Il saggio, frutto di una specifica ricerca, rappresenta la prima organica ricostruzione di quel particolare fenomeno che nella seconda metà del Novecento vede l'Umbria accogliere artisti di fama internazionale. Prestigiose manifestazioni culturali (Festival dei Due Mondi di Spoleto dal 1958) e pionieristiche iniziative espositive, come la mostra "Sculture nella città", curata da Giovanni Carandente a Spoleto nel 1962, o "Lo Spazio dell'immagine" a Foligno nel 1967, avviano una nuova stagione di presenze che conferma il ruolo della regione - storicamente riconosciuto - di crocevia culturale. Sono così indagate le ragioni che determinano anche la stanzialità degli artisti (ad esempio, Pepper, Dorazio, Boetti, Sol LeWitt), spesso alla scoperta di luoghi e contesti naturali che sembrano favorire la loro ricerca. Le molte traiettorie individuali che si intrecciano nei centri urbani o in una più appartata dimensione rurale restituiscono un mosaico di esperienze che, pur molto eterogenee, trovano un denominatore comune in una relazione mai epidermica con il "genius loci": è così per Klein, che tra il 1957 e il 1961 è ben cinque volte in Umbria tra Assisi e Cascia, dove lascia un "Monochrome bleu" e uno straordinario ex voto; per Uncini, che sceglie di stabilire a Trevi la propria dimora su un orizzonte dominato dalla memoria di Giotto e dei maestri del Rinascimento; per Sol LeWitt, che dal 1971 stabilisce a Spoleto il proprio baricentro europeo, con una serie di interventi permeabilmente pensati in dialogo con l'essenza strutturale dell'ambiente; per Pistoletto, che disegna nella terra e con gli ulivi il "Terzo Paradiso" nel bosco di San Francesco ad Assisi. In questa particolare prospettiva, incardinata sul filo rosso dell'appartenenza ideale e culturale al territorio, il saggio approfondisce anche l'esperienza dei due artisti umbri di maggior fama: Burri, "così anticamente umbro eppure violentemente affacciato al mondo" (secondo la felice definizione di Francesco Arcangeli), e Leoncillo, la cui vicenda affonda le radici in una secolare tradizione fabrile che rivive nella tormentata espressività della sua scultura informale.

Cosmogonie. Dal cielo di Klein alla terra di Pistoletto

Stefania Petrillo
2019

Abstract

Il saggio, frutto di una specifica ricerca, rappresenta la prima organica ricostruzione di quel particolare fenomeno che nella seconda metà del Novecento vede l'Umbria accogliere artisti di fama internazionale. Prestigiose manifestazioni culturali (Festival dei Due Mondi di Spoleto dal 1958) e pionieristiche iniziative espositive, come la mostra "Sculture nella città", curata da Giovanni Carandente a Spoleto nel 1962, o "Lo Spazio dell'immagine" a Foligno nel 1967, avviano una nuova stagione di presenze che conferma il ruolo della regione - storicamente riconosciuto - di crocevia culturale. Sono così indagate le ragioni che determinano anche la stanzialità degli artisti (ad esempio, Pepper, Dorazio, Boetti, Sol LeWitt), spesso alla scoperta di luoghi e contesti naturali che sembrano favorire la loro ricerca. Le molte traiettorie individuali che si intrecciano nei centri urbani o in una più appartata dimensione rurale restituiscono un mosaico di esperienze che, pur molto eterogenee, trovano un denominatore comune in una relazione mai epidermica con il "genius loci": è così per Klein, che tra il 1957 e il 1961 è ben cinque volte in Umbria tra Assisi e Cascia, dove lascia un "Monochrome bleu" e uno straordinario ex voto; per Uncini, che sceglie di stabilire a Trevi la propria dimora su un orizzonte dominato dalla memoria di Giotto e dei maestri del Rinascimento; per Sol LeWitt, che dal 1971 stabilisce a Spoleto il proprio baricentro europeo, con una serie di interventi permeabilmente pensati in dialogo con l'essenza strutturale dell'ambiente; per Pistoletto, che disegna nella terra e con gli ulivi il "Terzo Paradiso" nel bosco di San Francesco ad Assisi. In questa particolare prospettiva, incardinata sul filo rosso dell'appartenenza ideale e culturale al territorio, il saggio approfondisce anche l'esperienza dei due artisti umbri di maggior fama: Burri, "così anticamente umbro eppure violentemente affacciato al mondo" (secondo la felice definizione di Francesco Arcangeli), e Leoncillo, la cui vicenda affonda le radici in una secolare tradizione fabrile che rivive nella tormentata espressività della sua scultura informale.
2019
978-88-6778-124-9
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1457962
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