Lo studio ricostruisce un fenomeno sinora trascurato, ma tutt’altro che secondario, del processo di costruzione dell’identità culturale dello Stato fascista. In continuità con una sensibilità per la tutela del paesaggio maturata tra Otto e Novecento e sulla scorta del dibattito animato da intellettuali come Benedetto Croce, Corrado Ricci e Luigi Serra, nel corso del Ventennio specifiche rassegne sono dedicate al paesaggio, “volto amato della patria”, grazie soprattutto all’attività della bolognese “Associazione nazionale per i paesaggi e i monumenti pittoreschi d’Italia”. Spesso concepite nelle forme massive di un’arte illustrativa e didascalica, le mostre sono certo iniziative di sponda rispetto agli organici progetti su cui si incardina la piramide espositiva del Sindacato artisti, ma si incanalano utilmente nella macchina del consenso e della propaganda, occupando un territorio dai margini sfumati, in cui arte, paesaggio, tutela, turismo ed economia si incontrano su un comune denominatore utilitaristico. La ricerca ripercorre la fortuna di un genere che assume evidenti valenze politiche anche nei canali della diplomazia culturale, con le esposizioni organizzate all’estero nella seconda metà degli anni Trenta, e poi al Premio Bergamo del 1939, che Giuseppe Bottai volle interamente dedicato al “paesaggio italiano”, un "sermo communis" capace, anche nelle sue declinazioni eteroclite, di restituire lo spirito della nazione.

«Il volto amato della patria»: le mostre del paesaggio italiano tra le due guerre

Stefania Petrillo
2019

Abstract

Lo studio ricostruisce un fenomeno sinora trascurato, ma tutt’altro che secondario, del processo di costruzione dell’identità culturale dello Stato fascista. In continuità con una sensibilità per la tutela del paesaggio maturata tra Otto e Novecento e sulla scorta del dibattito animato da intellettuali come Benedetto Croce, Corrado Ricci e Luigi Serra, nel corso del Ventennio specifiche rassegne sono dedicate al paesaggio, “volto amato della patria”, grazie soprattutto all’attività della bolognese “Associazione nazionale per i paesaggi e i monumenti pittoreschi d’Italia”. Spesso concepite nelle forme massive di un’arte illustrativa e didascalica, le mostre sono certo iniziative di sponda rispetto agli organici progetti su cui si incardina la piramide espositiva del Sindacato artisti, ma si incanalano utilmente nella macchina del consenso e della propaganda, occupando un territorio dai margini sfumati, in cui arte, paesaggio, tutela, turismo ed economia si incontrano su un comune denominatore utilitaristico. La ricerca ripercorre la fortuna di un genere che assume evidenti valenze politiche anche nei canali della diplomazia culturale, con le esposizioni organizzate all’estero nella seconda metà degli anni Trenta, e poi al Premio Bergamo del 1939, che Giuseppe Bottai volle interamente dedicato al “paesaggio italiano”, un "sermo communis" capace, anche nelle sue declinazioni eteroclite, di restituire lo spirito della nazione.
2019
978-88-85803-33-6
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