Investigata dai medici, descritta dai trattatisti, temuta dai religiosi ed esibita dai poeti e dagli innamorati, la Melancholia – o “malattia Elisabettiana”, come è stata recentemente definita da Lawrence Babb – trionfa in tutte le sue sfaccettature nel Rinascimento inglese, e si rivela agli occhi dell’osservatore moderno come un complesso e affascinante intreccio di istanze diverse, e dunque metamorficamente aperta alle interpretazioni e agli usi più disparati. Non sorprende dunque che William Shakespeare, che nulla tralascia dell’infinita realtà che lo circonda, vi faccia più volte riferimento nelle sue opere; soprattutto, per quanto paradossale possa apparire, nelle commedie. Ma se qui l’uso abbondante del termine “melancholy” si fonde per lo più alla critica del poeta alla retorica poetico-cortigiana petrarchista, rivelandosi dunque non indagine seria della malattia dell’anima ma piuttosto sorridente presa in giro della moda del momento, più profonda riflessione si avrà con altri personaggi della drammaturgia shakespeariana, e in modo del tutto particolare con il principe Amleto. Da secoli ormai Amleto è stato definito dalla critica come il personaggio malinconico per eccellenza, e in quanto tale studiato da molteplici punti di vista. Nonostante ciò, l’opera tutta, e in particolare il suo protagonista, sfugge a qualunque rigida interpretazione, immersa in un’ambiguità profonda che preserva sempre intatto, a dispetto delle letture più accurate, un cuore inesplicabile di mistero. Non ci illudiamo dunque, attraverso il nostro intervento, di dare un’interpretazione esaustiva del carattere del principe, su cui si apre un abisso ermeneutico incolmabile. Ciò che si cercherà invece di fare è portare alla luce un tratto della “malattia” di Amleto che non è forse stato finora sufficientemente indagato, ovvero la stretta connessione instaurata da Shakespeare tra la devastante “malinconia” del principe e il suo altrettanto devastante fanatismo religioso. Il disgusto maniaco-ossessivo di Amleto per la matrice naturale e materiale della vita e dell’essere umano, riflettente l’ansia di “dis-incarnazione” cui egli tende nel suo estremo desiderio di trascendenza, trova infatti le sue basi nella dottrina riformata, e in particolar modo puritana, ma allo stesso tempo non si esaurisce in essa, andando a innestarsi su una psiche malata che ne esalta gli aspetti più morbosi e distruttivi. Un disgusto che paralizza Amleto, rendendolo incapace di quell’azione – la vendetta del padre – che non può avere luogo se non entrando in contatto con l’aborrita “baser matter”, e che si traduce da una parte nell’ossessione che il principe nutre nei confronti dei processi di corruzione della carne, e dall’altra in un parossistico rifiuto di quelle funzioni che più di tutte legano l’uomo al suo substrato biologico: il mangiare e soprattutto il sesso. Attraverso tale indagine della natura di Amleto, questo studio contribuirà a fare luce non solo sulla specificità della “malattia” del principe, ma anche a evidenziare la grande modernità di Shakespeare, capace di rompere il tabù che teneva rigidamente distinti malattia e religione. Una modernità che supera e allo stesso tempo incarna lo spirito di un secolo profondamente turbato dai fanatismi religiosi, e che troverà risposta, pochi anni più tardi, nel famosissimo “The Anatomy of Melancholy” di Robert Burton, in cui per la prima volta il fanatismo religioso verrà trattato nel suo aspetto patologico, sotto il nome di “religious melancholy”.

Malinconia e fanatismo religioso: il caso di Amleto

Caporicci C
2017

Abstract

Investigata dai medici, descritta dai trattatisti, temuta dai religiosi ed esibita dai poeti e dagli innamorati, la Melancholia – o “malattia Elisabettiana”, come è stata recentemente definita da Lawrence Babb – trionfa in tutte le sue sfaccettature nel Rinascimento inglese, e si rivela agli occhi dell’osservatore moderno come un complesso e affascinante intreccio di istanze diverse, e dunque metamorficamente aperta alle interpretazioni e agli usi più disparati. Non sorprende dunque che William Shakespeare, che nulla tralascia dell’infinita realtà che lo circonda, vi faccia più volte riferimento nelle sue opere; soprattutto, per quanto paradossale possa apparire, nelle commedie. Ma se qui l’uso abbondante del termine “melancholy” si fonde per lo più alla critica del poeta alla retorica poetico-cortigiana petrarchista, rivelandosi dunque non indagine seria della malattia dell’anima ma piuttosto sorridente presa in giro della moda del momento, più profonda riflessione si avrà con altri personaggi della drammaturgia shakespeariana, e in modo del tutto particolare con il principe Amleto. Da secoli ormai Amleto è stato definito dalla critica come il personaggio malinconico per eccellenza, e in quanto tale studiato da molteplici punti di vista. Nonostante ciò, l’opera tutta, e in particolare il suo protagonista, sfugge a qualunque rigida interpretazione, immersa in un’ambiguità profonda che preserva sempre intatto, a dispetto delle letture più accurate, un cuore inesplicabile di mistero. Non ci illudiamo dunque, attraverso il nostro intervento, di dare un’interpretazione esaustiva del carattere del principe, su cui si apre un abisso ermeneutico incolmabile. Ciò che si cercherà invece di fare è portare alla luce un tratto della “malattia” di Amleto che non è forse stato finora sufficientemente indagato, ovvero la stretta connessione instaurata da Shakespeare tra la devastante “malinconia” del principe e il suo altrettanto devastante fanatismo religioso. Il disgusto maniaco-ossessivo di Amleto per la matrice naturale e materiale della vita e dell’essere umano, riflettente l’ansia di “dis-incarnazione” cui egli tende nel suo estremo desiderio di trascendenza, trova infatti le sue basi nella dottrina riformata, e in particolar modo puritana, ma allo stesso tempo non si esaurisce in essa, andando a innestarsi su una psiche malata che ne esalta gli aspetti più morbosi e distruttivi. Un disgusto che paralizza Amleto, rendendolo incapace di quell’azione – la vendetta del padre – che non può avere luogo se non entrando in contatto con l’aborrita “baser matter”, e che si traduce da una parte nell’ossessione che il principe nutre nei confronti dei processi di corruzione della carne, e dall’altra in un parossistico rifiuto di quelle funzioni che più di tutte legano l’uomo al suo substrato biologico: il mangiare e soprattutto il sesso. Attraverso tale indagine della natura di Amleto, questo studio contribuirà a fare luce non solo sulla specificità della “malattia” del principe, ma anche a evidenziare la grande modernità di Shakespeare, capace di rompere il tabù che teneva rigidamente distinti malattia e religione. Una modernità che supera e allo stesso tempo incarna lo spirito di un secolo profondamente turbato dai fanatismi religiosi, e che troverà risposta, pochi anni più tardi, nel famosissimo “The Anatomy of Melancholy” di Robert Burton, in cui per la prima volta il fanatismo religioso verrà trattato nel suo aspetto patologico, sotto il nome di “religious melancholy”.
2017
978-88-97738-94-7
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1490270
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