Tra le componenti vegetali del paesaggio possiamo annoverare gli alberi e gli arbusti. Per albero si intende generalmente un “vegetale perenne, dotato di un fusto legnoso molto alto, spesso e duro (tronco), e di rami, in genere coperti di foglie”, mentre gli arbusti sono “vegetali simili agli alberi, i cui rami si separano dal tronco centrale molto vicino al terreno, o il cui fusto non è presente del tutto”. Trattasi, comunque, di piante molto diffuse nei nostri paesaggi naturali e rurali, nonché nelle aree a forte antropizzazione. Infatti, la peculiare molteplicità di climi e ambienti che caratterizzano la penisola italiana ha consentito l’insediamento di innumerevoli specie legnose (arboree ed arbustive) autoctone e alloctone adattate, che oggi caratterizzano tutte le nostre Regioni. Dalle fasce litoranee centro-meridionali caratterizzate dalla tipica macchia mediterranea, si arriva alle fasce fitoclimatiche del Picetum e Alpinetum (tra circa 1400 e 2200 m.s.l.) con boschi di conifere (per lo più rappresentate da larici, pini e abeti). Ma gli alberi e gli arbusti sono utilizzati dall’uomo anche a fini economici per produzioni frutticole o per l’arboricoltura da legno, per realizzare consociazioni con funzioni diversificate (da quella puramente estetica a quella ricreativa, ma anche sociale e ambientale), per allestire giardini e parchi pubblici e privati, in città o nelle aree industriali e periurbane. Tutto ciò rappresenta una fonte unica di variabilità genetica vegetale, che, associata a quella animale e microbica, rappresenta un bene non rinnovabile di inestimabile valore biologico (biodiversità). Purtroppo, soprattutto nel corso dell’ultimo secolo, la pressione antropica ha profondamente modificato la composizione floristica dei diversi orizzonti vegetazionali, a causa dell’occupazione di tutti i territori adatti all’agricoltura in pianura ed in collina, mentre in montagna è stata interrotta la copertura boschiva alla ricerca di spazi per le coltivazioni nei versanti meno ripidi e più soleggiati; una buona parte delle aree naturali, trasformate in superfici agrarie, hanno visto il diffondersi delle monocolture su vaste estensioni. Ciò ha modificato profondamente gli ecosistemi e ha comportato la rottura di delicati equilibri biologici, principalmente a causa della forte riduzione della variabilità di essenze erbacee, arbustive ed arboree che, invece, rappresentavano l’habitat naturale di una moltitudine di forme di vita (microrganismi, mammiferi, uccelli, insetti, ecc.). Ma se è vero che l’introduzione di vaste aree coltivate ha determinato una riduzione delle associazioni spontanee originarie, è altrettanto vero che ciò ha avviato un processo di trasformazione del paesaggio, che, nonostante tutto, sta restituendo nuove forme di equilibrio ambientale: se da una parte è vero che si sta assistendo al prevalere delle specie coltivate sulla vegetazione naturale, d’altro canto possiamo senza dubbio affermare che frutteti, vigneti, oliveti e siepi campestri, insieme a ciò che rimane della vegetazione spontanea, costituiscono le “nuove fasce vegetazionali”. All’interno di esse molte essenze legnose, ma anche erbacee, svolgono importanti funzioni nei confronti dell’entomofauna: sono infatti insostituibili fonti di polline e nettare, siti di svernamento per molti insetti utili e fonti di prede e ospiti alternativi. Lo sforzo dovrà essere quello di mantenere nel tempo e nello spazio l’efficienza di questi nuovi ecosistemi, salvaguardando le popolazioni di esseri viventi che in essi intrecciano quotidianamente reciproci rapporti mutualistici e valorizzando i prodotti che da questi scaturiscono.

La componente arborea e arbustiva del paesaggio per la salvaguardia della biodiversità pronuba

MICHELI, Maurizio
2010

Abstract

Tra le componenti vegetali del paesaggio possiamo annoverare gli alberi e gli arbusti. Per albero si intende generalmente un “vegetale perenne, dotato di un fusto legnoso molto alto, spesso e duro (tronco), e di rami, in genere coperti di foglie”, mentre gli arbusti sono “vegetali simili agli alberi, i cui rami si separano dal tronco centrale molto vicino al terreno, o il cui fusto non è presente del tutto”. Trattasi, comunque, di piante molto diffuse nei nostri paesaggi naturali e rurali, nonché nelle aree a forte antropizzazione. Infatti, la peculiare molteplicità di climi e ambienti che caratterizzano la penisola italiana ha consentito l’insediamento di innumerevoli specie legnose (arboree ed arbustive) autoctone e alloctone adattate, che oggi caratterizzano tutte le nostre Regioni. Dalle fasce litoranee centro-meridionali caratterizzate dalla tipica macchia mediterranea, si arriva alle fasce fitoclimatiche del Picetum e Alpinetum (tra circa 1400 e 2200 m.s.l.) con boschi di conifere (per lo più rappresentate da larici, pini e abeti). Ma gli alberi e gli arbusti sono utilizzati dall’uomo anche a fini economici per produzioni frutticole o per l’arboricoltura da legno, per realizzare consociazioni con funzioni diversificate (da quella puramente estetica a quella ricreativa, ma anche sociale e ambientale), per allestire giardini e parchi pubblici e privati, in città o nelle aree industriali e periurbane. Tutto ciò rappresenta una fonte unica di variabilità genetica vegetale, che, associata a quella animale e microbica, rappresenta un bene non rinnovabile di inestimabile valore biologico (biodiversità). Purtroppo, soprattutto nel corso dell’ultimo secolo, la pressione antropica ha profondamente modificato la composizione floristica dei diversi orizzonti vegetazionali, a causa dell’occupazione di tutti i territori adatti all’agricoltura in pianura ed in collina, mentre in montagna è stata interrotta la copertura boschiva alla ricerca di spazi per le coltivazioni nei versanti meno ripidi e più soleggiati; una buona parte delle aree naturali, trasformate in superfici agrarie, hanno visto il diffondersi delle monocolture su vaste estensioni. Ciò ha modificato profondamente gli ecosistemi e ha comportato la rottura di delicati equilibri biologici, principalmente a causa della forte riduzione della variabilità di essenze erbacee, arbustive ed arboree che, invece, rappresentavano l’habitat naturale di una moltitudine di forme di vita (microrganismi, mammiferi, uccelli, insetti, ecc.). Ma se è vero che l’introduzione di vaste aree coltivate ha determinato una riduzione delle associazioni spontanee originarie, è altrettanto vero che ciò ha avviato un processo di trasformazione del paesaggio, che, nonostante tutto, sta restituendo nuove forme di equilibrio ambientale: se da una parte è vero che si sta assistendo al prevalere delle specie coltivate sulla vegetazione naturale, d’altro canto possiamo senza dubbio affermare che frutteti, vigneti, oliveti e siepi campestri, insieme a ciò che rimane della vegetazione spontanea, costituiscono le “nuove fasce vegetazionali”. All’interno di esse molte essenze legnose, ma anche erbacee, svolgono importanti funzioni nei confronti dell’entomofauna: sono infatti insostituibili fonti di polline e nettare, siti di svernamento per molti insetti utili e fonti di prede e ospiti alternativi. Lo sforzo dovrà essere quello di mantenere nel tempo e nello spazio l’efficienza di questi nuovi ecosistemi, salvaguardando le popolazioni di esseri viventi che in essi intrecciano quotidianamente reciproci rapporti mutualistici e valorizzando i prodotti che da questi scaturiscono.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/144848
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