Il contributo esplicita che non si possono vivere premesse relazionali formative e ricerca di parole, di azioni, emozioni e narrazioni condivise con gli anziani se non si rimette al centro della vita la comune vulnerabilità. Questa non va considerata tipica solo dell’anzianità, ma caratterizzante l’intera esistenza tanto da potersi identificare come la condizione umana per eccellenza. È nella vulnerabilità che la vita umana nasce e permane con buona pace dei continui tentativi di negare tale sua dimensione tramite la presunzione de-formativa di onnipotenza che attraversa la storia dell’umanità e di ciascuno. Una volta accettata e riconosciuta, la vulnerabilità (si) apre a tutta una serie di “saperi” che fondano e sono fondati dalla qualità – creativa o distruttiva – della relazionalità. Ovviamente quella formativa deve ambire a essere creativa, ma non può esserlo se non arriva a un vero e proprio “patto”, da parte degli educatori, con se stessi e con gli anziani. Un patto tacito che ponga fine alla guerra che, spesso, pensieri unici e dominanti portano avanti contro la vulnerabilità, tacciata di essere uno status di cui vergognarsi. Senza questa “pace” gli educatori non possono scoprirsi continuamente impegnati a esercitarsi, a inventare nuove regole relazionali per “improvvisare” così come fanno, a volte, gli attori sulla scena per “scoprire” la propria parte, mentre la recitano. È impossibile per gli educatori violare le aspettative tristi e ripetitive di un loro presunto ruolo fisso se non fanno come l’aragosta che, per sopravvivere e crescere, deve mantenersi in grado di spogliarsi della propria corazza difensiva.

La vulnerabilità trasversale agli educatori e agli anziani istituzionalizzati

Milella
2021

Abstract

Il contributo esplicita che non si possono vivere premesse relazionali formative e ricerca di parole, di azioni, emozioni e narrazioni condivise con gli anziani se non si rimette al centro della vita la comune vulnerabilità. Questa non va considerata tipica solo dell’anzianità, ma caratterizzante l’intera esistenza tanto da potersi identificare come la condizione umana per eccellenza. È nella vulnerabilità che la vita umana nasce e permane con buona pace dei continui tentativi di negare tale sua dimensione tramite la presunzione de-formativa di onnipotenza che attraversa la storia dell’umanità e di ciascuno. Una volta accettata e riconosciuta, la vulnerabilità (si) apre a tutta una serie di “saperi” che fondano e sono fondati dalla qualità – creativa o distruttiva – della relazionalità. Ovviamente quella formativa deve ambire a essere creativa, ma non può esserlo se non arriva a un vero e proprio “patto”, da parte degli educatori, con se stessi e con gli anziani. Un patto tacito che ponga fine alla guerra che, spesso, pensieri unici e dominanti portano avanti contro la vulnerabilità, tacciata di essere uno status di cui vergognarsi. Senza questa “pace” gli educatori non possono scoprirsi continuamente impegnati a esercitarsi, a inventare nuove regole relazionali per “improvvisare” così come fanno, a volte, gli attori sulla scena per “scoprire” la propria parte, mentre la recitano. È impossibile per gli educatori violare le aspettative tristi e ripetitive di un loro presunto ruolo fisso se non fanno come l’aragosta che, per sopravvivere e crescere, deve mantenersi in grado di spogliarsi della propria corazza difensiva.
2021
9788867608911
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1502631
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