All’indomani della caduta del regime, le principali forze politico-culturali dell’antifascismo proposero all’attenzione dell’opinione pubblica la «questione dei giovani» formati nel regime, denunciando la loro inadeguatezza a partecipare allo sforzo di ricostruzione democratica della vita pubblica, perché profondamente influenzata dai miti e dai valori del fascismo. Le preoccupazioni per gli effetti dell’educazione fascista dei giovani non erano affatto infondate. Dalla metà degli anni venti il fascismo aveva avviato il più grande esperimento di pedagogia politica di massa mai tentato nella storia nazionale. Convinti che per creare un nuovo tipo umano occorresse cominciare il processo di formazione dalla più tenera età, i fascisti avevano perseguito con costanza e ostinazione l’obiettivo di inquadrare la gioventù all’interno delle proprie organizzazioni. L’articolo esamina il ruolo della Scuola e delle organizzazioni giovanili quali strumenti attraverso i quali il fascismo tentò di realizzare l’esperimento di creazione delle prime generazioni allevate integralmente nel laboratorio dello Stato totalitario. Se il limite principale all’attuazione della volontà di mobilitazione e formazione totalitaria dei giovani fu costituito dalle oggettive condizioni di arretratezza socioeconomica del paese e per quanto non sia agevole valutare con precisione gli effetti della pedagogia totalitaria, trattandosi di bambini e di adolescenti, non si può non riconoscere tuttavia, anche sulla scorta di recenti indagini a carattere locale, che il sistema scuola-GIL, coadiuvato dalla onnipresente propaganda e dal clima generale dell’Italia del tempo, riuscì a ottenere una acculturazione fascista, per così dire, “di base” della massa dei giovani. Le scelte degli appartenenti alla «generazione del littorio» rappresentano il terreno sul quale tentare di valutare i risultati dell’educazione fascista.

La formazione della gioventù in regime fascista. La scuola e le organizzazioni giovanili

La Rovere Luca
2017

Abstract

All’indomani della caduta del regime, le principali forze politico-culturali dell’antifascismo proposero all’attenzione dell’opinione pubblica la «questione dei giovani» formati nel regime, denunciando la loro inadeguatezza a partecipare allo sforzo di ricostruzione democratica della vita pubblica, perché profondamente influenzata dai miti e dai valori del fascismo. Le preoccupazioni per gli effetti dell’educazione fascista dei giovani non erano affatto infondate. Dalla metà degli anni venti il fascismo aveva avviato il più grande esperimento di pedagogia politica di massa mai tentato nella storia nazionale. Convinti che per creare un nuovo tipo umano occorresse cominciare il processo di formazione dalla più tenera età, i fascisti avevano perseguito con costanza e ostinazione l’obiettivo di inquadrare la gioventù all’interno delle proprie organizzazioni. L’articolo esamina il ruolo della Scuola e delle organizzazioni giovanili quali strumenti attraverso i quali il fascismo tentò di realizzare l’esperimento di creazione delle prime generazioni allevate integralmente nel laboratorio dello Stato totalitario. Se il limite principale all’attuazione della volontà di mobilitazione e formazione totalitaria dei giovani fu costituito dalle oggettive condizioni di arretratezza socioeconomica del paese e per quanto non sia agevole valutare con precisione gli effetti della pedagogia totalitaria, trattandosi di bambini e di adolescenti, non si può non riconoscere tuttavia, anche sulla scorta di recenti indagini a carattere locale, che il sistema scuola-GIL, coadiuvato dalla onnipresente propaganda e dal clima generale dell’Italia del tempo, riuscì a ottenere una acculturazione fascista, per così dire, “di base” della massa dei giovani. Le scelte degli appartenenti alla «generazione del littorio» rappresentano il terreno sul quale tentare di valutare i risultati dell’educazione fascista.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1423278
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