Il saggio vuole proporre una lettura trasversale di alcuni degli esiti più interessanti cui sono giunte le neuroscienze negli ultimi anni, sottolineando le affinità tra questi risultati e analoghe proposte formulate dalla filosofia e dalla sociologia. L’esigenza che il dialogo tra le diverse discipline che studiano il corpo si approfondisca e divenga prassi corrente appare sempre più urgente quando si esaminino le direttrici su cui si sta muovendo la cultura contemporanea: in particolare la sempre più marcata dicotomia tra reale e virtuale pone interrogativi cui tutti gli studiosi sono chiamati a rispondere. Il primo punto su cui si concentra l’attenzione riguarda la stretta correlazione, scoperta da Damasio, tra le strutture più arcaiche del cervello, sede di quella che Goleman definisce «intelligenza emotiva», e la neocorteccia razionale per quanto riguarda l’elaborazione dello stesso pensiero razionale. La messa in evidenza di ciò che Damasio chiama «l’errore di Cartesio», ossia dell’impossibilità di un pensiero esclusivamente razionale, ha ricadute fondamentali sull’intera visione del mondo su cui la variante culturale dominante ha costruito il suo primato e sull’architettura stessa del sapere. In particolare, perde di senso lo stigma imposto alla sfera emotiva, mentre si rivelano i danni che esso ha causato. Di ciò si occupa il secondo punto preso in considerazione. L’importanza della comunicazione non verbale (CNV) nei processi di apprendimento, socializzazione e relazione interpersonale, già constatata negli studi sociologici e della comunicazione, viene confermata da un gran numero di ricerche scientifiche e configurata in termini anche fisiologici, grazie alla scoperta di meccanismi mimetici inconsci e di apposite strutture neurali, come i neuroni-specchio. Questa componente concorre, assieme a quella culturale, a integrare ogni tipo di comunicazione ed entrambe sono state a lungo neglette dai modelli di comprensione e formazione a quella che chiamo «maestria interattiva», col risultato di diffondere una specifica ignoranza relazionale che sta rendendo sempre più fragile la trama della società. Il problema più serio e al tempo stesso stimolante posto dall’elaborazione di un nuovo sapere della corporeità sta nella necessità che esso non sia soltanto razionale, ma integri in sé un livello imprescindibile di prassi, il recupero della forma estesa di propriocezione che apprezza e riconosce il proprio essere nello spazio, quel che Heidegger chiamava Dasein. Il saggio si chiude in un appello contraddittoriale al suo stesso superamento, in un’esortazione a rientrare in contatto con la realtà non mediata intellettualmente del corpo in movimento in un ambiente non artificiale. Si tratta della sola esperienza capace di rafforzare il discrimine tra reale e virtuale e consentire di resistere all’incanto delle sirene di quest’ultimo.
Parte seconda: Riapprendere il proprio corpo. La relazione con sé e con gli altri, in F. D’Andrea, C. Mazzeschi, L. Laghezza, S. Bonucci, Corporeità e compresenza. Dalla psiche alla prossemia
D'ANDREA, Fabio
2008
Abstract
Il saggio vuole proporre una lettura trasversale di alcuni degli esiti più interessanti cui sono giunte le neuroscienze negli ultimi anni, sottolineando le affinità tra questi risultati e analoghe proposte formulate dalla filosofia e dalla sociologia. L’esigenza che il dialogo tra le diverse discipline che studiano il corpo si approfondisca e divenga prassi corrente appare sempre più urgente quando si esaminino le direttrici su cui si sta muovendo la cultura contemporanea: in particolare la sempre più marcata dicotomia tra reale e virtuale pone interrogativi cui tutti gli studiosi sono chiamati a rispondere. Il primo punto su cui si concentra l’attenzione riguarda la stretta correlazione, scoperta da Damasio, tra le strutture più arcaiche del cervello, sede di quella che Goleman definisce «intelligenza emotiva», e la neocorteccia razionale per quanto riguarda l’elaborazione dello stesso pensiero razionale. La messa in evidenza di ciò che Damasio chiama «l’errore di Cartesio», ossia dell’impossibilità di un pensiero esclusivamente razionale, ha ricadute fondamentali sull’intera visione del mondo su cui la variante culturale dominante ha costruito il suo primato e sull’architettura stessa del sapere. In particolare, perde di senso lo stigma imposto alla sfera emotiva, mentre si rivelano i danni che esso ha causato. Di ciò si occupa il secondo punto preso in considerazione. L’importanza della comunicazione non verbale (CNV) nei processi di apprendimento, socializzazione e relazione interpersonale, già constatata negli studi sociologici e della comunicazione, viene confermata da un gran numero di ricerche scientifiche e configurata in termini anche fisiologici, grazie alla scoperta di meccanismi mimetici inconsci e di apposite strutture neurali, come i neuroni-specchio. Questa componente concorre, assieme a quella culturale, a integrare ogni tipo di comunicazione ed entrambe sono state a lungo neglette dai modelli di comprensione e formazione a quella che chiamo «maestria interattiva», col risultato di diffondere una specifica ignoranza relazionale che sta rendendo sempre più fragile la trama della società. Il problema più serio e al tempo stesso stimolante posto dall’elaborazione di un nuovo sapere della corporeità sta nella necessità che esso non sia soltanto razionale, ma integri in sé un livello imprescindibile di prassi, il recupero della forma estesa di propriocezione che apprezza e riconosce il proprio essere nello spazio, quel che Heidegger chiamava Dasein. Il saggio si chiude in un appello contraddittoriale al suo stesso superamento, in un’esortazione a rientrare in contatto con la realtà non mediata intellettualmente del corpo in movimento in un ambiente non artificiale. Si tratta della sola esperienza capace di rafforzare il discrimine tra reale e virtuale e consentire di resistere all’incanto delle sirene di quest’ultimo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.