In genere della libertà hanno scritto e scrivono soprattutto teologi, filosofi, politologi e giuristi, soffermandosi al livello più immediatamente percettibile del discorso e assumendo come scontate le dimensioni più profonde dell’esperienza umana che andrebbero invece problematizzate per prime. Solo di recente, la biologia e le neuroscienze hanno cominciato a produrre materiali di ricerca che consentono di penetrare più approfonditamente nella “scatola nera” del cervello e della mente umana. Peraltro tali stimoli non esauriscono la questione dei condizionamenti strutturali dell’autonomia degli esseri umani: altri elementi – questa volta di tipo culturale – erigono pesantissimi vincoli che le vulgata sulla libertà spesso e volentieri ignorano. A questa pista di indagine è dedicato questo testo. La metafora utilizzata è quella del mare, dalle sue profondità alla superficie, e, sul mare, delle possibilità d’azione del marinaio, immagine metaforica di ogni essere umano. La ricostruzione dei condizionamenti segue dunque una logica di svelamento che va dal mare profondo, fatto coincidere con la macchina biologica (il corpo, i geni, il cervello), al mare di mezzo, corrispondente al linguaggio e alle cosiddette forme epistemiche, al mare di superficie, costituito dal senso comune, dalle rappresentazioni sociali e dagli stereotipi. In ciascuno di questi livelli vengono considerate la componente “dura”, quella che tende a pre-determinare i binari del cammino individuale, e la componente aperta, quella che lascia intravedere le possibilità di fuoriuscita da quegli stessi binari, ossia lo spazio relativo della libertà. Così, rispetto agli stringenti vincoli biologici, si eleva la sorprendente apertura della coscienza umana, tutta protesa a sperimentare l’identità ma anche la differenza del sé. Rispetto ai condizionamenti fortissimi perché non immediatamente visibili del linguaggio, dell’episteme, del senso comune si danno i salti dei paradigmi conoscitivi, più o meno lenti più o meno improvvisi, e i progressivi spostamenti degli stereotipi e dei pregiudizi sociali. Ma una cosa è sicura: non ha senso parlare di libertà se non si evidenziano tutte queste strutture condizionanti e, insieme ad esse, le loro fessurazioni da cui si originano i moti reattivi che spostano più avanti l’orizzonte (la speranza?) dell’autonomia umana. A livello di superficie marina va registrato l’avvento delle regole consapevoli della socialità, ma anche l’articolazione delle disuguaglianze tra gli esseri umani. Non confidando abbastanza (e forse fondatamente) nei binari della biologia, del linguaggio, dei benchmark culturali e del senso comune, gli individui hanno cercato nella politica e nel diritto le trame di una prevedibilità sociale ancora più certa e rassicurante. La storia ha dato a tali strutture di potere un doppio risvolto: avviate inizialmente per consegnare lo scettro del comando a pochi leader politici con la corte dei giuristi fedeli, esse sono diventate nel tempo campo di confronto/scontro tra soggetti in posizione disuguale e, almeno nei paesi occidentali, strumento di crescita democratica. Ovviamente questo processo non ha comportato il superamento della diversità dei “mezzi di navigazione”: ancora oggi ci sono individui che appartengono a classi e a ceti sociali differenti, e perciò costretti a navigare chi su yacht lussuosi chi su zattere pericolanti. Con conseguenze non banali circa gli ambiti di agibilità. È a questo punto, solo a questo punto verrebbe da dire, che si può cominciare a parlare davvero della “libertà possibile” del marinaio-uomo. Il che significa che il termine può mantenere il suo valore essenzialmente nell’ambito di due condizioni ineludibili, sviluppate nell’ultimo capitolo. La prima recita che non è possibile uscire dalle determinazioni biologiche, sociali e culturali, in quanto esse costituiscono le strutture fondanti degli esseri umani; ma la seconda aggiunge che, pur rimanendo all’interno di tali strutture, per l’essere umano è possibile prendere le distanze dalle forme storiche delle determinazioni, per cercare, ogni volta, altre forme di determinazione in un processo critico continuo. Il che vuol dire che la libertà non consiste nella liberazione totale dai vincoli strutturali, ma nell’assunzione della tensione tra il dentro e l’oltre delle forme storicamente determinate delle suddette strutture, ovvero nel sentiero stretto dell’essere qui e ora, e contemporaneamente nel sapere/volere/potere essere altrove.

La libertà possibile. Sociologia dell’autonomia umana

SEGATORI, Roberto
2016

Abstract

In genere della libertà hanno scritto e scrivono soprattutto teologi, filosofi, politologi e giuristi, soffermandosi al livello più immediatamente percettibile del discorso e assumendo come scontate le dimensioni più profonde dell’esperienza umana che andrebbero invece problematizzate per prime. Solo di recente, la biologia e le neuroscienze hanno cominciato a produrre materiali di ricerca che consentono di penetrare più approfonditamente nella “scatola nera” del cervello e della mente umana. Peraltro tali stimoli non esauriscono la questione dei condizionamenti strutturali dell’autonomia degli esseri umani: altri elementi – questa volta di tipo culturale – erigono pesantissimi vincoli che le vulgata sulla libertà spesso e volentieri ignorano. A questa pista di indagine è dedicato questo testo. La metafora utilizzata è quella del mare, dalle sue profondità alla superficie, e, sul mare, delle possibilità d’azione del marinaio, immagine metaforica di ogni essere umano. La ricostruzione dei condizionamenti segue dunque una logica di svelamento che va dal mare profondo, fatto coincidere con la macchina biologica (il corpo, i geni, il cervello), al mare di mezzo, corrispondente al linguaggio e alle cosiddette forme epistemiche, al mare di superficie, costituito dal senso comune, dalle rappresentazioni sociali e dagli stereotipi. In ciascuno di questi livelli vengono considerate la componente “dura”, quella che tende a pre-determinare i binari del cammino individuale, e la componente aperta, quella che lascia intravedere le possibilità di fuoriuscita da quegli stessi binari, ossia lo spazio relativo della libertà. Così, rispetto agli stringenti vincoli biologici, si eleva la sorprendente apertura della coscienza umana, tutta protesa a sperimentare l’identità ma anche la differenza del sé. Rispetto ai condizionamenti fortissimi perché non immediatamente visibili del linguaggio, dell’episteme, del senso comune si danno i salti dei paradigmi conoscitivi, più o meno lenti più o meno improvvisi, e i progressivi spostamenti degli stereotipi e dei pregiudizi sociali. Ma una cosa è sicura: non ha senso parlare di libertà se non si evidenziano tutte queste strutture condizionanti e, insieme ad esse, le loro fessurazioni da cui si originano i moti reattivi che spostano più avanti l’orizzonte (la speranza?) dell’autonomia umana. A livello di superficie marina va registrato l’avvento delle regole consapevoli della socialità, ma anche l’articolazione delle disuguaglianze tra gli esseri umani. Non confidando abbastanza (e forse fondatamente) nei binari della biologia, del linguaggio, dei benchmark culturali e del senso comune, gli individui hanno cercato nella politica e nel diritto le trame di una prevedibilità sociale ancora più certa e rassicurante. La storia ha dato a tali strutture di potere un doppio risvolto: avviate inizialmente per consegnare lo scettro del comando a pochi leader politici con la corte dei giuristi fedeli, esse sono diventate nel tempo campo di confronto/scontro tra soggetti in posizione disuguale e, almeno nei paesi occidentali, strumento di crescita democratica. Ovviamente questo processo non ha comportato il superamento della diversità dei “mezzi di navigazione”: ancora oggi ci sono individui che appartengono a classi e a ceti sociali differenti, e perciò costretti a navigare chi su yacht lussuosi chi su zattere pericolanti. Con conseguenze non banali circa gli ambiti di agibilità. È a questo punto, solo a questo punto verrebbe da dire, che si può cominciare a parlare davvero della “libertà possibile” del marinaio-uomo. Il che significa che il termine può mantenere il suo valore essenzialmente nell’ambito di due condizioni ineludibili, sviluppate nell’ultimo capitolo. La prima recita che non è possibile uscire dalle determinazioni biologiche, sociali e culturali, in quanto esse costituiscono le strutture fondanti degli esseri umani; ma la seconda aggiunge che, pur rimanendo all’interno di tali strutture, per l’essere umano è possibile prendere le distanze dalle forme storiche delle determinazioni, per cercare, ogni volta, altre forme di determinazione in un processo critico continuo. Il che vuol dire che la libertà non consiste nella liberazione totale dai vincoli strutturali, ma nell’assunzione della tensione tra il dentro e l’oltre delle forme storicamente determinate delle suddette strutture, ovvero nel sentiero stretto dell’essere qui e ora, e contemporaneamente nel sapere/volere/potere essere altrove.
2016
978-88-917-4247-6
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1385279
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