Il lavoro è parte di uno studio collettaneo avente ad oggetto il Codice penale per gli Stati del Re di Sardegna e per l’Italia Unita, in cui, con analiticità formale, ma alla stregua di opportune ed originali chiavi di lettura, secondo quanto contraddistingue la prestigiosa Collana "Casi, Fonti e Studi per il diritto penale", storici del diritto e penalisti intendono offrire una panoramica su di un tema inesplorato. In particolare, l’A. sottolinea come dal Codice sardo – piemontese del 1859 si evinca in modo incontrovertibile l’assenza di una disposizione che incrimini il suicidio, o meglio, il tentato suicidio; nonché l’assenza di disposizioni ad essa ancillari, come l’incriminazione di condotte di istigazione o di aiuto al suicidio. La rilevata assenza si dimostra ancora più eloquente, confrontando il corpus codicistico del 1859 con il suo “naturale” predecessore, vale a dire il Codice albertino del 1839, che invece, all’art. 585, privava il suicida dei diritti civili e puniva il tentativo di suicidio con la “sicura custodia” da uno a tre anni. La mancata previsione nel codice del 1859 di una norma similare a quella testè brevemente riassunta va senz’altro rintracciata in un epocale mutamento del contesto storico – politico che costituiva terreno di coltura al tempo della emanazione dei due Codici, i quali, seppur distanziati tra loro da un solo ventennio, risultano essere espressione di profonde differenze culturali.
L'incriminazione del suicidio nel codice sardo - piemontese del 1859. La norma che non c'è
SARTARELLI, STEFANIA
2008
Abstract
Il lavoro è parte di uno studio collettaneo avente ad oggetto il Codice penale per gli Stati del Re di Sardegna e per l’Italia Unita, in cui, con analiticità formale, ma alla stregua di opportune ed originali chiavi di lettura, secondo quanto contraddistingue la prestigiosa Collana "Casi, Fonti e Studi per il diritto penale", storici del diritto e penalisti intendono offrire una panoramica su di un tema inesplorato. In particolare, l’A. sottolinea come dal Codice sardo – piemontese del 1859 si evinca in modo incontrovertibile l’assenza di una disposizione che incrimini il suicidio, o meglio, il tentato suicidio; nonché l’assenza di disposizioni ad essa ancillari, come l’incriminazione di condotte di istigazione o di aiuto al suicidio. La rilevata assenza si dimostra ancora più eloquente, confrontando il corpus codicistico del 1859 con il suo “naturale” predecessore, vale a dire il Codice albertino del 1839, che invece, all’art. 585, privava il suicida dei diritti civili e puniva il tentativo di suicidio con la “sicura custodia” da uno a tre anni. La mancata previsione nel codice del 1859 di una norma similare a quella testè brevemente riassunta va senz’altro rintracciata in un epocale mutamento del contesto storico – politico che costituiva terreno di coltura al tempo della emanazione dei due Codici, i quali, seppur distanziati tra loro da un solo ventennio, risultano essere espressione di profonde differenze culturali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.