Nel 1835, nell’oratorio della Confraternita dei Bianchi di Città della Pieve, in Umbria, furono rinvenute due brevi lettere autografe del pittore Pietro Perugino, indirizzate al priore del sodalizio. Esse specificavano le modalità di pagamento dell’Adorazione dei magi, il grande affresco che l’artista eseguì sulla parete di fondo dell’oratorio nell’anno 1504. Il rinvenimento di queste lettere si presta ottimamente a rappresentare un caso di studio, che interseca tre rilevanti aspetti inerenti l’invenzione delle lettere d’artista come patrimonio nazionale nel XIX secolo: la rinnovata fortuna critica di Perugino, la trasfigurazione degli artisti come uomini illustri e la voga delle riproduzioni facsimilari. Dopo aver illustrato la vicenda del rinvenimento, il contributo analizza la valorizzazione che, grazie al coinvolgimento di eruditi locali e di studiosi accreditati e mediante le edizioni e le riproduzioni, trasformò i due documenti nel legato dell’artista Pietro Perugino, una testimonianza conservata nel luogo natale del pittore la quale, al contrario dei suoi dipinti (molti dei quali portati in Francia in epoca napoleonica), si conservava ancora nella sua sede originaria. All’incrocio tra erudizione locale e reti della respublica litteraria, le due lettere furono utilizzate per trasfigurare l’artista nella figura di un “uomo illustre”, esempio di cittadino legato alla sua patria, e per vicariare l’assenza in loco delle opere del pittore, una assenza a partire dalla quale effettuare una rifondazione della memoria storica e dell’identità municipale, nel contesto dello Stato pontificio della Restaurazione.
Un caso di patrimonializzazione e distruzione: gli autografi di Perugino rinvenuti nel 1835
Erminia Irace
2022
Abstract
Nel 1835, nell’oratorio della Confraternita dei Bianchi di Città della Pieve, in Umbria, furono rinvenute due brevi lettere autografe del pittore Pietro Perugino, indirizzate al priore del sodalizio. Esse specificavano le modalità di pagamento dell’Adorazione dei magi, il grande affresco che l’artista eseguì sulla parete di fondo dell’oratorio nell’anno 1504. Il rinvenimento di queste lettere si presta ottimamente a rappresentare un caso di studio, che interseca tre rilevanti aspetti inerenti l’invenzione delle lettere d’artista come patrimonio nazionale nel XIX secolo: la rinnovata fortuna critica di Perugino, la trasfigurazione degli artisti come uomini illustri e la voga delle riproduzioni facsimilari. Dopo aver illustrato la vicenda del rinvenimento, il contributo analizza la valorizzazione che, grazie al coinvolgimento di eruditi locali e di studiosi accreditati e mediante le edizioni e le riproduzioni, trasformò i due documenti nel legato dell’artista Pietro Perugino, una testimonianza conservata nel luogo natale del pittore la quale, al contrario dei suoi dipinti (molti dei quali portati in Francia in epoca napoleonica), si conservava ancora nella sua sede originaria. All’incrocio tra erudizione locale e reti della respublica litteraria, le due lettere furono utilizzate per trasfigurare l’artista nella figura di un “uomo illustre”, esempio di cittadino legato alla sua patria, e per vicariare l’assenza in loco delle opere del pittore, una assenza a partire dalla quale effettuare una rifondazione della memoria storica e dell’identità municipale, nel contesto dello Stato pontificio della Restaurazione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.