Il saggio si ripropone di stabilire quale sia lo specifico del modello alternativo monistico nel diritto italiano in quanto “fattispecie” e quindi in quanto presupposto d’applicazione della disciplina di cui al paragrafo 6 della sezioneVI-bis, capo V, titolo V, libro V, codice civile. L’intento è quello di sviluppare un’analisi “funzionale” delle disposizioni dedicate al sistema monistico, specialmente di quelle in tema di riparto di competenze tra CdA e Comitato per il controllo sulla gestione (CCG) costituito al suo interno. L’analisi è funzionale nel senso che è condotta attraverso il contrappunto puntuale tra le “funzioni”, che la disciplina italiana assegna all’uno e all’altro ufficio, e il corrispondente “regime di responsabilità” dei preposti, quale si ricava sempre dalle norme del diritto scritto, ed è finalizzata ad appurare: (a) in che cosa consista "l’alternatività" di tale modello, in punto di fattispecie, rispetto agli altri sistemi di amministrazione e controllo, (b) se, in punto di modello socio-economico sottostante la fattispecie, si tratti di un’opzione fruibile da qualunque società per azioni o solo da quelle qualificate da una data specificità, concernente vuoi la complessità organizzativa dell’impresa, vuoi le sue caratteristiche tipologiche, vuoi le sue dimensioni economiche ecc. (: se si tratti quindi di una fattispecie a modello socio-economico esclusivo o meno). L’analisi ha consentito di appurare che il sistema monistico è “alternativo” al sistema tradizionale ed al sistema dualistico senza alcuna limitazione in punto di fattispecie, il problema non essendo se, per optare per il sistema monistico, si debba prevedere l’amministrazione delegata (se dunque vi sia obbligatorietà/necessità della delega di funzioni) o se l'impresa debba raggiungere determinate dimensioni, bensì valutare, in punto di disciplina, che cosa cambia sotto il profilo della responsabilità dei preposti all’amministrazione ed al controllo, a seconda che si scelga o meno di attribuire una delega di funzioni al comitato esecutivo oppure ad uno o più amministratori, fermo restando che la delega non possa attribuirsi né al CCG, né a taluno dei suoi componenti. Infatti, se ragionassimo come si ragiona nel sistema tradizionale, dovremmo arrivare alla conclusione che, in ipotesi di assenza di attribuzione di deleghe, mentre da un lato la responsabilità dei componenti del CdA non potrebbe ritenersi alleggerita per il solo fatto della presenza del CCG (che non è delegato), dall’altro lato, la responsabilità dei componenti del CCG potrebbe essere dirsi addirittura aggravata dalla mancata attribuzione di deleghe agli altri componenti del CdA. Ma il dosaggio degli oneri e delle esclusioni non si gioca, nel sistema monistico, esclusivamente sul terreno dell’attribuzione delle deleghe di funzioni, come accade nel sistema tradizionale, perché qui ci troviamo in un contesto “tipicamente” diverso, dove l’art. 2392 è applicabile “in quanto compatibile” e quindi in quanto calato nel nuovo contesto e dunque in quanto risemantizzato. Pertanto nel contesto “monistico” un riparto di competenze tra gli amministratori del CCG e del CdA vi è, eccome, seppure è derivato dalla legge e non dalla delega. Il discorso si riallaccia sempre, infatti, al rapporto tra “funzioni” e “responsabilità” nel sistema monistico. La conclusione è che, se il legislatore fa discendere ormai nel sistema tradizionale “la disattivazione del regime di responsabilità solidale per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto” dalla mera attribuzione “in concreto” di determinate funzioni, equiparandola alla delega “autorizzata”, è perché evidentemente il fondamento “della fattispecie della disattivazione” è nel riparto di funzioni, sicché sarebbe davvero paradossale non riconoscere la disattivazione quando il riparto è tipico, in quanto operato dal legislatore medesimo, come accade nel sistema monistico.
Il sistema monistico: il consiglio di amministrazione ed il comitato per il controllo sulla gestione
SCHIUMA, Laura
2013
Abstract
Il saggio si ripropone di stabilire quale sia lo specifico del modello alternativo monistico nel diritto italiano in quanto “fattispecie” e quindi in quanto presupposto d’applicazione della disciplina di cui al paragrafo 6 della sezioneVI-bis, capo V, titolo V, libro V, codice civile. L’intento è quello di sviluppare un’analisi “funzionale” delle disposizioni dedicate al sistema monistico, specialmente di quelle in tema di riparto di competenze tra CdA e Comitato per il controllo sulla gestione (CCG) costituito al suo interno. L’analisi è funzionale nel senso che è condotta attraverso il contrappunto puntuale tra le “funzioni”, che la disciplina italiana assegna all’uno e all’altro ufficio, e il corrispondente “regime di responsabilità” dei preposti, quale si ricava sempre dalle norme del diritto scritto, ed è finalizzata ad appurare: (a) in che cosa consista "l’alternatività" di tale modello, in punto di fattispecie, rispetto agli altri sistemi di amministrazione e controllo, (b) se, in punto di modello socio-economico sottostante la fattispecie, si tratti di un’opzione fruibile da qualunque società per azioni o solo da quelle qualificate da una data specificità, concernente vuoi la complessità organizzativa dell’impresa, vuoi le sue caratteristiche tipologiche, vuoi le sue dimensioni economiche ecc. (: se si tratti quindi di una fattispecie a modello socio-economico esclusivo o meno). L’analisi ha consentito di appurare che il sistema monistico è “alternativo” al sistema tradizionale ed al sistema dualistico senza alcuna limitazione in punto di fattispecie, il problema non essendo se, per optare per il sistema monistico, si debba prevedere l’amministrazione delegata (se dunque vi sia obbligatorietà/necessità della delega di funzioni) o se l'impresa debba raggiungere determinate dimensioni, bensì valutare, in punto di disciplina, che cosa cambia sotto il profilo della responsabilità dei preposti all’amministrazione ed al controllo, a seconda che si scelga o meno di attribuire una delega di funzioni al comitato esecutivo oppure ad uno o più amministratori, fermo restando che la delega non possa attribuirsi né al CCG, né a taluno dei suoi componenti. Infatti, se ragionassimo come si ragiona nel sistema tradizionale, dovremmo arrivare alla conclusione che, in ipotesi di assenza di attribuzione di deleghe, mentre da un lato la responsabilità dei componenti del CdA non potrebbe ritenersi alleggerita per il solo fatto della presenza del CCG (che non è delegato), dall’altro lato, la responsabilità dei componenti del CCG potrebbe essere dirsi addirittura aggravata dalla mancata attribuzione di deleghe agli altri componenti del CdA. Ma il dosaggio degli oneri e delle esclusioni non si gioca, nel sistema monistico, esclusivamente sul terreno dell’attribuzione delle deleghe di funzioni, come accade nel sistema tradizionale, perché qui ci troviamo in un contesto “tipicamente” diverso, dove l’art. 2392 è applicabile “in quanto compatibile” e quindi in quanto calato nel nuovo contesto e dunque in quanto risemantizzato. Pertanto nel contesto “monistico” un riparto di competenze tra gli amministratori del CCG e del CdA vi è, eccome, seppure è derivato dalla legge e non dalla delega. Il discorso si riallaccia sempre, infatti, al rapporto tra “funzioni” e “responsabilità” nel sistema monistico. La conclusione è che, se il legislatore fa discendere ormai nel sistema tradizionale “la disattivazione del regime di responsabilità solidale per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto” dalla mera attribuzione “in concreto” di determinate funzioni, equiparandola alla delega “autorizzata”, è perché evidentemente il fondamento “della fattispecie della disattivazione” è nel riparto di funzioni, sicché sarebbe davvero paradossale non riconoscere la disattivazione quando il riparto è tipico, in quanto operato dal legislatore medesimo, come accade nel sistema monistico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.