La cronologia della conversione può ricomporre non solo la successione degli avvenimenti, ma anche delle interpretazioni antiche e, nel caso, delle varie proclamazioni di visioni, sia di matrice pagana che cristiana, di cui è costellata la vita di Costantino. Può essere significativa, al riguardo la distinzione tra una cronologia tradizionale ‘conservativa’, incentrata sull’anno 312 d.C., ed una ‘innovativa’, ancorata al 324 d.C.,quali momenti di svolta della politica religiosa costantiniana, secondo una scansione ribadita autorevolmente da Joseph Vogt nel 1955. Un primo punto di riferimento è costituito dall’ Editto di Galerio, del 30 aprile dell’anno 311, perché quella disposizione determinò il quadro politico normativo nel quale maturarono le sue scelte di politica religiosa; una sollecitazione ancor più forte proviene dal fatto che al medesimo anno Eusebio abbia fatto risalire la ‘conversione’ di Costantino, intesa come individuazione di un nuovo Dio ‘protettore’, maturatasi prima che intraprendesse la spedizione contro Massenzio. Nel De mortibus persecutorum Lattanzio oblitera – diversamente da quanto ha fatto per le spedizioni in Italia di Flavio Severo e di Galerio stesso, sempre contro Massenzio – tutte le battaglie che avevano consegnato a Costantino l’Italia centro-settentrionale nel corso del 312 e presenta Costantino subito sotto le mura di Roma. Gli preme infatti di contrapporre la visione del caeleste signum dei di Costantino alla consultazione rituale dei Libri sibillini fatta fare da Massenzio. La sua narrazione della visione è in realtà una delle varie presentazione degli avvenimenti , indirizzate a contesti e a destinatari diversificati, nel periodo successivo alla vittoria. A Treviri, nel 313, il panegirista di turno dichiarò che Costantino era riuscito a compiere quello che i suoi predecessori non erano riusciti a fare, e cioè liberare Roma da un imperatore illegittimo, e, soprattutto, che aveva goduto di una specifica protezione divina, di un dio ‘maggiore’ rispetto agli altri dèi, che aveva promesso il successo. Dal canto suo l’Arco di Trionfo, dedicato nel 315 dal senato, nell’iscrizione di dedica e nel complesso linguaggio architettonico e iconografico, parla la medesima lingua del panegirico recitato due anni prima alla corte di Treviri: tace sul nome della divinità protettrice, e, semmai, mette in forte evidenza Apollo-Sole . Profondamente diversa è la riflessione di Eusebio, che si inquadra nella concezione di una ‘teologia della vittoria’. Per lui tutta la guerra contro Massenzio è avvenuta all’insegna della protezione divina, ma i termini ed i modi, nei quali tale protezione divina si è manifestata, sono nettamente diversi da quelli di Lattanzio: nella Storia ecclesiastica, sebbene l’ingresso in Roma sia confrontato con l’azione di Mosè, non c’è alcun cenno ad una visione avuta da Costantino. La medesima versione è stata da lui riproposta nel Discorso per il trentennale, 335. La visione alla vigilia della battaglia al Ponte Milvio resta quindi una notizia data solo da Lattanzio, isolata nella tradizione, funzionale al linguaggio e alla destinazione dell’opera in cui fu inserita, ma mai recepita da Eusebio. Anzi, quando, «molto tempo dopo», il vescovo di Cesarea ha deciso di accogliere il tema della visione nella Vita di Costantino, non solo ha sottolineato che la comparsa di un ‘segno divino straordinario’ sarebbe stata incredibile se l’imperatore non l’avesse asserita di persona con giuramento, ma l’ha rielaborato ampiamente, distinguendo tra una visione avuta insieme all’esercito in marcia, mentre si trovava ancora in Gallia, un’ulteriore manifestazione di Cristo in sogno al solo Costantino e, infine, la spiegazione offertagli dai vescovi del seguito. I dettagli relativi alla visione e, segnatamente, la cronologia sono incompatibili con la versione di Lattanzio, che Eusebio non poteva ignorare, in quanto elaborata e fatta circolare già prima della seconda redazione della Storia ecclesiastica. Si deve quindi ritenere che egli non abbia voluto recepire di proposito il tema e l’immagine di una visione alla vigilia del Ponte Milvio; né gli poteva sfuggire che la sua narrazione costituiva un’esplicita ed autorevole sconfessione dell’invenzione retorica di Lattanzio. Contrapponendogli la propria versione, ha sottolineato che egli si fondava su informazioni assunte direttamente da Costantino, che equivale a dire, che egli disponeva dell’interpretazione autentica degli avvenimenti.
Per una cronologia della conversione di Costantino
BONAMENTE, Giorgio
2012
Abstract
La cronologia della conversione può ricomporre non solo la successione degli avvenimenti, ma anche delle interpretazioni antiche e, nel caso, delle varie proclamazioni di visioni, sia di matrice pagana che cristiana, di cui è costellata la vita di Costantino. Può essere significativa, al riguardo la distinzione tra una cronologia tradizionale ‘conservativa’, incentrata sull’anno 312 d.C., ed una ‘innovativa’, ancorata al 324 d.C.,quali momenti di svolta della politica religiosa costantiniana, secondo una scansione ribadita autorevolmente da Joseph Vogt nel 1955. Un primo punto di riferimento è costituito dall’ Editto di Galerio, del 30 aprile dell’anno 311, perché quella disposizione determinò il quadro politico normativo nel quale maturarono le sue scelte di politica religiosa; una sollecitazione ancor più forte proviene dal fatto che al medesimo anno Eusebio abbia fatto risalire la ‘conversione’ di Costantino, intesa come individuazione di un nuovo Dio ‘protettore’, maturatasi prima che intraprendesse la spedizione contro Massenzio. Nel De mortibus persecutorum Lattanzio oblitera – diversamente da quanto ha fatto per le spedizioni in Italia di Flavio Severo e di Galerio stesso, sempre contro Massenzio – tutte le battaglie che avevano consegnato a Costantino l’Italia centro-settentrionale nel corso del 312 e presenta Costantino subito sotto le mura di Roma. Gli preme infatti di contrapporre la visione del caeleste signum dei di Costantino alla consultazione rituale dei Libri sibillini fatta fare da Massenzio. La sua narrazione della visione è in realtà una delle varie presentazione degli avvenimenti , indirizzate a contesti e a destinatari diversificati, nel periodo successivo alla vittoria. A Treviri, nel 313, il panegirista di turno dichiarò che Costantino era riuscito a compiere quello che i suoi predecessori non erano riusciti a fare, e cioè liberare Roma da un imperatore illegittimo, e, soprattutto, che aveva goduto di una specifica protezione divina, di un dio ‘maggiore’ rispetto agli altri dèi, che aveva promesso il successo. Dal canto suo l’Arco di Trionfo, dedicato nel 315 dal senato, nell’iscrizione di dedica e nel complesso linguaggio architettonico e iconografico, parla la medesima lingua del panegirico recitato due anni prima alla corte di Treviri: tace sul nome della divinità protettrice, e, semmai, mette in forte evidenza Apollo-Sole . Profondamente diversa è la riflessione di Eusebio, che si inquadra nella concezione di una ‘teologia della vittoria’. Per lui tutta la guerra contro Massenzio è avvenuta all’insegna della protezione divina, ma i termini ed i modi, nei quali tale protezione divina si è manifestata, sono nettamente diversi da quelli di Lattanzio: nella Storia ecclesiastica, sebbene l’ingresso in Roma sia confrontato con l’azione di Mosè, non c’è alcun cenno ad una visione avuta da Costantino. La medesima versione è stata da lui riproposta nel Discorso per il trentennale, 335. La visione alla vigilia della battaglia al Ponte Milvio resta quindi una notizia data solo da Lattanzio, isolata nella tradizione, funzionale al linguaggio e alla destinazione dell’opera in cui fu inserita, ma mai recepita da Eusebio. Anzi, quando, «molto tempo dopo», il vescovo di Cesarea ha deciso di accogliere il tema della visione nella Vita di Costantino, non solo ha sottolineato che la comparsa di un ‘segno divino straordinario’ sarebbe stata incredibile se l’imperatore non l’avesse asserita di persona con giuramento, ma l’ha rielaborato ampiamente, distinguendo tra una visione avuta insieme all’esercito in marcia, mentre si trovava ancora in Gallia, un’ulteriore manifestazione di Cristo in sogno al solo Costantino e, infine, la spiegazione offertagli dai vescovi del seguito. I dettagli relativi alla visione e, segnatamente, la cronologia sono incompatibili con la versione di Lattanzio, che Eusebio non poteva ignorare, in quanto elaborata e fatta circolare già prima della seconda redazione della Storia ecclesiastica. Si deve quindi ritenere che egli non abbia voluto recepire di proposito il tema e l’immagine di una visione alla vigilia del Ponte Milvio; né gli poteva sfuggire che la sua narrazione costituiva un’esplicita ed autorevole sconfessione dell’invenzione retorica di Lattanzio. Contrapponendogli la propria versione, ha sottolineato che egli si fondava su informazioni assunte direttamente da Costantino, che equivale a dire, che egli disponeva dell’interpretazione autentica degli avvenimenti.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.