Nella civiltà ipertecnologica e della materia intelligente (?), fondata sul controllo totale, sull’illusione della prevedibilità, sulla programmazione/(iper)simulazione dei processi e delle azioni, e segnata da una progressiva crescita del tecnologicamente controllato - che marginalizza lo spazio della responsabilità - le sfide del cambiamento sono riconducibili all’urgenza di definire un sistema di pensiero adeguato al mutamento in corso e in grado di ripensare/ridefinire la centralità dell’Umano, dentro ecosistemi in cui non esiste più alcun confine tra naturale ed artificiale. In tempi di “tecno-capitalismo” e di “capitalismo della sorveglianza”1, di egemonia della cd. «platform society», le sfide più complesse e difficili continuano ad essere, ancora una volta e per numerose ragioni, quelle educative e formative. Lo ribadisco con ancora più forza oggi immersi, come siamo, nel mezzo di una pandemia (di una serie di pandemie) che, nel riaffermare la straordinaria, e sostanziale, inadeguatezza dei paradigmi organizzativi e culturali, oltre che dei processi educativi e formativi, ha evidenziato, senza alcun margine di ambiguità, una crescente complessità - ho sempre preferito parlare di “ipercomplessità” e dell’urgenza di abitarla, non essendo gestibile, controllabile, prevedibile - del mutamento (globale) in atto e la radicale interdipendenza e interconnessione di tutti i fenomeni, i processi e le dinamiche: ebbene, nonostante tali evidenze, non possiamo non rilevare come siano tornate alla carica, in maniera ancor più decisa e invasiva, le ipotesi/analisi/ spiegazioni riduzionistiche e deterministiche fondate, a tutti i livelli della prassi sociale e umana, su quello che ho definito in passato l’ “errore degli errori” - la confusione, il gigantesco fraintendimento, tra “sistemi complicati” e “sistemi complessi” (1995 e ss) - che, tra le varie implicazioni, ha determinato il ritorno, ancor più evidente, dell’egemonia della “tecno-scienza” e della “tecnocrazia” e la scelta di concedere una sorta di delega in bianco alla tecnologia/ alle tecnologie. Una tecnoscienza ed una tecnocrazia che, quasi paradossalmente e non da oggi, invece che esser ridimensionate dalla emergente e sistemica imprevedibilità dell’ipercomplessità, hanno visto loro assegnare dalla Poli - tica uno spazio operativo e decisionale sempre più ampio. Uno “spazio”, quello offerto a Tecnocrazia e Tecnoscienza, che riproduce e rappresenta perfettamente, oltre che vecchie asimmetrie e consolidati rapporti di potere, l’inadeguatezza e le logiche di separazione che caratterizzano, senza alcuna ambiguità, l’architettura complessiva dei saperi e delle competenze (1996) sulla quale sono state edificate la Scuola e l’Università. Una Politica, al contrario, sempre più marginale e incapace di prendere decisioni fondate su una visione sistemica d’insieme e sul lungo periodo.

Ritorno a Gaia. Abitare i confini/paradossi della “civiltà senza errore”

Piero Dominici
2020

Abstract

Nella civiltà ipertecnologica e della materia intelligente (?), fondata sul controllo totale, sull’illusione della prevedibilità, sulla programmazione/(iper)simulazione dei processi e delle azioni, e segnata da una progressiva crescita del tecnologicamente controllato - che marginalizza lo spazio della responsabilità - le sfide del cambiamento sono riconducibili all’urgenza di definire un sistema di pensiero adeguato al mutamento in corso e in grado di ripensare/ridefinire la centralità dell’Umano, dentro ecosistemi in cui non esiste più alcun confine tra naturale ed artificiale. In tempi di “tecno-capitalismo” e di “capitalismo della sorveglianza”1, di egemonia della cd. «platform society», le sfide più complesse e difficili continuano ad essere, ancora una volta e per numerose ragioni, quelle educative e formative. Lo ribadisco con ancora più forza oggi immersi, come siamo, nel mezzo di una pandemia (di una serie di pandemie) che, nel riaffermare la straordinaria, e sostanziale, inadeguatezza dei paradigmi organizzativi e culturali, oltre che dei processi educativi e formativi, ha evidenziato, senza alcun margine di ambiguità, una crescente complessità - ho sempre preferito parlare di “ipercomplessità” e dell’urgenza di abitarla, non essendo gestibile, controllabile, prevedibile - del mutamento (globale) in atto e la radicale interdipendenza e interconnessione di tutti i fenomeni, i processi e le dinamiche: ebbene, nonostante tali evidenze, non possiamo non rilevare come siano tornate alla carica, in maniera ancor più decisa e invasiva, le ipotesi/analisi/ spiegazioni riduzionistiche e deterministiche fondate, a tutti i livelli della prassi sociale e umana, su quello che ho definito in passato l’ “errore degli errori” - la confusione, il gigantesco fraintendimento, tra “sistemi complicati” e “sistemi complessi” (1995 e ss) - che, tra le varie implicazioni, ha determinato il ritorno, ancor più evidente, dell’egemonia della “tecno-scienza” e della “tecnocrazia” e la scelta di concedere una sorta di delega in bianco alla tecnologia/ alle tecnologie. Una tecnoscienza ed una tecnocrazia che, quasi paradossalmente e non da oggi, invece che esser ridimensionate dalla emergente e sistemica imprevedibilità dell’ipercomplessità, hanno visto loro assegnare dalla Poli - tica uno spazio operativo e decisionale sempre più ampio. Uno “spazio”, quello offerto a Tecnocrazia e Tecnoscienza, che riproduce e rappresenta perfettamente, oltre che vecchie asimmetrie e consolidati rapporti di potere, l’inadeguatezza e le logiche di separazione che caratterizzano, senza alcuna ambiguità, l’architettura complessiva dei saperi e delle competenze (1996) sulla quale sono state edificate la Scuola e l’Università. Una Politica, al contrario, sempre più marginale e incapace di prendere decisioni fondate su una visione sistemica d’insieme e sul lungo periodo.
2020
978-88-7442-950-9
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1497941
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