Una analisi antropologica di Gramsci e di Dante focalizzata sul tema del "genere". In questo scritto si legge da un punto di vista antropologico la questione del rapporto tra Gramsci e Dante affrontando il nesso seguendo parzialmente il politico sardo in alcuni passi dei suoi scritti allorché chiama in causa l’opera e la vita del poeta. Si manifesta interesse a tale legame in quanto esso può ulteriormente sottolineare quella appare come una strategica centralità nell’opera di Gramsci: la complessità della tematica che oggi in antropologia si definisce di "genere". Si tratta di affrontare questo tema intrecciandolo alle riflessioni e alle sperimentazioni linguistiche tratteo dal confronto tra le due figure. Leggendo Dante, Gramsci era molto consapevole di trovarsi di fronte a una personalità di grandissima importanza anche sul piano politico, impegnata nel suo tempo a elaborare una propria dottrina linguistica “utopica”, appassionata e innovativa soprattutto nei versi di invettiva, ben esprimendo il passaggio dal Medioevo all’Età Moderna. Esaminando ora antropologicamente l’attenzione di un lettore così importante come Gramsci, emerge il significato altissimo della scrittura di Dante, il quale elabora forme espressive di grande potenza sperimentale, trovandosi a fronteggiare l’assoluto enigma del rifiuto della donna. Producendo poesia nell’impossibilità di farla, Dante vince il mistero della sperimentazione artistica e il suo linguaggio diviene il laboratorio di una torsione di ricerca volta a dire l’indicibile. Al contrario, tale percorso di sperimentazione linguistica tende a fallire nelle produzioni del cosiddetto hate speech, il “discorso ostile” – come si evincerà da recenti ricerche etnografiche comparate delle quali pure si dà conto nello sviluppo finale del capitolo.
"Così nel mio parlar vogli'esser aspro". Per una riflessione antropologica su Gramsci lettore di Dante
Giovanni Pizza
Membro del Collaboration Group
2020
Abstract
Una analisi antropologica di Gramsci e di Dante focalizzata sul tema del "genere". In questo scritto si legge da un punto di vista antropologico la questione del rapporto tra Gramsci e Dante affrontando il nesso seguendo parzialmente il politico sardo in alcuni passi dei suoi scritti allorché chiama in causa l’opera e la vita del poeta. Si manifesta interesse a tale legame in quanto esso può ulteriormente sottolineare quella appare come una strategica centralità nell’opera di Gramsci: la complessità della tematica che oggi in antropologia si definisce di "genere". Si tratta di affrontare questo tema intrecciandolo alle riflessioni e alle sperimentazioni linguistiche tratteo dal confronto tra le due figure. Leggendo Dante, Gramsci era molto consapevole di trovarsi di fronte a una personalità di grandissima importanza anche sul piano politico, impegnata nel suo tempo a elaborare una propria dottrina linguistica “utopica”, appassionata e innovativa soprattutto nei versi di invettiva, ben esprimendo il passaggio dal Medioevo all’Età Moderna. Esaminando ora antropologicamente l’attenzione di un lettore così importante come Gramsci, emerge il significato altissimo della scrittura di Dante, il quale elabora forme espressive di grande potenza sperimentale, trovandosi a fronteggiare l’assoluto enigma del rifiuto della donna. Producendo poesia nell’impossibilità di farla, Dante vince il mistero della sperimentazione artistica e il suo linguaggio diviene il laboratorio di una torsione di ricerca volta a dire l’indicibile. Al contrario, tale percorso di sperimentazione linguistica tende a fallire nelle produzioni del cosiddetto hate speech, il “discorso ostile” – come si evincerà da recenti ricerche etnografiche comparate delle quali pure si dà conto nello sviluppo finale del capitolo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.