L’autismo, la sindrome da deficit d’attenzione e iperattività infantile (ADHD) e la famiglia dei disturbi dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disgrafia etc.) sono condizioni accomunate dal riguardare non tanto la classica categoria del ritardo mentale o del deficit intellettivo, bensì “incapacità” connesse ad aspetti strettamente sociali come la socialità, le abilità implicate nel comunicare e nel capire gli altri e diversi aspetti “ovvi” dei processi di apprendimento. Ciò rende queste condizioni sia di grande interesse per chi studia le basi della socialità umana, sia un formidabile terreno di incontro, o di scontro, tra le prospettive “biologiste”, incarnate dalla medicina e soprattutto dalle neuroscienze, e quelle “umaniste”, sostenute dal pensiero critico. Quale significato va assegnato a tali condizioni: sono “disturbi” da curare o “diversità” da rispettare negli ambienti sociali (la scuola, lo spazio pubblico, il lavoro etc.)? Hanno basi biologiche oppure sono una ennesima forma di medicalizzazione del comportamento umano? Neurodiversità è il recente neologismo impiegato per descrivere tali condizioni allo scopo di evidenziarne la natura di “variazioni” rispetto alla normalità, rigettando così l’idea che si tratti semplicemente di malattie. In questo senso autismo, ADHD e dislessia costituiscono un ambito privilegiato per indagare l’operato di due categorie costitutive del nostro vivere sociale: la normalità e la devianza

Neurodiversità. Per una sociologia dell'autismo, dell'ADHD e dei disturbi dell'apprendimento

Enrico Caniglia
2018

Abstract

L’autismo, la sindrome da deficit d’attenzione e iperattività infantile (ADHD) e la famiglia dei disturbi dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disgrafia etc.) sono condizioni accomunate dal riguardare non tanto la classica categoria del ritardo mentale o del deficit intellettivo, bensì “incapacità” connesse ad aspetti strettamente sociali come la socialità, le abilità implicate nel comunicare e nel capire gli altri e diversi aspetti “ovvi” dei processi di apprendimento. Ciò rende queste condizioni sia di grande interesse per chi studia le basi della socialità umana, sia un formidabile terreno di incontro, o di scontro, tra le prospettive “biologiste”, incarnate dalla medicina e soprattutto dalle neuroscienze, e quelle “umaniste”, sostenute dal pensiero critico. Quale significato va assegnato a tali condizioni: sono “disturbi” da curare o “diversità” da rispettare negli ambienti sociali (la scuola, lo spazio pubblico, il lavoro etc.)? Hanno basi biologiche oppure sono una ennesima forma di medicalizzazione del comportamento umano? Neurodiversità è il recente neologismo impiegato per descrivere tali condizioni allo scopo di evidenziarne la natura di “variazioni” rispetto alla normalità, rigettando così l’idea che si tratti semplicemente di malattie. In questo senso autismo, ADHD e dislessia costituiscono un ambito privilegiato per indagare l’operato di due categorie costitutive del nostro vivere sociale: la normalità e la devianza
2018
978-88-8353-787-5
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