Sindemia sta a indicare “gli effetti negativi sulle persone e sull’intera società prodotta dall’interazione sinergica tra due o più malattie” . La sindemia causata da SARS-COV2 ha portato alla luce i pregi e i difetti del nostro sistema sociale e, come in tutti gli altri settori della vita pubblica, anche il sistema scolastico ne è stato investito a trecentosessanta gradi. Trascinata dalla discussione sulla Didattica a Distanza prima e sulla Didattica digitale integrata (DID) poi, l’attenzione sulla scuola si è concentrata su come garantire uno svolgimento regolare degli esami finali in condizioni di sicurezza e contemporaneamente si è posto il tema della ripresa dell’anno scolastico a Settembre in modo da assicurare il mantenimento delle indicazioni di prevenzione. Durante l’anno scolastico il dibattito si è focalizzato su come gestire le nuove curve epidemiche, tra aperture e chiusure locali, tra casi positivi a scuola e rischi, tra dati spesso assenti e nebulosi. L’emergenza sanitaria si è rivelata presto emergenza educativa rispetto ai bisogni dei gruppi più vulnerabili e rispetto ai valori dell’educazione per uno sviluppo positivo. Sono queste, ancora più che in passato – com’era giusto che fosse data la gravità e l’urgenza – le questioni irrisolte del nostro sistema scolastico, fino a coinvolgere la stessa natura della missione della scuola, in tutti i suoi livelli. Dalla fatiscenza delle strutture, al precariato. Dalle teorie che informano il sistema educativo, ai metodi e alle tecnologie didattiche, alla formazione degli insegnanti fino ad arrivare alla connessione tra benessere e apprendimento. Il rapporto con la salute ha fatto da detonatore a una bomba sempre lì lì per scoppiare. Noi pensiamo che porsi il problema della salute a scuola non sia solo una questione di sicurezza, epidemiologica e di sanità pubblica in senso tradizionale. Certo è basilare, quasi ovvio che debba esserci anche questo. Il Covid-19 tuttavia si è rivelato un momento strategico per riflettere su come il sistema educativo e l’organizzazione scolastica nel suo insieme possano prendersi in carico la promozione della salute delle persone che lo abitano quotidianamente. L’assunto, ormai quasi scontato (ma non per questo sufficientemente praticato), consiste nel ritenere che la scuola, proprio prendendosi cura della salute e del benessere di chi ne fa parte, possa assicurare il più alto vantaggio al conseguimento delle finalità educative e di apprendimento che ne costituiscono la ragione di esistere. C’è un aspetto nella vicenda della scuola in questi mesi che è emerso con chiarezza estrema. L’emergenza sindemica (ma vale ancora parlare di emergenza?) ha dimostrato che la salute è un affare che riguarda le politiche di un Paese. Abbiamo potuto sperimentare come la sicurezza del rientro (dei vari “rientri”) a scuola sia una variabile che dipende non solo (non tanto?) dalle politiche scolastiche in senso stretto. Ma è legata ad altre politiche: i trasporti, il lavoro, l’economia. Un altro aspetto che trova difficoltà ad emergere nel dibattito pubblico ed è quello del valore che come Paese vogliamo assegnare alla nostra scuola e all’educazione. Nel tempo in cui il nostro Paese si sta preparando ad un recovery di proporzioni mai viste, è indispensabile che il discorso sul valore della scuola sia posto e sviluppato. C’è in corso, e non da oggi, una dialettica nazionale tra diverse culture della scuola: una cultura dell’educazione della persona, dell’inclusione, dell’autonomia, della scuola pubblica versus una cultura delle discipline, tecnocratica, paternalistica, statalista. È il caso di scegliere quale sarà l’impronta culturale che vogliamo dare alla scuola della “nuova normalità”. Tra le riflessioni evidenziate della cattedra UNESCO Global Health & Education, alcune ci sembrano particolarmente significative e raggruppano elementi raccontati nel dossier, contribuendo a ripensare la cultura della scuola interconnessa con quella della salute. Ad esempio l’idea delle “comunità di apprendimento” che si sono create oltre il setting scuola, comunità di apprendimento di studenti e di docenti, in presenza e virtuali, caratterizzate come veri e propri setting pedagogici, in cui ognuno si rende disponibile ad insegnare e ad imparare. Un altro elemento riguarda l’agentività degli studenti (student agency) ovvero il controllo sulle scelte e sulla gestione del proprio percorso di apprendimento, anche in relazione al genere; un processo che può essere attivato supportando la responsabilità e l’autonomia, con metodi di apprendimento basati sui progetti e orientati ai bisogni e ai talenti delle studentesse e degli studenti, in modo da favorire la costruzione di significato rispetto all’essere parte di un progetto di costruzione di saperi e competenze. Ancora, il ruolo di mentore, accompagnatore, che dovrebbe sostituire quello di Maestro detentore del sapere. Anche perché tra gli obiettivi del curriculum scolastico dovrebbe essere sempre più presente l’imparare ad imparare, come strategia e capacità per affrontare l’incertezza e imparare a navigare nel futuro indeterminato del life-long learning. Il Covid-19 ci ha insegnato quanto sia importante riprendere una riflessione sull’approccio olistico nella formazione della persona, un approccio che deve distinguersi come “comprensivo” delle diverse dimensioni che determinano la salute, rifocalizzando l’attenzione sul benessere individuale e collettivo. Gli operatori della scuola durante questi mesi hanno individuato la necessità di ridurre l’ansia, costruire legami di comunità, supportare sentimenti di sicurezza tra gli studenti, nutrire e assicurare una giusta alimentazione a tutti, proteggere contro il bullismo, la violenza domestica e contro le discriminazioni di genere. Quanto ad esempio nel periodo della pandemia è risultata importante l’enfasi posta sulle attività di gioco, movimento, esercizio? Ovvero, quanto l’emergenza sanitaria ha fatto esplodere l’importanza di stili di vita postivi e salutari come bisogni irrinunciabili che spesso invece rimanevano suggerimenti di salute inascoltati? A fine sindemia le scuole dovrebbero essere ridisegnate seguendo queste evidenze, portate alla luce da questa crisi sanitaria, ad esempio creando scuole in cui fare più attività motoria, più gioco, più azioni in grado di dare energia all’apprendimento, alla salute, alla bellezza e alla felicità. La crisi ci ha spinto a pensare e a riconoscere quanto e come siamo interconnessi. Per affrontare le incertezze del cambiamento abbiamo bisogno di allargare lo sguardo per riconoscere le risorse e le opportunità della micro comunità educante e di quella globale. Così come è necessario agire non solo per soddisfare i propri bisogni di salute e apprendimento ma anche considerare le iniquità che coinvolgono le comunità dell’intero pianeta. L’accesso alle risorse per il diritto alla salute si interseca con l’accesso alle risorse per il diritto all’istruzione (come internet, le biblioteche, le digital humanities). La scuola che promuove salute deve diventare luogo in cui si nutrono il corpo e la mente ma anche le relazioni con chi è in grado di supportare senza riserva o di riconoscere i talenti e le potenzialità di ognuno. La scuola che promuove salute è la scuola che crea eredità culturale e umana per il futuro.

Educare e promuovere la salute a scuola: sconfinamenti e connessioni

Giancarlo Pocetta
2020

Abstract

Sindemia sta a indicare “gli effetti negativi sulle persone e sull’intera società prodotta dall’interazione sinergica tra due o più malattie” . La sindemia causata da SARS-COV2 ha portato alla luce i pregi e i difetti del nostro sistema sociale e, come in tutti gli altri settori della vita pubblica, anche il sistema scolastico ne è stato investito a trecentosessanta gradi. Trascinata dalla discussione sulla Didattica a Distanza prima e sulla Didattica digitale integrata (DID) poi, l’attenzione sulla scuola si è concentrata su come garantire uno svolgimento regolare degli esami finali in condizioni di sicurezza e contemporaneamente si è posto il tema della ripresa dell’anno scolastico a Settembre in modo da assicurare il mantenimento delle indicazioni di prevenzione. Durante l’anno scolastico il dibattito si è focalizzato su come gestire le nuove curve epidemiche, tra aperture e chiusure locali, tra casi positivi a scuola e rischi, tra dati spesso assenti e nebulosi. L’emergenza sanitaria si è rivelata presto emergenza educativa rispetto ai bisogni dei gruppi più vulnerabili e rispetto ai valori dell’educazione per uno sviluppo positivo. Sono queste, ancora più che in passato – com’era giusto che fosse data la gravità e l’urgenza – le questioni irrisolte del nostro sistema scolastico, fino a coinvolgere la stessa natura della missione della scuola, in tutti i suoi livelli. Dalla fatiscenza delle strutture, al precariato. Dalle teorie che informano il sistema educativo, ai metodi e alle tecnologie didattiche, alla formazione degli insegnanti fino ad arrivare alla connessione tra benessere e apprendimento. Il rapporto con la salute ha fatto da detonatore a una bomba sempre lì lì per scoppiare. Noi pensiamo che porsi il problema della salute a scuola non sia solo una questione di sicurezza, epidemiologica e di sanità pubblica in senso tradizionale. Certo è basilare, quasi ovvio che debba esserci anche questo. Il Covid-19 tuttavia si è rivelato un momento strategico per riflettere su come il sistema educativo e l’organizzazione scolastica nel suo insieme possano prendersi in carico la promozione della salute delle persone che lo abitano quotidianamente. L’assunto, ormai quasi scontato (ma non per questo sufficientemente praticato), consiste nel ritenere che la scuola, proprio prendendosi cura della salute e del benessere di chi ne fa parte, possa assicurare il più alto vantaggio al conseguimento delle finalità educative e di apprendimento che ne costituiscono la ragione di esistere. C’è un aspetto nella vicenda della scuola in questi mesi che è emerso con chiarezza estrema. L’emergenza sindemica (ma vale ancora parlare di emergenza?) ha dimostrato che la salute è un affare che riguarda le politiche di un Paese. Abbiamo potuto sperimentare come la sicurezza del rientro (dei vari “rientri”) a scuola sia una variabile che dipende non solo (non tanto?) dalle politiche scolastiche in senso stretto. Ma è legata ad altre politiche: i trasporti, il lavoro, l’economia. Un altro aspetto che trova difficoltà ad emergere nel dibattito pubblico ed è quello del valore che come Paese vogliamo assegnare alla nostra scuola e all’educazione. Nel tempo in cui il nostro Paese si sta preparando ad un recovery di proporzioni mai viste, è indispensabile che il discorso sul valore della scuola sia posto e sviluppato. C’è in corso, e non da oggi, una dialettica nazionale tra diverse culture della scuola: una cultura dell’educazione della persona, dell’inclusione, dell’autonomia, della scuola pubblica versus una cultura delle discipline, tecnocratica, paternalistica, statalista. È il caso di scegliere quale sarà l’impronta culturale che vogliamo dare alla scuola della “nuova normalità”. Tra le riflessioni evidenziate della cattedra UNESCO Global Health & Education, alcune ci sembrano particolarmente significative e raggruppano elementi raccontati nel dossier, contribuendo a ripensare la cultura della scuola interconnessa con quella della salute. Ad esempio l’idea delle “comunità di apprendimento” che si sono create oltre il setting scuola, comunità di apprendimento di studenti e di docenti, in presenza e virtuali, caratterizzate come veri e propri setting pedagogici, in cui ognuno si rende disponibile ad insegnare e ad imparare. Un altro elemento riguarda l’agentività degli studenti (student agency) ovvero il controllo sulle scelte e sulla gestione del proprio percorso di apprendimento, anche in relazione al genere; un processo che può essere attivato supportando la responsabilità e l’autonomia, con metodi di apprendimento basati sui progetti e orientati ai bisogni e ai talenti delle studentesse e degli studenti, in modo da favorire la costruzione di significato rispetto all’essere parte di un progetto di costruzione di saperi e competenze. Ancora, il ruolo di mentore, accompagnatore, che dovrebbe sostituire quello di Maestro detentore del sapere. Anche perché tra gli obiettivi del curriculum scolastico dovrebbe essere sempre più presente l’imparare ad imparare, come strategia e capacità per affrontare l’incertezza e imparare a navigare nel futuro indeterminato del life-long learning. Il Covid-19 ci ha insegnato quanto sia importante riprendere una riflessione sull’approccio olistico nella formazione della persona, un approccio che deve distinguersi come “comprensivo” delle diverse dimensioni che determinano la salute, rifocalizzando l’attenzione sul benessere individuale e collettivo. Gli operatori della scuola durante questi mesi hanno individuato la necessità di ridurre l’ansia, costruire legami di comunità, supportare sentimenti di sicurezza tra gli studenti, nutrire e assicurare una giusta alimentazione a tutti, proteggere contro il bullismo, la violenza domestica e contro le discriminazioni di genere. Quanto ad esempio nel periodo della pandemia è risultata importante l’enfasi posta sulle attività di gioco, movimento, esercizio? Ovvero, quanto l’emergenza sanitaria ha fatto esplodere l’importanza di stili di vita postivi e salutari come bisogni irrinunciabili che spesso invece rimanevano suggerimenti di salute inascoltati? A fine sindemia le scuole dovrebbero essere ridisegnate seguendo queste evidenze, portate alla luce da questa crisi sanitaria, ad esempio creando scuole in cui fare più attività motoria, più gioco, più azioni in grado di dare energia all’apprendimento, alla salute, alla bellezza e alla felicità. La crisi ci ha spinto a pensare e a riconoscere quanto e come siamo interconnessi. Per affrontare le incertezze del cambiamento abbiamo bisogno di allargare lo sguardo per riconoscere le risorse e le opportunità della micro comunità educante e di quella globale. Così come è necessario agire non solo per soddisfare i propri bisogni di salute e apprendimento ma anche considerare le iniquità che coinvolgono le comunità dell’intero pianeta. L’accesso alle risorse per il diritto alla salute si interseca con l’accesso alle risorse per il diritto all’istruzione (come internet, le biblioteche, le digital humanities). La scuola che promuove salute deve diventare luogo in cui si nutrono il corpo e la mente ma anche le relazioni con chi è in grado di supportare senza riserva o di riconoscere i talenti e le potenzialità di ognuno. La scuola che promuove salute è la scuola che crea eredità culturale e umana per il futuro.
2020
0391-223X
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1491786
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