Il saggio mette in relazione le donne, l’ambiente ed il bene comune. L’ambiente naturale ed il bene comune sono accumunati dal fatto di enfatizzare entrambi l’importanza delle relazioni e della interdipendenza, si differenziano invece perché il bene comune, a differenza di quanto teorizzato dalla deep ecology, non immola il benessere di un singolo componente per il bene del sistema che lo racchiude e lo sovrasta (l’individuo soccombe per la sopravvivenza della specie). Questa visione olistica viene criticata dall’eco-femminismo che invoca il paradigma della relazione madre/figli all’insegna dell’etica della cura come esempio di bene comune, ovvero di come l’Io si possa allargare all’Altro senza però ricondurlo in modo oppressivo al Sè, in un mix equilibrato di tutela del più debole, di libertà di entrambi i soggetti nella interdipendenza, di progressiva emancipazione di colui che è più vulnerabile e bisognoso di cura. Quindi essendo il punto di vista femminile particolarmente etico ed ecologico, esso dovrebbe essere valorizzato a livello macro, meso e micro economico. A livello microeconomico la differenza di genere dovrebbe trovare cittadinanza specialmente nell’impresa civile, un’impresa che è orientata al bene comune (pur avendo il profitto come vincolo da rispettare per il suo operare) e quindi all’affermazione di due soggetti (uomini e donne), oltrechè alla libera espressione al suo interno di altre diversità. L’impresa civile risponde infatti ad una responsabilità civile, che va ben oltre la responsabilità sociale di impresa, il mercantilismo, il paternalismo, la filantropia di impresa. La differenza di genere, per i suoi particolari risvolti etici ed ecologici, dovrebbe dunque improntare anche la gestione d’impresa. Ecco perché in azienda il diversity management, gli strumenti di gestione etica ed ambientale aziendale, gli strumenti di welfare aziendali tesi alla conciliazione famiglia-lavoro andrebbero tutti coniugati insieme, rinforzandosi vicendevolmente per una maggior sostenibilità d’impresa (che non preveda separazione tra sfera economica, sociale, ambientale). Questa strategia congiunta dovrebbe anche aumentare la competitività dell’impresa avendo molte ricerche dimostrato i benefici effetti del diversity management, delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro, delle politiche volontarie ambientali sulla profittabilità dell’impresa e sulla felicità, salute e benessere dei dipendenti, oltrechè sul loro bisogno di riconoscimento e di identità. Se poi si passa dal piano micro al piano meso economico, la concertazione di tutte queste politiche potrebbe passare dal livello di impresa a quello territoriale (nella forma degli accordi volontari, dell’Emas territoriale, delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro su scala maggiore rispetto al corporate welfare). Le nuove politiche ambientali concertate tra pubblico e privato (gli accordi volontari) andrebbero adottate, congiuntamente a quelle, sempre concertate tra i medesimi attori, di sviluppo locale (nella fattispecie “verde” dei patti territoriali) per le loro affinità elettive che consistono nella comune ecologicità e nel fatto di essere entrambe politiche di bene comune, di cui rispettano i requisiti: attenzione multidimensionale alla singola persona; relazionalità, integrazione, condivisione degli obiettivi, concertazione tra i policy makers; sussidiarietà (orizzontale e verticale); razionalità relazionale; regolazione improntata in primis al paradigma della reciprocità; possibile coesistenza di differenti principi di regolazione; produzione di beni relazionali; possibile coesistenza tra differenti etiche (etica delle intenzioni, etica della responsabilità, etica della cura, etica delle virtù). Questo intreccio potrebbe avere effetti moltiplicativi sulla produttività, competitività ed ecologicità dei sistemi locali.

Impresa, ambiente e bene comune

MONTESI, Cristina
2011

Abstract

Il saggio mette in relazione le donne, l’ambiente ed il bene comune. L’ambiente naturale ed il bene comune sono accumunati dal fatto di enfatizzare entrambi l’importanza delle relazioni e della interdipendenza, si differenziano invece perché il bene comune, a differenza di quanto teorizzato dalla deep ecology, non immola il benessere di un singolo componente per il bene del sistema che lo racchiude e lo sovrasta (l’individuo soccombe per la sopravvivenza della specie). Questa visione olistica viene criticata dall’eco-femminismo che invoca il paradigma della relazione madre/figli all’insegna dell’etica della cura come esempio di bene comune, ovvero di come l’Io si possa allargare all’Altro senza però ricondurlo in modo oppressivo al Sè, in un mix equilibrato di tutela del più debole, di libertà di entrambi i soggetti nella interdipendenza, di progressiva emancipazione di colui che è più vulnerabile e bisognoso di cura. Quindi essendo il punto di vista femminile particolarmente etico ed ecologico, esso dovrebbe essere valorizzato a livello macro, meso e micro economico. A livello microeconomico la differenza di genere dovrebbe trovare cittadinanza specialmente nell’impresa civile, un’impresa che è orientata al bene comune (pur avendo il profitto come vincolo da rispettare per il suo operare) e quindi all’affermazione di due soggetti (uomini e donne), oltrechè alla libera espressione al suo interno di altre diversità. L’impresa civile risponde infatti ad una responsabilità civile, che va ben oltre la responsabilità sociale di impresa, il mercantilismo, il paternalismo, la filantropia di impresa. La differenza di genere, per i suoi particolari risvolti etici ed ecologici, dovrebbe dunque improntare anche la gestione d’impresa. Ecco perché in azienda il diversity management, gli strumenti di gestione etica ed ambientale aziendale, gli strumenti di welfare aziendali tesi alla conciliazione famiglia-lavoro andrebbero tutti coniugati insieme, rinforzandosi vicendevolmente per una maggior sostenibilità d’impresa (che non preveda separazione tra sfera economica, sociale, ambientale). Questa strategia congiunta dovrebbe anche aumentare la competitività dell’impresa avendo molte ricerche dimostrato i benefici effetti del diversity management, delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro, delle politiche volontarie ambientali sulla profittabilità dell’impresa e sulla felicità, salute e benessere dei dipendenti, oltrechè sul loro bisogno di riconoscimento e di identità. Se poi si passa dal piano micro al piano meso economico, la concertazione di tutte queste politiche potrebbe passare dal livello di impresa a quello territoriale (nella forma degli accordi volontari, dell’Emas territoriale, delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro su scala maggiore rispetto al corporate welfare). Le nuove politiche ambientali concertate tra pubblico e privato (gli accordi volontari) andrebbero adottate, congiuntamente a quelle, sempre concertate tra i medesimi attori, di sviluppo locale (nella fattispecie “verde” dei patti territoriali) per le loro affinità elettive che consistono nella comune ecologicità e nel fatto di essere entrambe politiche di bene comune, di cui rispettano i requisiti: attenzione multidimensionale alla singola persona; relazionalità, integrazione, condivisione degli obiettivi, concertazione tra i policy makers; sussidiarietà (orizzontale e verticale); razionalità relazionale; regolazione improntata in primis al paradigma della reciprocità; possibile coesistenza di differenti principi di regolazione; produzione di beni relazionali; possibile coesistenza tra differenti etiche (etica delle intenzioni, etica della responsabilità, etica della cura, etica delle virtù). Questo intreccio potrebbe avere effetti moltiplicativi sulla produttività, competitività ed ecologicità dei sistemi locali.
2011
9788856838053
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/175323
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