsto nell’antitrust. Sotto questo profilo si è reso necessario analizzare le diverse modalità attraverso le quali in ambito antitrust è prevista la concessione della licenza obbligatoria ossia come rimedio comportamentale o come rimedio necessario, ossia intervento necessario. La misura della licenza obbligatoria come rimedio necessario, può trovare applicazione anche in riferimento ai marchi.. Per ciò che riguarda i brevetti trova, inoltre, applicazione (sia pure con rilevanti dubbi) anche la dottrina dell’essential facility ossia una sorta di terza via tra le licenze di tipo comportamentale e le licenze dettate dal potere di mercato o dal comportamento del titolare dei diritti di privativa. In base a tale dottrina se un determinato soggetto è titolare di una facility, cioè di una risorsa essenziale o di una infrastruttura, ha l’obbligo, a determinate condizioni, di mettere a disposizione dei terzi tale risorsa, quando sostanzialmente tale facility, è assolutamente necessaria per consentire ai terzi di accedere a un determinato mercato, di poter compiere una determinata attività e non è altrimenti reperibile in quel mercato, se non tramite l’accesso che gli viene consentito da parte del titolare stesso. Analizzando le problematiche connesse all’applicazione della dottrina dell’essential facility ai diritti di privativa, si è concluso che tale disciplina soggiace al principio di necessarietà e di utilizzo non eccessivo e, quindi, in guisa di eccezione e non di regola. In esito all’analisi svolta in merito al rapporto intercorrente tra la normativa antitrust ed i beni immateriali si è concluso che tale rapporto non è circoscritto in regole tassative, che il rifiuto di contrarre concernente diritti di privativa è soggetto ad uno standard valutativo più stringente rispetto a quello adottato laddove la medesima condotta riguardi beni tangibili e che, se e in quanto un diritto di proprietà industriale può o possa essere compresso, può esserlo solo in un’ottica di regolamentazione ex post, non ex ante, in maniera coercitiva, dettata da esigenze di mercato, di tutela della concorrenza, di efficienza a beneficio dei consumatori e di accesso ad una determinata risorsa, nella misura in cui il diritto di accesso non sia pregiudizievole per i diritti del titolare della proprietà industriale e questi non abusi dei diritti stessi per distorcere la concorrenza.
2014
9788824323017
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