La crisi economica ha colpito dal punto di vista occupazionale maggiormente le donne rispetto agli uomini, essendo più esposte ad essa a causa della segregazione orizzontale e verticale, della tipologia di mansioni, della tipologia contrattuale. Un recupero più o meno veloce ed incisivo sul fronte della partecipazione delle donne europee al mercato del lavoro è condizionato, tra altri fattori, anche dalla presenza in Europa di differenti sistemi di Welfare State (nordico, continentale, mediterraneo, anglosassone) che, come il saggio dimostra, hanno caratteristiche molto diverse che emergono dall’analisi quantitativa e qualitativa della spesa sociale (anni 1960, 1980, 1998, 2006, 2007) (dati di fonte Eurostat). I vari modelli mostrano peraltro un’attenzione diversa anche nei confronti delle politiche per la famiglia. Il saggio dimostra l’esistenza di una correlazione positiva tra tassi di attività femminili, tassi di occupazione femminili, tassi di fertilità femminili, riduzione del numero di minori a rischio di povertà ed entità della spesa sociale in percentuale al Pil destinata alla famiglia ed all’infanzia nel 2007. Il ruolo dello Stato è comunque centrale non solo nella scelta dell’entità della spesa sociale da destinare alla famiglie, ma anche nella scelta della sua composizione. Anche in questo caso si possono individuare diversi modelli europei di spesa sociale destinata alle famiglie che influiscono diversamente sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro ed occupazione femminile. Essi sono distinguibili a seconda che abbiano lo scopo di sostenere il costo dei figli come consumatori di tempo (che implica destinare le risorse pubbliche soprattutto nella direzione della creazione/potenziamento dei servizi pubblici alle persone (per l’infanzia e per gli anziani) come accade ad esempio in Svezia, ma anche al finanziamento, più o meno generoso, dei congedi dal lavoro e degli assegni di cura), oppure abbiano l’obiettivo di sostenere il costo dei figli come consumatori di beni, come accade nei paesi mediterranei. In questo seconda modalità rientrano sia i trasferimenti diretti alle famiglie (assegni familiari, ma anche bonus bebè, bonus famiglia, etc.) che quelli indiretti realizzabili tramite le imposte. Il saggio rileva che i paesi europei che investono di più in servizi per le persone rispetto ai trasferimenti monetari sono quelli che registrano più alti tassi di occupazione femminile. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro può dipendere anche da una presenza, più o meno intensa, del Terzo settore nella produzione di beni relazionali che dà luogo a diversi modelli europei di Welfare mix e dal diverso grado di capitale sociale di supporto alla famiglia esistente nei paesi europei. In aggiunta allo Stato ed al Terzo Settore, non vanno dimenticati gli altri due poli del sistema di relazioni che devono entrare in gioco nel tentativo di conciliazione famiglia-lavoro: il mercato e la famiglia. Sul versante delle imprese possono essere adottati, con la contrattazione decentrata, da parte delle aziende provvedimenti innovativi di corporate welfare (come gli asili nido aziendali); sul versante delle famiglie i governi europei hanno adottato due tipi di misure: quelle che riducono o articolano diversamente il tempo di lavoro (il part-time) e quelle che permettono di avere più tempo libero non dedicato al lavoro (congedi parentali), di cui si analizzano i limiti ascrivibili al fatto che essi sono stati ispirati, sulla scia dell'emancipazionismo femminile (cultura della parità e delle pari opportunità), da un approccio individualista e non relazionale. Dal fatto che le politiche di conciliazione famiglia-lavoro sono sistemiche e complesse ne deriva che il livello da preferire, per via di una minore difficoltà di concertazione tra attori pubblici, privati, non profit, è quello locale. I sistemi di Welfare locali diventano così sempre più importanti, anche nel campo della conciliazione famiglia-lavoro. Si è anche in questo caso suffragata nel saggio l’esistenza di un’eventuale correlazione positiva tra la tasso di attività e tasso di occupazione femminile delle regioni europee più dinamiche dal punto di vista occupazionale all’interno di almeno uno dei paesi rappresentativi dei diversi modelli europei di Welfare State presi in rassegna e la presenza di sistemi di Welfare locali (leggi regionali sulla famiglia o sulla conciliazione, buone pratiche, contrattazione territoriale o aziendale, etc.). L'importanza della dimensione locale (e quindi della assunzione di politiche di welfare all'insegna della sussidiarietà verticale anche per superare i divari "strutturali" regionali) riemerge anche dalla presa in considerazione nel saggio dell'indice di dispersione regionale del tasso di occupazione femminile che è basso per Olanda, Svezia, Austria, Germania, Finlandia, Gran Bretagna, ma assai elevato in Italia, Grecia, Spagna. Il saggio evidenzia anche una correlazione negativa tra indice di dispersione regionale del tasso di occupazione femminile e tasso di occupazione femminile nazionale, a riconferma che, laddove l'occupazione femminile è più debole a livello paese, esistono anche le maggiori disparità interne.
Partecipazione femminile al mercato del lavoro, modelli europei di welfare e politiche amichevoli per le famiglie
MONTESI, Cristina;
2010
Abstract
La crisi economica ha colpito dal punto di vista occupazionale maggiormente le donne rispetto agli uomini, essendo più esposte ad essa a causa della segregazione orizzontale e verticale, della tipologia di mansioni, della tipologia contrattuale. Un recupero più o meno veloce ed incisivo sul fronte della partecipazione delle donne europee al mercato del lavoro è condizionato, tra altri fattori, anche dalla presenza in Europa di differenti sistemi di Welfare State (nordico, continentale, mediterraneo, anglosassone) che, come il saggio dimostra, hanno caratteristiche molto diverse che emergono dall’analisi quantitativa e qualitativa della spesa sociale (anni 1960, 1980, 1998, 2006, 2007) (dati di fonte Eurostat). I vari modelli mostrano peraltro un’attenzione diversa anche nei confronti delle politiche per la famiglia. Il saggio dimostra l’esistenza di una correlazione positiva tra tassi di attività femminili, tassi di occupazione femminili, tassi di fertilità femminili, riduzione del numero di minori a rischio di povertà ed entità della spesa sociale in percentuale al Pil destinata alla famiglia ed all’infanzia nel 2007. Il ruolo dello Stato è comunque centrale non solo nella scelta dell’entità della spesa sociale da destinare alla famiglie, ma anche nella scelta della sua composizione. Anche in questo caso si possono individuare diversi modelli europei di spesa sociale destinata alle famiglie che influiscono diversamente sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro ed occupazione femminile. Essi sono distinguibili a seconda che abbiano lo scopo di sostenere il costo dei figli come consumatori di tempo (che implica destinare le risorse pubbliche soprattutto nella direzione della creazione/potenziamento dei servizi pubblici alle persone (per l’infanzia e per gli anziani) come accade ad esempio in Svezia, ma anche al finanziamento, più o meno generoso, dei congedi dal lavoro e degli assegni di cura), oppure abbiano l’obiettivo di sostenere il costo dei figli come consumatori di beni, come accade nei paesi mediterranei. In questo seconda modalità rientrano sia i trasferimenti diretti alle famiglie (assegni familiari, ma anche bonus bebè, bonus famiglia, etc.) che quelli indiretti realizzabili tramite le imposte. Il saggio rileva che i paesi europei che investono di più in servizi per le persone rispetto ai trasferimenti monetari sono quelli che registrano più alti tassi di occupazione femminile. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro può dipendere anche da una presenza, più o meno intensa, del Terzo settore nella produzione di beni relazionali che dà luogo a diversi modelli europei di Welfare mix e dal diverso grado di capitale sociale di supporto alla famiglia esistente nei paesi europei. In aggiunta allo Stato ed al Terzo Settore, non vanno dimenticati gli altri due poli del sistema di relazioni che devono entrare in gioco nel tentativo di conciliazione famiglia-lavoro: il mercato e la famiglia. Sul versante delle imprese possono essere adottati, con la contrattazione decentrata, da parte delle aziende provvedimenti innovativi di corporate welfare (come gli asili nido aziendali); sul versante delle famiglie i governi europei hanno adottato due tipi di misure: quelle che riducono o articolano diversamente il tempo di lavoro (il part-time) e quelle che permettono di avere più tempo libero non dedicato al lavoro (congedi parentali), di cui si analizzano i limiti ascrivibili al fatto che essi sono stati ispirati, sulla scia dell'emancipazionismo femminile (cultura della parità e delle pari opportunità), da un approccio individualista e non relazionale. Dal fatto che le politiche di conciliazione famiglia-lavoro sono sistemiche e complesse ne deriva che il livello da preferire, per via di una minore difficoltà di concertazione tra attori pubblici, privati, non profit, è quello locale. I sistemi di Welfare locali diventano così sempre più importanti, anche nel campo della conciliazione famiglia-lavoro. Si è anche in questo caso suffragata nel saggio l’esistenza di un’eventuale correlazione positiva tra la tasso di attività e tasso di occupazione femminile delle regioni europee più dinamiche dal punto di vista occupazionale all’interno di almeno uno dei paesi rappresentativi dei diversi modelli europei di Welfare State presi in rassegna e la presenza di sistemi di Welfare locali (leggi regionali sulla famiglia o sulla conciliazione, buone pratiche, contrattazione territoriale o aziendale, etc.). L'importanza della dimensione locale (e quindi della assunzione di politiche di welfare all'insegna della sussidiarietà verticale anche per superare i divari "strutturali" regionali) riemerge anche dalla presa in considerazione nel saggio dell'indice di dispersione regionale del tasso di occupazione femminile che è basso per Olanda, Svezia, Austria, Germania, Finlandia, Gran Bretagna, ma assai elevato in Italia, Grecia, Spagna. Il saggio evidenzia anche una correlazione negativa tra indice di dispersione regionale del tasso di occupazione femminile e tasso di occupazione femminile nazionale, a riconferma che, laddove l'occupazione femminile è più debole a livello paese, esistono anche le maggiori disparità interne.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.