Il saggio si distingue per un'analisi approfondita delle motivazioni e delle strategie di Enver, spesso interpretate in storiografia come mere "macchinazioni di un avventuriero", proponendo invece una lettura più sfumata e coerente della sua evoluzione politica. Inoltre esso si discosta dalla tendenza storiografica prevalente che etichetta Enver Paşa come un semplice "avventuriero" o "fanatico". Gli autori, pur riconoscendo la sua ambizione e il suo idealismo, evidenziano una "intima coerenza" nella sua traiettoria politica. La sua adesione al "bolscevismo islamico" non è vista solo come opportunismo, ma come un "simulacro del progressismo originario dei Giovani Turchi", in cui elementi come l'Islam, il liberalismo, il secolarismo e lo statalismo si mescolavano. Questa interpretazione suggerisce che, nonostante le apparenze, Enver cercasse una via per unire i suoi ideali panturchisti con le nuove realtà geopolitiche. Vi è dunque una critica sfaccettata del panturchismo e del panislamismo di Enver. Nonostante la grandezza delle sue ambizioni — l'unione dei popoli turcofoni in un vasto impero panturanico — il saggio tenta di dimostrare come questi ideali fossero spesso "grandiosi quanto chimerici". Gli autori sottolineano la fragilità delle radici di questi ideali di fronte alla mancanza di una coscienza nazionale diffusa tra le masse e alle divisioni tra le élite. Viene esplorato come il panislamismo servisse spesso da "paravento" per la politica di potenza degli emiri, che ritirarono il loro sostegno non appena i propri interessi vennero meno. Un aspetto distintivo è l'esplorazione dei rapporti ambigui e spesso contraddittori di Enver con la Russia sovietica e la Turchia kemalista. Viene dettagliato come Enver cercasse di sfruttare l'anticolonialismo bolscevico per i suoi fini panturchisti , offrendo il suo prestigio in cambio di supporto. Allo stesso tempo, emerge la sua rivalità con Mustafa Kemal, che vedeva come un "usurpatore", e il suo tentativo di porsi come alternativa "sovietista". Il saggio mette in luce la doppiezza di Mosca, che teneva Enver come un "asso nella manica" in caso di fallimento di Kemal. Questa dinamica complessa di alleanze opportunistiche e rivalità latenti è un punto focale del saggio. Una sezione approfondita è dedicata alla rivolta dei basmači in Asia centrale, di cui Enver assunse il comando. Viene descritta la natura eterogenea dei ribelli — mullah, capi tribali, borghesi, contadini — e la conseguente "frammentarietà della leadership e l'incoerenza degli obiettivi". L'originalità qui risiede nel mostrare come Enver, pur essendo un "buon tattico" e "organizzatore di scuola germanica", sbagliò strategia nel Turkestan cercando una "battaglia d'annientamento" anziché la guerriglia, un approccio meno adatto al contesto locale. Il saggio fa un uso significativo e originale di documenti diplomatici italiani. Questi rapporti offrono una prospettiva esterna e spesso critica sugli eventi e sulla figura di Enver Paşa, arricchendo la narrazione con dettagli sulle reazioni europee, le preoccupazioni per la propaganda panislamica e le speculazioni sui suoi rapporti con il Foreign Office britannico. L'inclusione di queste fonti contribuisce a un quadro più completo e meno eurocentrico della vicenda. In sintesi, il saggio offre una lettura innovativa di Enver Paşa che va oltre la semplice narrazione dell'avventuriero, approfondendo la coerenza dei suoi ideali, la complessità delle sue alleanze e la specificità della sua azione in Asia Centrale, il tutto supportato da un'originale base documentale

Enver Paşa da Baku a Buchara. La chimera del panturchismo tra Russia sovietica e Turchia kemalista, 1920-22

Francesco Randazzo
2019

Abstract

Il saggio si distingue per un'analisi approfondita delle motivazioni e delle strategie di Enver, spesso interpretate in storiografia come mere "macchinazioni di un avventuriero", proponendo invece una lettura più sfumata e coerente della sua evoluzione politica. Inoltre esso si discosta dalla tendenza storiografica prevalente che etichetta Enver Paşa come un semplice "avventuriero" o "fanatico". Gli autori, pur riconoscendo la sua ambizione e il suo idealismo, evidenziano una "intima coerenza" nella sua traiettoria politica. La sua adesione al "bolscevismo islamico" non è vista solo come opportunismo, ma come un "simulacro del progressismo originario dei Giovani Turchi", in cui elementi come l'Islam, il liberalismo, il secolarismo e lo statalismo si mescolavano. Questa interpretazione suggerisce che, nonostante le apparenze, Enver cercasse una via per unire i suoi ideali panturchisti con le nuove realtà geopolitiche. Vi è dunque una critica sfaccettata del panturchismo e del panislamismo di Enver. Nonostante la grandezza delle sue ambizioni — l'unione dei popoli turcofoni in un vasto impero panturanico — il saggio tenta di dimostrare come questi ideali fossero spesso "grandiosi quanto chimerici". Gli autori sottolineano la fragilità delle radici di questi ideali di fronte alla mancanza di una coscienza nazionale diffusa tra le masse e alle divisioni tra le élite. Viene esplorato come il panislamismo servisse spesso da "paravento" per la politica di potenza degli emiri, che ritirarono il loro sostegno non appena i propri interessi vennero meno. Un aspetto distintivo è l'esplorazione dei rapporti ambigui e spesso contraddittori di Enver con la Russia sovietica e la Turchia kemalista. Viene dettagliato come Enver cercasse di sfruttare l'anticolonialismo bolscevico per i suoi fini panturchisti , offrendo il suo prestigio in cambio di supporto. Allo stesso tempo, emerge la sua rivalità con Mustafa Kemal, che vedeva come un "usurpatore", e il suo tentativo di porsi come alternativa "sovietista". Il saggio mette in luce la doppiezza di Mosca, che teneva Enver come un "asso nella manica" in caso di fallimento di Kemal. Questa dinamica complessa di alleanze opportunistiche e rivalità latenti è un punto focale del saggio. Una sezione approfondita è dedicata alla rivolta dei basmači in Asia centrale, di cui Enver assunse il comando. Viene descritta la natura eterogenea dei ribelli — mullah, capi tribali, borghesi, contadini — e la conseguente "frammentarietà della leadership e l'incoerenza degli obiettivi". L'originalità qui risiede nel mostrare come Enver, pur essendo un "buon tattico" e "organizzatore di scuola germanica", sbagliò strategia nel Turkestan cercando una "battaglia d'annientamento" anziché la guerriglia, un approccio meno adatto al contesto locale. Il saggio fa un uso significativo e originale di documenti diplomatici italiani. Questi rapporti offrono una prospettiva esterna e spesso critica sugli eventi e sulla figura di Enver Paşa, arricchendo la narrazione con dettagli sulle reazioni europee, le preoccupazioni per la propaganda panislamica e le speculazioni sui suoi rapporti con il Foreign Office britannico. L'inclusione di queste fonti contribuisce a un quadro più completo e meno eurocentrico della vicenda. In sintesi, il saggio offre una lettura innovativa di Enver Paşa che va oltre la semplice narrazione dell'avventuriero, approfondendo la coerenza dei suoi ideali, la complessità delle sue alleanze e la specificità della sua azione in Asia Centrale, il tutto supportato da un'originale base documentale
2019
9788891787309
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1461364
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