La Relazione al d.lgs. n. 6/2003 annovera la nuova disciplina del trasferimento delle partecipazioni di s.r.l. (dettata agli artt. 2469 e 2470) tra i «profili più significativi» della riforma. In particolare, la Relazione sottolinea l’importanza e la novità della previsione del co. 2 dell’art. 2469 ove trova attuazione il fondamentale principio e criterio direttivo posto dalla legge delega, quello della «nullità delle clausole di intrasferibilità non collegate alla possibilità di esercizio del recesso» (art. 3, co. 2, lett. f, 1. n. 366/2001). È parso poi opportuno al legislatore delegato, ma direi senza conseguenze d’ordine sistematico, scindere in due disposizioni (il nuovo art. 2469 e il nuovo art. 2470) il contenuto dell’originario art. 2479, nonché ricomprendere nella seconda delle nuove disposizioni (art. 2470) - e qui forse l’affollamento è eccessivo - anche i contenuti presenti nei previgenti art. 2479-bis (sulla pubblicità dei trasferimenti a causa di morte) e art. 2475-bis (sulla pubblicità della s.r.l. unipersonale e relative variazioni nella compagine sociale). Il co. I dell’art. 2469, sottolineando con enfasi la regola della libera trasferibilità della partecipazione, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo, toglie ogni dubbio sulla appartenenza/permanenza del nuovo modello di s.r.l. ai tipi capitalistici. E l’avverbio «liberamente», che costituisce l’unica novità rispetto al testo previgente (art. 2479, co.1), sta a rimarcare, a mio avviso, come il collegamento tra partecipazione sociale e persona del socio non si possa intendere in termini rigidi e, tantomeno, che quel collegamento possa essere elevato a (imprescindibile) con- notato tipologico del nuovo modello di s.r.1.. Di fronte alla possibilità di prevedere un divieto (assoluto o relativo) di circolazione della quota, già in passato dibattuta e talora auspicata, il legislatore (della delega e poi del decreto delegato) ha viceversa confermato - e direi, sottolineato con l’avverbio «liberamente» - che la regola generale è quella della trasferibilità della posizione sociale. Né la regola risulta sminuita dalla circostanza che le partecipazioni non possono essere incorporate in titoli tipicamente destinati alla circolazione né formare oggetto di sollecitazione all’investimento, trattandosi di piani diversi. La libera trasmissibilità della partecipazione (ari 2469, co.1) e la sua espropriabilità (riaffermata dall’art. 2471 , nuovo testo), escludono, a mio avviso, che l’intuitus persornae (e correlati vincoli) superi, nel modello legale, la soglia dell’art. 2468, co.3, ossia che la persona del socio, sempre nel modello legale, abbia rilievo oltre l’ipotesi in cui ad un certo socio risultino attribuiti «particolari diritti»; questi ultimi, collegati alla persona e pertanto inidonei a formare oggetto di trasferimento. La partecipazione di s.r.1., in quanto tale, è pertanto idonea e naturalmente destinata alla circolazione. Prima della riforma non veniva meno a tale regola neppure la fattispecie, di stampo personalistico, della quota alla quale era connesso l’obbligo di prestazioni accessorie; in tal caso il trasferimento non era certo interdetto ma abbisognava solo del consenso degli amministratori (art. 2478, vecchio testo). Il nuovo art. 2331, limita il divieto solo alla emissione e non anche al trasferimento delle azioni. Se è certamente vero che di trasferimento della «partecipazione» può correttamente parlarsi solo quando la società, una volta iscritta nel registro delle imprese, abbia acquistato la personalità giuridica, non si può trascurare come il fatto che la cessione, eventualmente effettuata in epoca precedente, non possa (più) considerarsi affetta da nullità, abbia importanza anche sul piano sistematico. Nella prospettiva che si è delineata (libera trasmissibilità della quota quale regola generale, sistematicamente coerente con il modello della nuova s.r.l. quale tipo, tuttora, capitalistico) la normativa del co. 2 - in parte nuova rispetto al passato - esibisce un doppio registro: a) nella parte in cui rende ammissibile la istituzione di un divieto, anche assoluto, di trasferimento della partecipazione sociale, la norma (art. 2469, co.2, primo periodo, I parte), che non è sostanzialmente nuova, va apprezzata in termini di deroga alla regola generale (della libera trasferibilità) e pertanto quale fattispecie di stretta interpretazione nel senso: a.1) che eventuali dubbi circa la portata di clausole direttamente od indirettamente incidenti sulla circolazione delle partecipazioni, andranno risolti a favore della libera trasmissibilità della posizione sociale ; a.2) che il vincolo alla circolazione rimane privo di rilievo nei confronti dei creditori, attesa la regola della espropriabilità della partecipazione (art. 2471 , che non distingue, ai fini della applicabilità della relativa disciplina, tra partecipazioni trasferibili, o no); b) nella parte relativa al riconoscimento del diritto di recesso (seconda parte del primo periodo dell’art. 2469, co.2) la disposizione, del tutto nuova, esprime, con evidente connotato di bilanciamento della eccezione di cui sopra, il principio, altrettanto fondamentale, della tutela (della possibilità) del disinvestimento della partecipazione capitalistica. Sotto questo riguardo, il «rimedio» del recesso è altresì funzionale a recuperare efficienza al modello della s.r.l. ed alla sua credibilità sul mercato altrimenti vulnerata in presenza di limiti assoluti al trasferimento. La tutela della possibilità di disinvestimento andrà pertanto intesa in termini ampi, nel senso: b.1) che all’esercizio del recesso non potrà opporsi la non coincidenza della fattispecie concreta rispetto a quelle, eventualmente ritenute tassative (ma che tali non sono), indicate nel co.2; b.2) che una previsione la quale consenta la libera trasferibilità solo della intera partecipazione, va apprezzata - al pari di una previsione generale sulla indivisibilità della quota - come divieto di trasferimento e pertanto quale fattispecie che abilita all’esercizio del recesso. L’esercizio del diritto al c.d. exit può subire delle restrizioni. Ci si riferisce a quanto previsto sempre dal co.2, a tenore del quale sono legittime eventuali limitazioni, (ma solo) temporali, poste all’esercizio del recesso (al massimo per due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione; si deve ritenere che questa seconda ipotesi comprenda anche la sottoscrizione di un aumento di capitale, ma sempre che si tratti di un «nuovo ingresso», ché altrimenti si tratterebbe di un vincolo generale di destinazione di tutti gli apporti in società, per un certo periodo). Le limitazioni di cui si parla richiedono, a differenza che nelle società cooperative, una specifica previsione risultante dall’atto costitutivo. Quali che siano le (sicuramente molteplici) ragioni di tale scelta legislativa - che è peraltro diversa da quella riservata dal nuovo art. 2473 all’ipotesi di società con- tratta a tempo indeterminato, ove il preavviso del recesso è indicato nella legge (180 giorni) ma non può superare, per patto, un anno - essa, pur lasciata alla ampia e libera determinazione delle parti, non sembra contraddire il principio generale fissato nella legge delega (intrasferibilità lecita, solo se collegata alla possibilità di recesso), costituendone modulazione consentita ed utile alla efficienza del modello. Non si può ignorare infatti che una previsione del genere (che può cristallizzare la situazione per un consistente periodo, visto che ai due anni si aggiungono poi i sei mesi - ed il termine non appare perentorio - consentiti alla Società per il rimborso, ove possibile) è idonea, in concreto, non solo ad evitare l’ingresso di nuovi soci, eventualmente non in sintonia con gli equilibri esistenti, ma anche a promuovere la stabilità dell’impresa e la certezza del suo operare rispetto ai terzi ed al mercato (sarà ad esempio ipotizzabile e realisticamente fattibile, in tal caso, una analisi ed una valutazione della società, dal punto di vista patrimoniale, finanziario e reddituale, altrimenti inutile e concretamente impossibile in caso di s.r.l. con clausola di intrasferibilità con possibilità di recesso istantaneo). La clausola di intrasferibilità - da intendersi nella sostanziale accezione del co.2, e pertanto comprensiva, ai fini della applicazione della relativa medesima disciplina, anche della clausola di mero gradimento o comunque impeditiva, nel caso concreto, della trasmissibilità mortis causa - può essere contenuta ab origine nell’atto costitutivo o, viceversa, essere inserita od eliminata in epoca successiva. L’art. 2469, co.2, equipara, per sottoporle alla medesima disciplina, le due fattispecie: i) del divieto assoluto di circolazione e ii) del trasferimento (in principio consentito, ma) subordinato al gradimento di terzi (si tratti di un organo della società; di alcuno o degli altri soci; o anche di estranei alla compagine sociale). In questa seconda ipotesi, deve trattarsi di mero gradimento, ossia di una clausola che non definisca, in via preventiva le «condizioni e limiti» del possibile rifiuto (o, a seconda dei casi, del placet), ovvero di clausola che indichi condizioni o limiti di tale contenuto o natura di tale complesso accertamento da impedire, nella sostanza, la circolazione della partecipazione. Trattandosi di una eccezione (alla regola della libera trasferibilità) che è consentita a condizione che sia bilanciata dalla facoltà di recesso, l’interprete avrà margine per apprezzare, eventualmente come clausole di intrasferibilità assoluta o di mero gradimento, quelle previsioni statutarie che pur prevedendo «condizioni e limiti», risultino peraltro immotivatamente «complicate» e dilatorie, ad esempio, per il fatto di stabilire una lunga e complessa procedura di interpello del terzo (legittimato ad esprimere il placet al trasferimento). a proposito delle clausole di prelazione le quali, costituendo ovviamente un vincolo alla libera trasmissibilità della partecipazione, sono altrettanto chiaramente consentite - come tali - dall’inciso finale del co. 1 («salvo diversa previsione dell’atto costitutivo»). Il problema che si pone, una volta assegnata al recesso la funzione di bilanciamento di cui si è detto, è quello di accertare se sia concepibile, e in che limiti ammissibile, l’applicazione, anche in tal caso, della normativa sul recesso; in particolare, a proposito della individuazione del «prezzo» da riconoscere a chi intendere cedere la partecipazione (art. 2473, co. 3 e 4).

Trasferimento delle partecipazioni

PINNARO', Maurizio
2004

Abstract

La Relazione al d.lgs. n. 6/2003 annovera la nuova disciplina del trasferimento delle partecipazioni di s.r.l. (dettata agli artt. 2469 e 2470) tra i «profili più significativi» della riforma. In particolare, la Relazione sottolinea l’importanza e la novità della previsione del co. 2 dell’art. 2469 ove trova attuazione il fondamentale principio e criterio direttivo posto dalla legge delega, quello della «nullità delle clausole di intrasferibilità non collegate alla possibilità di esercizio del recesso» (art. 3, co. 2, lett. f, 1. n. 366/2001). È parso poi opportuno al legislatore delegato, ma direi senza conseguenze d’ordine sistematico, scindere in due disposizioni (il nuovo art. 2469 e il nuovo art. 2470) il contenuto dell’originario art. 2479, nonché ricomprendere nella seconda delle nuove disposizioni (art. 2470) - e qui forse l’affollamento è eccessivo - anche i contenuti presenti nei previgenti art. 2479-bis (sulla pubblicità dei trasferimenti a causa di morte) e art. 2475-bis (sulla pubblicità della s.r.l. unipersonale e relative variazioni nella compagine sociale). Il co. I dell’art. 2469, sottolineando con enfasi la regola della libera trasferibilità della partecipazione, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo, toglie ogni dubbio sulla appartenenza/permanenza del nuovo modello di s.r.l. ai tipi capitalistici. E l’avverbio «liberamente», che costituisce l’unica novità rispetto al testo previgente (art. 2479, co.1), sta a rimarcare, a mio avviso, come il collegamento tra partecipazione sociale e persona del socio non si possa intendere in termini rigidi e, tantomeno, che quel collegamento possa essere elevato a (imprescindibile) con- notato tipologico del nuovo modello di s.r.1.. Di fronte alla possibilità di prevedere un divieto (assoluto o relativo) di circolazione della quota, già in passato dibattuta e talora auspicata, il legislatore (della delega e poi del decreto delegato) ha viceversa confermato - e direi, sottolineato con l’avverbio «liberamente» - che la regola generale è quella della trasferibilità della posizione sociale. Né la regola risulta sminuita dalla circostanza che le partecipazioni non possono essere incorporate in titoli tipicamente destinati alla circolazione né formare oggetto di sollecitazione all’investimento, trattandosi di piani diversi. La libera trasmissibilità della partecipazione (ari 2469, co.1) e la sua espropriabilità (riaffermata dall’art. 2471 , nuovo testo), escludono, a mio avviso, che l’intuitus persornae (e correlati vincoli) superi, nel modello legale, la soglia dell’art. 2468, co.3, ossia che la persona del socio, sempre nel modello legale, abbia rilievo oltre l’ipotesi in cui ad un certo socio risultino attribuiti «particolari diritti»; questi ultimi, collegati alla persona e pertanto inidonei a formare oggetto di trasferimento. La partecipazione di s.r.1., in quanto tale, è pertanto idonea e naturalmente destinata alla circolazione. Prima della riforma non veniva meno a tale regola neppure la fattispecie, di stampo personalistico, della quota alla quale era connesso l’obbligo di prestazioni accessorie; in tal caso il trasferimento non era certo interdetto ma abbisognava solo del consenso degli amministratori (art. 2478, vecchio testo). Il nuovo art. 2331, limita il divieto solo alla emissione e non anche al trasferimento delle azioni. Se è certamente vero che di trasferimento della «partecipazione» può correttamente parlarsi solo quando la società, una volta iscritta nel registro delle imprese, abbia acquistato la personalità giuridica, non si può trascurare come il fatto che la cessione, eventualmente effettuata in epoca precedente, non possa (più) considerarsi affetta da nullità, abbia importanza anche sul piano sistematico. Nella prospettiva che si è delineata (libera trasmissibilità della quota quale regola generale, sistematicamente coerente con il modello della nuova s.r.l. quale tipo, tuttora, capitalistico) la normativa del co. 2 - in parte nuova rispetto al passato - esibisce un doppio registro: a) nella parte in cui rende ammissibile la istituzione di un divieto, anche assoluto, di trasferimento della partecipazione sociale, la norma (art. 2469, co.2, primo periodo, I parte), che non è sostanzialmente nuova, va apprezzata in termini di deroga alla regola generale (della libera trasferibilità) e pertanto quale fattispecie di stretta interpretazione nel senso: a.1) che eventuali dubbi circa la portata di clausole direttamente od indirettamente incidenti sulla circolazione delle partecipazioni, andranno risolti a favore della libera trasmissibilità della posizione sociale ; a.2) che il vincolo alla circolazione rimane privo di rilievo nei confronti dei creditori, attesa la regola della espropriabilità della partecipazione (art. 2471 , che non distingue, ai fini della applicabilità della relativa disciplina, tra partecipazioni trasferibili, o no); b) nella parte relativa al riconoscimento del diritto di recesso (seconda parte del primo periodo dell’art. 2469, co.2) la disposizione, del tutto nuova, esprime, con evidente connotato di bilanciamento della eccezione di cui sopra, il principio, altrettanto fondamentale, della tutela (della possibilità) del disinvestimento della partecipazione capitalistica. Sotto questo riguardo, il «rimedio» del recesso è altresì funzionale a recuperare efficienza al modello della s.r.l. ed alla sua credibilità sul mercato altrimenti vulnerata in presenza di limiti assoluti al trasferimento. La tutela della possibilità di disinvestimento andrà pertanto intesa in termini ampi, nel senso: b.1) che all’esercizio del recesso non potrà opporsi la non coincidenza della fattispecie concreta rispetto a quelle, eventualmente ritenute tassative (ma che tali non sono), indicate nel co.2; b.2) che una previsione la quale consenta la libera trasferibilità solo della intera partecipazione, va apprezzata - al pari di una previsione generale sulla indivisibilità della quota - come divieto di trasferimento e pertanto quale fattispecie che abilita all’esercizio del recesso. L’esercizio del diritto al c.d. exit può subire delle restrizioni. Ci si riferisce a quanto previsto sempre dal co.2, a tenore del quale sono legittime eventuali limitazioni, (ma solo) temporali, poste all’esercizio del recesso (al massimo per due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione; si deve ritenere che questa seconda ipotesi comprenda anche la sottoscrizione di un aumento di capitale, ma sempre che si tratti di un «nuovo ingresso», ché altrimenti si tratterebbe di un vincolo generale di destinazione di tutti gli apporti in società, per un certo periodo). Le limitazioni di cui si parla richiedono, a differenza che nelle società cooperative, una specifica previsione risultante dall’atto costitutivo. Quali che siano le (sicuramente molteplici) ragioni di tale scelta legislativa - che è peraltro diversa da quella riservata dal nuovo art. 2473 all’ipotesi di società con- tratta a tempo indeterminato, ove il preavviso del recesso è indicato nella legge (180 giorni) ma non può superare, per patto, un anno - essa, pur lasciata alla ampia e libera determinazione delle parti, non sembra contraddire il principio generale fissato nella legge delega (intrasferibilità lecita, solo se collegata alla possibilità di recesso), costituendone modulazione consentita ed utile alla efficienza del modello. Non si può ignorare infatti che una previsione del genere (che può cristallizzare la situazione per un consistente periodo, visto che ai due anni si aggiungono poi i sei mesi - ed il termine non appare perentorio - consentiti alla Società per il rimborso, ove possibile) è idonea, in concreto, non solo ad evitare l’ingresso di nuovi soci, eventualmente non in sintonia con gli equilibri esistenti, ma anche a promuovere la stabilità dell’impresa e la certezza del suo operare rispetto ai terzi ed al mercato (sarà ad esempio ipotizzabile e realisticamente fattibile, in tal caso, una analisi ed una valutazione della società, dal punto di vista patrimoniale, finanziario e reddituale, altrimenti inutile e concretamente impossibile in caso di s.r.l. con clausola di intrasferibilità con possibilità di recesso istantaneo). La clausola di intrasferibilità - da intendersi nella sostanziale accezione del co.2, e pertanto comprensiva, ai fini della applicazione della relativa medesima disciplina, anche della clausola di mero gradimento o comunque impeditiva, nel caso concreto, della trasmissibilità mortis causa - può essere contenuta ab origine nell’atto costitutivo o, viceversa, essere inserita od eliminata in epoca successiva. L’art. 2469, co.2, equipara, per sottoporle alla medesima disciplina, le due fattispecie: i) del divieto assoluto di circolazione e ii) del trasferimento (in principio consentito, ma) subordinato al gradimento di terzi (si tratti di un organo della società; di alcuno o degli altri soci; o anche di estranei alla compagine sociale). In questa seconda ipotesi, deve trattarsi di mero gradimento, ossia di una clausola che non definisca, in via preventiva le «condizioni e limiti» del possibile rifiuto (o, a seconda dei casi, del placet), ovvero di clausola che indichi condizioni o limiti di tale contenuto o natura di tale complesso accertamento da impedire, nella sostanza, la circolazione della partecipazione. Trattandosi di una eccezione (alla regola della libera trasferibilità) che è consentita a condizione che sia bilanciata dalla facoltà di recesso, l’interprete avrà margine per apprezzare, eventualmente come clausole di intrasferibilità assoluta o di mero gradimento, quelle previsioni statutarie che pur prevedendo «condizioni e limiti», risultino peraltro immotivatamente «complicate» e dilatorie, ad esempio, per il fatto di stabilire una lunga e complessa procedura di interpello del terzo (legittimato ad esprimere il placet al trasferimento). a proposito delle clausole di prelazione le quali, costituendo ovviamente un vincolo alla libera trasmissibilità della partecipazione, sono altrettanto chiaramente consentite - come tali - dall’inciso finale del co. 1 («salvo diversa previsione dell’atto costitutivo»). Il problema che si pone, una volta assegnata al recesso la funzione di bilanciamento di cui si è detto, è quello di accertare se sia concepibile, e in che limiti ammissibile, l’applicazione, anche in tal caso, della normativa sul recesso; in particolare, a proposito della individuazione del «prezzo» da riconoscere a chi intendere cedere la partecipazione (art. 2473, co. 3 e 4).
2004
9788824315166
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/15196
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