Il saggio prende avvio dai processi per magia nera e adulterio condotti a Roma nell’ultimo venticinquennio del IV secolo d. C. dai funzionari di Valentiniano I (364-375) contro alcuni esponenti di famiglie molto in vista della nobiltà senatoria romana. Il fatto è noto da un lungo passo delle Res gestae di Ammiano Marcellino (28, 1, 1-57, scritto intorno al 389/390) e da poche (velate) allusioni in due orazioni di Quinto Aurelio Simmaco, in un passo della Historia Ecclesiastica di Rufino e nel Chronicon di Girolamo. Il modo con cui Ammiano ha raccontato tali avvenimenti di storia contemporanea, allora attualissimi e di larga risonanza presso un pubblico di lettori in gran parte romano che ne conosceva bene tutti gli attori, ha pesantemente condizionato il giudizio degli studiosi sulla figura, sull’azione politica, sulle numerose riforme istituzionali ed economiche di Valentiniano I: a partire da O. Seeck a fine Ottocento – che attribuiva un carattere quasi “ferino” a un Augusto la cui brutalità e avidità sarebbero state espressioni di spirito germano–, attraverso la monografia di W. Heering e la voce di A. Nagl nella RE, fino a A. H. M. Jones nel 1973, il quale, tenendo conto di un fortunato saggio di A. Alföldi uscito nel 1952, tentò di ricalibrare il giudizio su questo imperatore, rendendolo peraltro oscillante come già in Ammiano: uomo dal carattere violento e brutale, rozzo e ostile alle persone colte, epperò abile come soldato, coscienzioso come amministratore, seriamente interessato al benessere delle classi umili e per questo ostile alle famiglie nobili. Attraverso il riesame dei processi romani, si produce nell’opera anche uno studio attento della personalità di Valentiniano I e delle dinamiche innescate tra le forze sociali, politiche e militari del periodo non può che passare. Condurre tale tipo di analisi significa, in primo luogo, scrutare la narrazione di Ammiano ponendola a confronto con tutta la documentazione (legislativa, archeologica, epigrafica, iconografica) coeva, al fine di verificare perché lo storico antico abbia formulato una siffatta interpretazione dei moventi dell’agire imperiale e dei suoi funzionari pannonici nei confronti dei senatori dell’Urbe. Esige inoltre di non disgiungere, nel dibattito, la storia ‘profana’ dalla storia ‘religiosa’, perché mentre alcuni personaggi della nobiltà senatoria venivano posti sotto processo per magia nera o per adulterio, la città di Roma era scossa dalle cruente lotte fra i partigiani di Damaso e i fedeli di Ursino per la successione papale e gli attori delle due vicende erano spesso i medesimi, ovvero erano legati fra loro da rapporti di parentela e da vincoli matrimoniali, ma talvolta divisi da progetti e programmi politico-religiosi di opposto segno. I processi romani sono così occasione per tracciare un quadro della vita sociale, politica, amministrativa, fiscale, religiosa, dottrinale ed ecclesiastica dell’Urbe e del suo evolversi – talora con brusche svolte e ricambi impreveduti – dall’età costantiniana a quella di Teodosio I: un contesto ricostruito attraverso l’interagire di senatori, popolo e vescovi (come suona infatti il titolo del saggio) e una rilettura delle fonti su più registri. Sono in tal modo coniugate due tendenze d’avanguardia nella ricerca antichistica recente: l’una tesa soprattutto a indagare “alla lente” un ambiente geograficamente circoscritto; e l’altra, che preferisce orientarsi verso lo studio dei condizionamenti esercitati e subíti dai protagonisti (nel nostro caso il vertice imperiale stesso ed il suo funzionariato) da parte di gruppi sociali diversi e con prospettive cronologicamente lanciate in alto e in basso. Tutto ciò ha imposto un utilizzo accorto delle varie categorie di fonti e delle rispettive “retoriche”. Una Parte Prima (Ricordare gli anni del terrore), suddivisa in due capitoli, è dedicata ai processi romani nelle fonti coeve o di poco posteriori (letterarie, legislative, documentarie), analizzate dal punto di vista storiografico; una Parte Seconda in tre capitoli (Un trampolino per il Paradiso), è occupata dagli scontri fra due aspiranti papi, Damaso e Ursino, e, in controluce, fra varie gentes della rissosa nobiltà romana con le rispettive clientele schiavili e popolari, rivelando implicazioni non soltanto ecclesiastiche ma anche giudiziarie, economiche, architettoniche; una Parte Terza in due capitoli (L’Urbe sotto inchiesta) s’incentra sul quadro politico più generale nel quale, in Italia, s’incastonarono i processi sotto Valentiniano I, soprattutto in relazione al funzionariato; infine la Parte Quarta (ed ultima, prima della sintesi finale nella Conclusione) in due capitoli (Uno strano epilogo, ovvero un nuovo avvio), guarda al medesimo problema, ma questa volta in relazione all’aristocrazia senatoria (prosopograficamente a sua volta analizzata), individuando le premesse dei processi in contrapposizioni già riconoscibili al tempo di Costanzo II (un’interpretazione alternativa che ha lasciato del resto traccia nello stesso Ammiano). La figura di Valentiniano I quale persecutore dell’oligarchia senatoria romana, per diretta influenza di funzionari pannonici capeggiati dal suo compatriota Massimino, ne esce quindi, per la prima volta, fortemente ridimensionata. La ricerca è documentata attraverso un’ampia bibliografia e dall’analisi di tutte le fonti disponibili, lette e reinterpretate di prima mano, corredata da cartine e da numerose Appendici.

Senatori, popolo, papi. Il governo di Roma al tempo dei Valentiniani

LIZZI, Rita
2004

Abstract

Il saggio prende avvio dai processi per magia nera e adulterio condotti a Roma nell’ultimo venticinquennio del IV secolo d. C. dai funzionari di Valentiniano I (364-375) contro alcuni esponenti di famiglie molto in vista della nobiltà senatoria romana. Il fatto è noto da un lungo passo delle Res gestae di Ammiano Marcellino (28, 1, 1-57, scritto intorno al 389/390) e da poche (velate) allusioni in due orazioni di Quinto Aurelio Simmaco, in un passo della Historia Ecclesiastica di Rufino e nel Chronicon di Girolamo. Il modo con cui Ammiano ha raccontato tali avvenimenti di storia contemporanea, allora attualissimi e di larga risonanza presso un pubblico di lettori in gran parte romano che ne conosceva bene tutti gli attori, ha pesantemente condizionato il giudizio degli studiosi sulla figura, sull’azione politica, sulle numerose riforme istituzionali ed economiche di Valentiniano I: a partire da O. Seeck a fine Ottocento – che attribuiva un carattere quasi “ferino” a un Augusto la cui brutalità e avidità sarebbero state espressioni di spirito germano–, attraverso la monografia di W. Heering e la voce di A. Nagl nella RE, fino a A. H. M. Jones nel 1973, il quale, tenendo conto di un fortunato saggio di A. Alföldi uscito nel 1952, tentò di ricalibrare il giudizio su questo imperatore, rendendolo peraltro oscillante come già in Ammiano: uomo dal carattere violento e brutale, rozzo e ostile alle persone colte, epperò abile come soldato, coscienzioso come amministratore, seriamente interessato al benessere delle classi umili e per questo ostile alle famiglie nobili. Attraverso il riesame dei processi romani, si produce nell’opera anche uno studio attento della personalità di Valentiniano I e delle dinamiche innescate tra le forze sociali, politiche e militari del periodo non può che passare. Condurre tale tipo di analisi significa, in primo luogo, scrutare la narrazione di Ammiano ponendola a confronto con tutta la documentazione (legislativa, archeologica, epigrafica, iconografica) coeva, al fine di verificare perché lo storico antico abbia formulato una siffatta interpretazione dei moventi dell’agire imperiale e dei suoi funzionari pannonici nei confronti dei senatori dell’Urbe. Esige inoltre di non disgiungere, nel dibattito, la storia ‘profana’ dalla storia ‘religiosa’, perché mentre alcuni personaggi della nobiltà senatoria venivano posti sotto processo per magia nera o per adulterio, la città di Roma era scossa dalle cruente lotte fra i partigiani di Damaso e i fedeli di Ursino per la successione papale e gli attori delle due vicende erano spesso i medesimi, ovvero erano legati fra loro da rapporti di parentela e da vincoli matrimoniali, ma talvolta divisi da progetti e programmi politico-religiosi di opposto segno. I processi romani sono così occasione per tracciare un quadro della vita sociale, politica, amministrativa, fiscale, religiosa, dottrinale ed ecclesiastica dell’Urbe e del suo evolversi – talora con brusche svolte e ricambi impreveduti – dall’età costantiniana a quella di Teodosio I: un contesto ricostruito attraverso l’interagire di senatori, popolo e vescovi (come suona infatti il titolo del saggio) e una rilettura delle fonti su più registri. Sono in tal modo coniugate due tendenze d’avanguardia nella ricerca antichistica recente: l’una tesa soprattutto a indagare “alla lente” un ambiente geograficamente circoscritto; e l’altra, che preferisce orientarsi verso lo studio dei condizionamenti esercitati e subíti dai protagonisti (nel nostro caso il vertice imperiale stesso ed il suo funzionariato) da parte di gruppi sociali diversi e con prospettive cronologicamente lanciate in alto e in basso. Tutto ciò ha imposto un utilizzo accorto delle varie categorie di fonti e delle rispettive “retoriche”. Una Parte Prima (Ricordare gli anni del terrore), suddivisa in due capitoli, è dedicata ai processi romani nelle fonti coeve o di poco posteriori (letterarie, legislative, documentarie), analizzate dal punto di vista storiografico; una Parte Seconda in tre capitoli (Un trampolino per il Paradiso), è occupata dagli scontri fra due aspiranti papi, Damaso e Ursino, e, in controluce, fra varie gentes della rissosa nobiltà romana con le rispettive clientele schiavili e popolari, rivelando implicazioni non soltanto ecclesiastiche ma anche giudiziarie, economiche, architettoniche; una Parte Terza in due capitoli (L’Urbe sotto inchiesta) s’incentra sul quadro politico più generale nel quale, in Italia, s’incastonarono i processi sotto Valentiniano I, soprattutto in relazione al funzionariato; infine la Parte Quarta (ed ultima, prima della sintesi finale nella Conclusione) in due capitoli (Uno strano epilogo, ovvero un nuovo avvio), guarda al medesimo problema, ma questa volta in relazione all’aristocrazia senatoria (prosopograficamente a sua volta analizzata), individuando le premesse dei processi in contrapposizioni già riconoscibili al tempo di Costanzo II (un’interpretazione alternativa che ha lasciato del resto traccia nello stesso Ammiano). La figura di Valentiniano I quale persecutore dell’oligarchia senatoria romana, per diretta influenza di funzionari pannonici capeggiati dal suo compatriota Massimino, ne esce quindi, per la prima volta, fortemente ridimensionata. La ricerca è documentata attraverso un’ampia bibliografia e dall’analisi di tutte le fonti disponibili, lette e reinterpretate di prima mano, corredata da cartine e da numerose Appendici.
2004
9788872283929
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/166038
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