Nella recente legge 190 del 2012, che ha dato via in Italia alle politiche nazionali di prevenzione e contrasto alla corruzione, viene introdotta una nuova nozione di corruzione amministrativa, che considera non solo i comportamenti penalmente rilevanti, ovvero l’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione disciplinati nel Titolo II, Capo I, del codice penale, ma anche le situazioni in cui – a prescindere dalla rilevanza penale – venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni che gli vengono attribuite, ovvero “l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo, sia che tale azione abbia successo sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo” (Piano Nazionale Anticorruzione, 2013). La legge in oggetto, che in parte recepisce gli stimoli provenienti dalla legislazione internazionale in tema di prevenzione della corruzione, istituisce una nuova figura, il Responsabile della Prevenzione della Corruzione (RPC), di cui ogni istituzione pub-blica (comuni, province, regioni, università, USL, camere di commercio, enti di ricerca, ecc.) deve dotarsi. Tra i compiti dei RPC, vi è anche la redazione di una relazione annuale sull’efficacia delle misure di prevenzione definite nel Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (PTPC), che rappresenta lo strumento attraverso il quale l'amministrazione sistematizza e descrive un processo finalizzato a formulare una strategia di prevenzione del fenomeno. L’obiettivo della relazione è una analisi dell'organizzazione dell’ente, delle sue regole e delle sue prassi di funzionamento in termini di possibile esposizione al fenomeno corruttivo. Attraverso la predisposizione del PTPC, in sostanza, l'amministrazione è tenuta ad attivare azioni capaci di ridurre il rischio di comportamenti corrotti. Il PTPC quindi è un programma di attività, con indicazione delle aree di rischio e dei rischi specifici, delle misure da implementare per la prevenzione in relazione al livello di pericolosità dei rischi specifici, dei responsabili dell'applicazione di ciascuna misura e dei tempi. Considerando i dati raccolti nella relazione annuale dei RPC è possibile ricavare indicatori cosiddetti “di contrasto della corruzione”, il cui obiettivo è mostrare le capacità delle amministrazioni di contrastare la diffusione di comportamenti devianti e pratiche di corruzione. Questi indicatori rivestono particolare importanza per l’esercizio delle attività di monitoraggio e vigilanza, e soprattutto svolgono un ruolo importante per l’eventuale adeguamento del piano nazionale anticorruzione, tutti compiti in mano all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). In questo lavoro verranno analizzati i dati desunti dalle relazioni annuali dei RPC su un campione di comuni italiani nel 2015. La scelta di concentrarsi su un campione di comuni è in parte dovuta alla necessità di disporre di un campione omogeneo di unità statistiche, in parte al fatto che sono già disponibili (a cura dell’ufficio studi dell’ANAC) analisi relative a campioni di enti pubblici di altra natura (ministeri, università, ecc.). In questo lavoro, dopo aver descritto i dati in termini di frequenze di risposta, anche in relazione ad alcune caratteristiche dei comuni – come la loro dimensione e posizione geografica – si propone un primo indice sintetico di prevenzione della corruzione, costruito aggregando le risposte fornite dai comuni ad alcune domande presenti nel questionario. Infine, sulla base di questi ultimi risultati, si avanzano considerazioni sull’efficacia delle relazioni del Responsabile della prevenzione della corruzione come strumento di prevenzione.
Considerazioni sull’efficacia delle relazioni del Responsabile della Prevenzione della Corruzione come strumento di prevenzione.
simone del sarto;michela gnaldi
2018
Abstract
Nella recente legge 190 del 2012, che ha dato via in Italia alle politiche nazionali di prevenzione e contrasto alla corruzione, viene introdotta una nuova nozione di corruzione amministrativa, che considera non solo i comportamenti penalmente rilevanti, ovvero l’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione disciplinati nel Titolo II, Capo I, del codice penale, ma anche le situazioni in cui – a prescindere dalla rilevanza penale – venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni che gli vengono attribuite, ovvero “l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo, sia che tale azione abbia successo sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo” (Piano Nazionale Anticorruzione, 2013). La legge in oggetto, che in parte recepisce gli stimoli provenienti dalla legislazione internazionale in tema di prevenzione della corruzione, istituisce una nuova figura, il Responsabile della Prevenzione della Corruzione (RPC), di cui ogni istituzione pub-blica (comuni, province, regioni, università, USL, camere di commercio, enti di ricerca, ecc.) deve dotarsi. Tra i compiti dei RPC, vi è anche la redazione di una relazione annuale sull’efficacia delle misure di prevenzione definite nel Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (PTPC), che rappresenta lo strumento attraverso il quale l'amministrazione sistematizza e descrive un processo finalizzato a formulare una strategia di prevenzione del fenomeno. L’obiettivo della relazione è una analisi dell'organizzazione dell’ente, delle sue regole e delle sue prassi di funzionamento in termini di possibile esposizione al fenomeno corruttivo. Attraverso la predisposizione del PTPC, in sostanza, l'amministrazione è tenuta ad attivare azioni capaci di ridurre il rischio di comportamenti corrotti. Il PTPC quindi è un programma di attività, con indicazione delle aree di rischio e dei rischi specifici, delle misure da implementare per la prevenzione in relazione al livello di pericolosità dei rischi specifici, dei responsabili dell'applicazione di ciascuna misura e dei tempi. Considerando i dati raccolti nella relazione annuale dei RPC è possibile ricavare indicatori cosiddetti “di contrasto della corruzione”, il cui obiettivo è mostrare le capacità delle amministrazioni di contrastare la diffusione di comportamenti devianti e pratiche di corruzione. Questi indicatori rivestono particolare importanza per l’esercizio delle attività di monitoraggio e vigilanza, e soprattutto svolgono un ruolo importante per l’eventuale adeguamento del piano nazionale anticorruzione, tutti compiti in mano all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). In questo lavoro verranno analizzati i dati desunti dalle relazioni annuali dei RPC su un campione di comuni italiani nel 2015. La scelta di concentrarsi su un campione di comuni è in parte dovuta alla necessità di disporre di un campione omogeneo di unità statistiche, in parte al fatto che sono già disponibili (a cura dell’ufficio studi dell’ANAC) analisi relative a campioni di enti pubblici di altra natura (ministeri, università, ecc.). In questo lavoro, dopo aver descritto i dati in termini di frequenze di risposta, anche in relazione ad alcune caratteristiche dei comuni – come la loro dimensione e posizione geografica – si propone un primo indice sintetico di prevenzione della corruzione, costruito aggregando le risposte fornite dai comuni ad alcune domande presenti nel questionario. Infine, sulla base di questi ultimi risultati, si avanzano considerazioni sull’efficacia delle relazioni del Responsabile della prevenzione della corruzione come strumento di prevenzione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.