E’ di primaria importanza riconoscere e gestire un paziente che presenta un accumulo di aria o liquidi di varia natura (sangue, chilo, pus, trasudato) in cavità pleurica. Sebbene raccolte di piccola entità possano essere ben tollerate e talvolta possano restare occulte, quantità maggiori impediscono la normale espansione del polmone durante la fase inspiratoria e possono determinare un notevole aumento degli sforzi respiratori. Se è presente un accumulo significativo di liquidi o aria, l’animale può manifestare segni di difficoltà respiratoria, ortopnea, polipnea, scarsa tolleranza all’esercizio o allo stress. L’immediata toracentesi e l’evacuazione del liquido o dell’aria sono manualità eseguibili con minimo stress per il paziente, ma indispensabili per la sopravvivenza dello stesso. Se le condizioni dell’animale non sono troppo gravi, la sola toracentesi può essere sufficiente; se invece le condizioni sono più critiche si rende necessario il ricorso al drenaggio toracico (drenaggio toracostomico) e l’esecuzione di un’aspirazione pleurica intermittente o continua. Di seguito saranno esposti e discussi i metodi più comunemente utilizzati per il drenaggio pleurico nella clinica dei piccoli animali. Si definisce pneumotorace la condizione patologica caratterizzata da accumulo di aria o altri gas all’interno della cavità pleurica, la quale fisiologicamente si configura come spazio virtuale interposto tra i due foglietti pleurici parietale e viscerale. Dal punto di vista eziologico il pneumotorace può essere classificato in: • Traumatico • Spontaneo • Iatrogeno Il pneumotorace traumatico costituisce indubbiamente la tipologia più frequente, essendo stato segnalato nel 47% di tutti i casi di trauma toracico nei piccoli animali. Si definisce invece pneumotorace spontaneo l’accumulo di aria nel cavo pleurico in assenza di un evento traumatico. Si parla infine di pneumotorace iatrogeno qualora esso derivi da un trauma provocato intenzionalmente dal chirurgo (come avviene durante la toracotomia all’atto dell’incisione della pleura), oppure sia indotto accidentalmente da errate manualità durante un’aspirazione dello spazio pleurico, procedure di anestesia o intubazione del paziente. Riconoscere correttamente l’origine del pneumotorace è fondamentale ai fini prognostici e per la scelta di un efficace trattamento terapeutico, dal momento che il pneumotorace traumatico è quasi sempre risolvibile con il solo trattamento medico, mentre per quello spontaneo l’alta percentuale di recidive suggerisce l’intervento chirurgico come trattamento d’elezione. Si definisce chilotorace la presenza di linfa libera nel cavo pleurico proveniente dal sistema cisterna chyli-dotto toracico. Nel cane il dotto decorre lateralmente alle arterie intercostali, a destra dell’aorta, ventralmente alla vena azigos9,11. La strategia terapeutica si basa sull’eziologia, sullo stato clinico del paziente e sui vantaggi e limitazioni dell’approccio chirurgico. Le indicazioni per il trattamento chirurgico del chilotorace sono normalmente suggerite dai risultati della terapia medica che prevede il drenaggio toracico continuo o intermittente, la dieta parenterale povera di grassi, l’apporto vitaminico e la terapia con benzopireni. I risultati della terapia medica devono essere valutati per almeno 5-10 giorni, e se dopo questo periodo permangono perdite di chilo abbondanti nell’ordine di 20 ml/kg/die e segni di denutrimento come ipoproteinemia, si deve procedere alla legatura del dotto toracico. La terapia medica, è risolutiva nel 50-60 % dei casi. 8 Se la causa del chilotorace è stata diagnosticata e riguarda il sistema cardiaco affetto da patologie quali, miocardiopatia, versamento pericardico o pericardite costrittiva, si può ricorrere alla sola eliminazione della causa ed eseguire una pericardiectomia subtotale ed evitare di procedere alla legatura del dotto. Altre possibili cause sono riconducibili a trauma, neoplasia, trombosi della vena cava craniale, micosi, dirofilariosi, anomalia congenita1. Viceversa, se non è possibile identificare una causa, si deve classificare il chilotorace come idiopatico e si deve optare per una delle tecniche chirurgiche maggiormente in uso8. Tra queste possiamo ricordare: legatura en-bloc del dotto toracico, legatura del dotto toracico, ablazione della chisterna chyli, shunting pleurovenosi, shunting pleuroperitoneali, embolizzazione con soluzione di isobutil 2-cianoacrilato e iofendilato iniettata in un vaso linfatico mesenterico, omentalizzazione toracica, pleurodesi chimica5. La legatura del dotto è quella più comunemente usata e da sola consente la risoluzione del chilotorace in circa il 50% dei casi4,7,8 , percentuale che può senz’altro essere aumentata se si esegue una contemporanea pericardiectomia e omentalizzazione. Secondo alcuni autori4, la sola pericardiectomia subtotale sarebbe stata coronata da successo in numerosi casi, anche se, non è ancora ben chiaro se la pericardite sia causa o conseguenza del chilotorace. L’ipotesi suggerita è che il chilotorace idiopatico sia principalmente cardiogenico, correlato all’elevata pressione venosa sistemica centrale, secondaria ad insufficienza cardiaca congestizia, displasia della tricuspide, cardiomiopatia e pericardiopatia. Pertanto, la procedura di pericardiectomia consentirebbe una drastica diminuzione della pressione nella vena cava craniale; questa ipotesi eziopatogenetica, comunque, non è supportata da dati scientifici oggettivi e non risponde al quesito secondo cui la maggior parte dei pazienti con patologie cardiache non sviluppa chilotorace. Alcuni studi recenti si sono concentrati su un approccio combinato tra legatura del dotto toracico ed ablazione della cisterna chyli, con l’ausilio della linfangiografia mesenterica, seguita da omentalizzazione intorno al sito di exeresi. Dai risultati di uno studio retrospettivo, emerge che, l’escissione della cisterna chyli consente di diminuire la probabilità di ipertensione del segmento caudale del dotto toracico, la quale fungerebbe da stimolo per lo sviluppo di un circolo linfatico collaterale capace di by-passare il sito di legatura del dotto. Questa condizione potrebbe essere responsabile del ripristino del flusso chilifero e del relativo accumulo nel cavo pleurico e, quindi, del fallimento di molte procedure di legatura del dotto. L’escissione della cisterna chyli eliminerebbe l’ipertensione linfatica, mentre promuoverebbe nuove vie di drenaggio nella cavità addominale, con la formazione di anastomosi linfo-venose; inoltre, in caso di accumulo di chilo in cavità peritoneale, non si verificherebbero lesioni di una gravità tale da compromettere la sopravvivenza dell’animale, come invece avviene nel chilotorace.5 L’ernia diaframmatica è una paratopia ed è conseguenza della perdita dell’integrità della componente muscolare del diaframma, nonché la causa del passaggio patologico di tessuti od organi addominali all’interno della cavità pleurica o pericardica. Esistono diverse classificazioni che possono descrivere tale paratopia. Una di queste suddivide l’ernia diaframmatica in vera o falsa; nella prima gli organi che di dislocano sono contenuti in un sacco erniario, rappresentato dalla pleura parietale del diaframma, la cui porzione muscolare subisce una lacerazione non completa. L’ernia falsa differisce per l’assenza di un rivestimento, infatti la dislocazione di organi o tessuti può avvenire attraverso un’apertura naturale o un difetto acquisito, generalmente di origine traumatica. Mancando il sacco erniario il contenuto dell’ernia può facilmente contrarre rapporti con i tessuti circostanti fino alla formazione di aderenze ed incarceramenti. L’origine si questa lesione può risiedere nell’incompleto sviluppo delle sue componenti ma non si può escludere che possa essere anche di natura acquisita, normalmente secondaria ad un trauma.24 Un’altra classificazione prevede la suddivisione in ernie congenite ed acquisite in base all’ezio-patogenesi. In questo caso si possono distinguere l’ernia pleuroperitoneale congenita, l’ernia peritoneopericardica e l’ernia diaframmatica traumatica. Anche se sono più rare vanno citate l’ernia iatale e la protusione diaframmatica. Nel caso dell’ernia iatale si verifica un avanzamento craniale e, quindi, in cavità toracica della giunzione gastroesofagea e/o del fondo dello stomaco, attraverso lo iato esofageo a causa della sua incompetenza, che normalmente è di natura congenita. La protusione diaframmatica non si può definire un’ernia, in quanto non si forma un difetto completo, tuttavia si deve includere tra le diagnosi differenziali; infatti, l’anomalia congenita può colpire sia la muscolatura che la componente collagene e si ipotizza che anche in questa lesione la genesi possa essere acquisita.

TECNICHE CHIRURGICHE DI PLEURA E MEDIASTINO

BUFALARI, Antonello
2009

Abstract

E’ di primaria importanza riconoscere e gestire un paziente che presenta un accumulo di aria o liquidi di varia natura (sangue, chilo, pus, trasudato) in cavità pleurica. Sebbene raccolte di piccola entità possano essere ben tollerate e talvolta possano restare occulte, quantità maggiori impediscono la normale espansione del polmone durante la fase inspiratoria e possono determinare un notevole aumento degli sforzi respiratori. Se è presente un accumulo significativo di liquidi o aria, l’animale può manifestare segni di difficoltà respiratoria, ortopnea, polipnea, scarsa tolleranza all’esercizio o allo stress. L’immediata toracentesi e l’evacuazione del liquido o dell’aria sono manualità eseguibili con minimo stress per il paziente, ma indispensabili per la sopravvivenza dello stesso. Se le condizioni dell’animale non sono troppo gravi, la sola toracentesi può essere sufficiente; se invece le condizioni sono più critiche si rende necessario il ricorso al drenaggio toracico (drenaggio toracostomico) e l’esecuzione di un’aspirazione pleurica intermittente o continua. Di seguito saranno esposti e discussi i metodi più comunemente utilizzati per il drenaggio pleurico nella clinica dei piccoli animali. Si definisce pneumotorace la condizione patologica caratterizzata da accumulo di aria o altri gas all’interno della cavità pleurica, la quale fisiologicamente si configura come spazio virtuale interposto tra i due foglietti pleurici parietale e viscerale. Dal punto di vista eziologico il pneumotorace può essere classificato in: • Traumatico • Spontaneo • Iatrogeno Il pneumotorace traumatico costituisce indubbiamente la tipologia più frequente, essendo stato segnalato nel 47% di tutti i casi di trauma toracico nei piccoli animali. Si definisce invece pneumotorace spontaneo l’accumulo di aria nel cavo pleurico in assenza di un evento traumatico. Si parla infine di pneumotorace iatrogeno qualora esso derivi da un trauma provocato intenzionalmente dal chirurgo (come avviene durante la toracotomia all’atto dell’incisione della pleura), oppure sia indotto accidentalmente da errate manualità durante un’aspirazione dello spazio pleurico, procedure di anestesia o intubazione del paziente. Riconoscere correttamente l’origine del pneumotorace è fondamentale ai fini prognostici e per la scelta di un efficace trattamento terapeutico, dal momento che il pneumotorace traumatico è quasi sempre risolvibile con il solo trattamento medico, mentre per quello spontaneo l’alta percentuale di recidive suggerisce l’intervento chirurgico come trattamento d’elezione. Si definisce chilotorace la presenza di linfa libera nel cavo pleurico proveniente dal sistema cisterna chyli-dotto toracico. Nel cane il dotto decorre lateralmente alle arterie intercostali, a destra dell’aorta, ventralmente alla vena azigos9,11. La strategia terapeutica si basa sull’eziologia, sullo stato clinico del paziente e sui vantaggi e limitazioni dell’approccio chirurgico. Le indicazioni per il trattamento chirurgico del chilotorace sono normalmente suggerite dai risultati della terapia medica che prevede il drenaggio toracico continuo o intermittente, la dieta parenterale povera di grassi, l’apporto vitaminico e la terapia con benzopireni. I risultati della terapia medica devono essere valutati per almeno 5-10 giorni, e se dopo questo periodo permangono perdite di chilo abbondanti nell’ordine di 20 ml/kg/die e segni di denutrimento come ipoproteinemia, si deve procedere alla legatura del dotto toracico. La terapia medica, è risolutiva nel 50-60 % dei casi. 8 Se la causa del chilotorace è stata diagnosticata e riguarda il sistema cardiaco affetto da patologie quali, miocardiopatia, versamento pericardico o pericardite costrittiva, si può ricorrere alla sola eliminazione della causa ed eseguire una pericardiectomia subtotale ed evitare di procedere alla legatura del dotto. Altre possibili cause sono riconducibili a trauma, neoplasia, trombosi della vena cava craniale, micosi, dirofilariosi, anomalia congenita1. Viceversa, se non è possibile identificare una causa, si deve classificare il chilotorace come idiopatico e si deve optare per una delle tecniche chirurgiche maggiormente in uso8. Tra queste possiamo ricordare: legatura en-bloc del dotto toracico, legatura del dotto toracico, ablazione della chisterna chyli, shunting pleurovenosi, shunting pleuroperitoneali, embolizzazione con soluzione di isobutil 2-cianoacrilato e iofendilato iniettata in un vaso linfatico mesenterico, omentalizzazione toracica, pleurodesi chimica5. La legatura del dotto è quella più comunemente usata e da sola consente la risoluzione del chilotorace in circa il 50% dei casi4,7,8 , percentuale che può senz’altro essere aumentata se si esegue una contemporanea pericardiectomia e omentalizzazione. Secondo alcuni autori4, la sola pericardiectomia subtotale sarebbe stata coronata da successo in numerosi casi, anche se, non è ancora ben chiaro se la pericardite sia causa o conseguenza del chilotorace. L’ipotesi suggerita è che il chilotorace idiopatico sia principalmente cardiogenico, correlato all’elevata pressione venosa sistemica centrale, secondaria ad insufficienza cardiaca congestizia, displasia della tricuspide, cardiomiopatia e pericardiopatia. Pertanto, la procedura di pericardiectomia consentirebbe una drastica diminuzione della pressione nella vena cava craniale; questa ipotesi eziopatogenetica, comunque, non è supportata da dati scientifici oggettivi e non risponde al quesito secondo cui la maggior parte dei pazienti con patologie cardiache non sviluppa chilotorace. Alcuni studi recenti si sono concentrati su un approccio combinato tra legatura del dotto toracico ed ablazione della cisterna chyli, con l’ausilio della linfangiografia mesenterica, seguita da omentalizzazione intorno al sito di exeresi. Dai risultati di uno studio retrospettivo, emerge che, l’escissione della cisterna chyli consente di diminuire la probabilità di ipertensione del segmento caudale del dotto toracico, la quale fungerebbe da stimolo per lo sviluppo di un circolo linfatico collaterale capace di by-passare il sito di legatura del dotto. Questa condizione potrebbe essere responsabile del ripristino del flusso chilifero e del relativo accumulo nel cavo pleurico e, quindi, del fallimento di molte procedure di legatura del dotto. L’escissione della cisterna chyli eliminerebbe l’ipertensione linfatica, mentre promuoverebbe nuove vie di drenaggio nella cavità addominale, con la formazione di anastomosi linfo-venose; inoltre, in caso di accumulo di chilo in cavità peritoneale, non si verificherebbero lesioni di una gravità tale da compromettere la sopravvivenza dell’animale, come invece avviene nel chilotorace.5 L’ernia diaframmatica è una paratopia ed è conseguenza della perdita dell’integrità della componente muscolare del diaframma, nonché la causa del passaggio patologico di tessuti od organi addominali all’interno della cavità pleurica o pericardica. Esistono diverse classificazioni che possono descrivere tale paratopia. Una di queste suddivide l’ernia diaframmatica in vera o falsa; nella prima gli organi che di dislocano sono contenuti in un sacco erniario, rappresentato dalla pleura parietale del diaframma, la cui porzione muscolare subisce una lacerazione non completa. L’ernia falsa differisce per l’assenza di un rivestimento, infatti la dislocazione di organi o tessuti può avvenire attraverso un’apertura naturale o un difetto acquisito, generalmente di origine traumatica. Mancando il sacco erniario il contenuto dell’ernia può facilmente contrarre rapporti con i tessuti circostanti fino alla formazione di aderenze ed incarceramenti. L’origine si questa lesione può risiedere nell’incompleto sviluppo delle sue componenti ma non si può escludere che possa essere anche di natura acquisita, normalmente secondaria ad un trauma.24 Un’altra classificazione prevede la suddivisione in ernie congenite ed acquisite in base all’ezio-patogenesi. In questo caso si possono distinguere l’ernia pleuroperitoneale congenita, l’ernia peritoneopericardica e l’ernia diaframmatica traumatica. Anche se sono più rare vanno citate l’ernia iatale e la protusione diaframmatica. Nel caso dell’ernia iatale si verifica un avanzamento craniale e, quindi, in cavità toracica della giunzione gastroesofagea e/o del fondo dello stomaco, attraverso lo iato esofageo a causa della sua incompetenza, che normalmente è di natura congenita. La protusione diaframmatica non si può definire un’ernia, in quanto non si forma un difetto completo, tuttavia si deve includere tra le diagnosi differenziali; infatti, l’anomalia congenita può colpire sia la muscolatura che la componente collagene e si ipotizza che anche in questa lesione la genesi possa essere acquisita.
2009
9788895033242
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/134051
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