La Caduta del diavolo Il De casu diaboli, scritto da Anselmo tra il 1080 e il 1085, è una piccola operafilosofico- teologica in cui il futuro arcivescovo di Canterbury (allora Priore di Bec) indaga il mistero del male (mysterium iniquitatis), spiegato come distacco originario di un’intelligenza angelica dal Sommo Bene, cioè da Dio. Con il De veritate e il De libertate arbitrii, il trattato fa parte di una trilogia sul tema della libertà: in particolare, il De casu diaboli tratta il problema della rettitudine e della libertà in relazione alla caduta del Diavolo; Satana è caduto per non aver voluto perseverare nella rettitudine e nella giustizia; e non perseverò nella rettitudine perché volle essere simile a Dio, anteponendogli la propria volontà, e fu giustamente punito. I capitoli finali riprendono il problema del male, precisando che esso è sempre sofferenza: alcune volte è nulla, come la cecità; altre volte invece è qualcosa, come la tristezza e il dolore. Per questa ragione noi, nell’udire il nome male, non temiamo il male che è nulla, ma il male che è qualcosa, in quanto conseguenza dell’assenza del bene.
Traduzione di Anselmo d'Aosta: "La caduta del diavolo" in Anselmo, La caduta del diavolo, a cura di G. Marchetti - G. Elia
MARCHETTI, Giancarlo
2007
Abstract
La Caduta del diavolo Il De casu diaboli, scritto da Anselmo tra il 1080 e il 1085, è una piccola operafilosofico- teologica in cui il futuro arcivescovo di Canterbury (allora Priore di Bec) indaga il mistero del male (mysterium iniquitatis), spiegato come distacco originario di un’intelligenza angelica dal Sommo Bene, cioè da Dio. Con il De veritate e il De libertate arbitrii, il trattato fa parte di una trilogia sul tema della libertà: in particolare, il De casu diaboli tratta il problema della rettitudine e della libertà in relazione alla caduta del Diavolo; Satana è caduto per non aver voluto perseverare nella rettitudine e nella giustizia; e non perseverò nella rettitudine perché volle essere simile a Dio, anteponendogli la propria volontà, e fu giustamente punito. I capitoli finali riprendono il problema del male, precisando che esso è sempre sofferenza: alcune volte è nulla, come la cecità; altre volte invece è qualcosa, come la tristezza e il dolore. Per questa ragione noi, nell’udire il nome male, non temiamo il male che è nulla, ma il male che è qualcosa, in quanto conseguenza dell’assenza del bene.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.