La riflessione su cosa s’intenda con la parola “comunità” non è uniforme e chiara, è anzi complessa. Ciò, perché ogni realtà comunitaria assume almeno due finalità a volte opposte: da una parte, confermare, tramandare tutto quanto ha consentito di raggiungere un certo livello di vita (per esempio, un determinato grado di civilizzazione) a uno specifico gruppo umano, caratterizzato da tratti culturali comuni; dall’altra, favorire nei propri stessi componenti il cambiamento, tale che apprendano, mutino prospettiva ed eventualmente “progrediscano”. Fermi restando tutti i limiti delle generalizzazioni, il primo compito è stato ed è quello più praticato tanto che, a volte, è stato considerato un tutt’uno con l’intera evoluzione e storia dell’umanità. Il secondo, invece, è stato spesso esperito quale più faticoso, più raro perché associato a veri e propri cambiamenti di paradigma. È stato percepito come utopico, profetico e “rivoluzionario”: non raramente, purtroppo accompagnato da metodi “persuasivi”, verso il mutamento, violenti. Nel contesto della filosofia dell’educazione e delle pratiche formative, “comunità” è stato utilizzato e considerato soprattutto accanto all’aggettivo “educante”. Tale accostamento semantico, dunque, ha spesso qualificato il sostantivo; però non sufficientemente, perché non evidenzia esplicitamente che una comunità che educa svolge almeno un doppio compito: si rivolge ai propri appartenenti o a coloro che in essa entreranno, al fine di, appunto, educarli e forma se stessa come tessuto comunitario, inserito in contesti più ampi i quali, perciò, necessariamente influenzano la “comunità educante” stessa, il suo orientamento “educativo” e le sue modalità di formazione.
LA COMUNITÀ FORMATIVA TRA APPRENDIMENTO E RICERCA DELLA QUALITÀ RELAZIONALE
Milella Marco
2022
Abstract
La riflessione su cosa s’intenda con la parola “comunità” non è uniforme e chiara, è anzi complessa. Ciò, perché ogni realtà comunitaria assume almeno due finalità a volte opposte: da una parte, confermare, tramandare tutto quanto ha consentito di raggiungere un certo livello di vita (per esempio, un determinato grado di civilizzazione) a uno specifico gruppo umano, caratterizzato da tratti culturali comuni; dall’altra, favorire nei propri stessi componenti il cambiamento, tale che apprendano, mutino prospettiva ed eventualmente “progrediscano”. Fermi restando tutti i limiti delle generalizzazioni, il primo compito è stato ed è quello più praticato tanto che, a volte, è stato considerato un tutt’uno con l’intera evoluzione e storia dell’umanità. Il secondo, invece, è stato spesso esperito quale più faticoso, più raro perché associato a veri e propri cambiamenti di paradigma. È stato percepito come utopico, profetico e “rivoluzionario”: non raramente, purtroppo accompagnato da metodi “persuasivi”, verso il mutamento, violenti. Nel contesto della filosofia dell’educazione e delle pratiche formative, “comunità” è stato utilizzato e considerato soprattutto accanto all’aggettivo “educante”. Tale accostamento semantico, dunque, ha spesso qualificato il sostantivo; però non sufficientemente, perché non evidenzia esplicitamente che una comunità che educa svolge almeno un doppio compito: si rivolge ai propri appartenenti o a coloro che in essa entreranno, al fine di, appunto, educarli e forma se stessa come tessuto comunitario, inserito in contesti più ampi i quali, perciò, necessariamente influenzano la “comunità educante” stessa, il suo orientamento “educativo” e le sue modalità di formazione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.