Quando i Sonetti di Shakespeare videro la luce, nel 1609, la tradizione petrarchista aveva già raggiunto il suo culmine in Inghilterra, coronando gli ultimi anni del regno di Elisabetta nel segno della lirica d’amore. Che Shakespeare guardi a tale produzione con una certa pungente ironia, e che ripetutamente ne rida nella sue commedie, è cosa nota. Ma perché allora cimentarsi in prima persona nella stesura di un canzoniere? La risposta risiede nel carattere rivoluzionario dell’opera shakespeariana che, pur dialogando con la tradizione, reinventa radicalmente la lirica amorosa giungendo a un risultato del tutto originale sia in campo poetico che filosofico. Una spinta innovativa, questa, che non si esercita però indistintamente lungo tutto l’arco del canzoniere: laddove infatti la sequenza dedicata al Fair Youth appare per certi versi ancora vicina al modello neoplatonico-petrarchista, inserendosi senza drammatiche fratture nella tradizione ereditata, la figura misteriosa e oscura della Dark Lady si pone invece caparbiamente in contrasto con il paradigma poetico tradizionale. La dama bruna di Shakespeare va così a incarnare il cuore di una riflessione profonda e travagliata che, lungi dall’esaurirsi in un rovesciamento esplicito e puntuale del modello in chiave parodica, conduce il poeta a un affondo nella verità filosofica e ontologica della natura umana e del mondo, e conseguentemente della poesia che a tale verità deve dare voce. Una poesia che riconosce il suo stesso limite nel tentativo di perfezionare e cristallizzare in un ritratto eternamente immobile l’essenza tumultuosa della vita, e che proprio nell’adesione e glorificazione di questa vita – in cui niente è tanto vile da non rilucere di divinità – trova il suo nuovo e più profondo valore.

The Dark Lady. La rivoluzione shakespeariana nei Sonetti alla Dama Bruna

Caporicci C
2013

Abstract

Quando i Sonetti di Shakespeare videro la luce, nel 1609, la tradizione petrarchista aveva già raggiunto il suo culmine in Inghilterra, coronando gli ultimi anni del regno di Elisabetta nel segno della lirica d’amore. Che Shakespeare guardi a tale produzione con una certa pungente ironia, e che ripetutamente ne rida nella sue commedie, è cosa nota. Ma perché allora cimentarsi in prima persona nella stesura di un canzoniere? La risposta risiede nel carattere rivoluzionario dell’opera shakespeariana che, pur dialogando con la tradizione, reinventa radicalmente la lirica amorosa giungendo a un risultato del tutto originale sia in campo poetico che filosofico. Una spinta innovativa, questa, che non si esercita però indistintamente lungo tutto l’arco del canzoniere: laddove infatti la sequenza dedicata al Fair Youth appare per certi versi ancora vicina al modello neoplatonico-petrarchista, inserendosi senza drammatiche fratture nella tradizione ereditata, la figura misteriosa e oscura della Dark Lady si pone invece caparbiamente in contrasto con il paradigma poetico tradizionale. La dama bruna di Shakespeare va così a incarnare il cuore di una riflessione profonda e travagliata che, lungi dall’esaurirsi in un rovesciamento esplicito e puntuale del modello in chiave parodica, conduce il poeta a un affondo nella verità filosofica e ontologica della natura umana e del mondo, e conseguentemente della poesia che a tale verità deve dare voce. Una poesia che riconosce il suo stesso limite nel tentativo di perfezionare e cristallizzare in un ritratto eternamente immobile l’essenza tumultuosa della vita, e che proprio nell’adesione e glorificazione di questa vita – in cui niente è tanto vile da non rilucere di divinità – trova il suo nuovo e più profondo valore.
2013
978-8897738-39-8
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