Nella sentenza Vasiliauskas c. Lithuania del 20 ottobre 2015, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che la condanna del ricorrente per genocidio da parte delle corti interne lituane, per la sua partecipazione nel 1953 all'uccisione di partigiani in lotta contro l'occupazione sovietica, comportasse una violazione del principio di legalità sancito dall'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in quanto non prevedibile alla luce della definizione del crimine di genocidio vigente all'epoca dei fatti. Secondo la Corte, infatti, nel 1953 i partigiani non potevano essere considerati "rappresentanti" del gruppo nazionale dei Lituani come gruppo protetto ai sensi della nozione giuridica di genocidio. La posizione della Corte appare corretta in ragione della difficoltà, in un contesto di occupazione straniera, di provare l'intento specifico genocida degli occupanti, ovvero l'intenzione di distruggere il gruppo nazionale in quanto tale, piuttosto che l'intenzione di sottomettere "la nazione" intesa come popolo di uno Stato precedentemente indipendente. Ciò anche alla luce della percezione che il perpetratore dimostrava di avere dei partigiani uccisi circa la loro appartenenza ad un "gruppo nazionale" . Più in generale, la sentenza sottolinea la difficoltà, per le corti interne di uno Stato di nuova indipendenza, di ricorrere in modo imparziale alla categoria del genocidio per rendere giustizia di crimini commessi dalla ex potenza occupante.
Genocidio e processi di liberazione nazionale nella sentenza Vasiliauskas della Corte europea dei diritti umani
MANEGGIA, Amina
2016
Abstract
Nella sentenza Vasiliauskas c. Lithuania del 20 ottobre 2015, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che la condanna del ricorrente per genocidio da parte delle corti interne lituane, per la sua partecipazione nel 1953 all'uccisione di partigiani in lotta contro l'occupazione sovietica, comportasse una violazione del principio di legalità sancito dall'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in quanto non prevedibile alla luce della definizione del crimine di genocidio vigente all'epoca dei fatti. Secondo la Corte, infatti, nel 1953 i partigiani non potevano essere considerati "rappresentanti" del gruppo nazionale dei Lituani come gruppo protetto ai sensi della nozione giuridica di genocidio. La posizione della Corte appare corretta in ragione della difficoltà, in un contesto di occupazione straniera, di provare l'intento specifico genocida degli occupanti, ovvero l'intenzione di distruggere il gruppo nazionale in quanto tale, piuttosto che l'intenzione di sottomettere "la nazione" intesa come popolo di uno Stato precedentemente indipendente. Ciò anche alla luce della percezione che il perpetratore dimostrava di avere dei partigiani uccisi circa la loro appartenenza ad un "gruppo nazionale" . Più in generale, la sentenza sottolinea la difficoltà, per le corti interne di uno Stato di nuova indipendenza, di ricorrere in modo imparziale alla categoria del genocidio per rendere giustizia di crimini commessi dalla ex potenza occupante.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.