Le politiche del lavoro sono destinate ad assumere un’importanza crescente nelle società dei paesi occidentali: occorre infatti garantire l’occupazione effettiva e in ogni caso l’occupabilità delle forze di lavoro, anche assicurando la formazione richiesta dalle esigenze di competitività delle imprese sui mercati mondiali, oltreché sostegno reddituale a chi è in attesa di reinserimento lavorativo o alla ricerca di un primo o di un nuovo lavoro. Tra le politiche multi-obiettivo richieste in corrispondenza, le politiche attive del lavoro occupano una posizione di primo piano. Su “Le politiche attive del lavoro nella prospettiva del bene comune” si è svolto a Perugia, il 15 maggio 2009, un incontro di studio, organizzato dalla Facoltà di Economia e dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia, insieme all’Associazione culturale Leone XIII della Diocesi di Perugia. Nella prima parte, più tradizionale, del volume sono riportati gli Atti di tale incontro. La seconda parte del volume è quella più originale in quanto le politiche attive del lavoro sono interpretate da P.Grasselli e C.Montesi nella innovativa ottica del bene comune. Un mercato del lavoro che realizzi, tramite un mix appropriato di politiche passive ed attive, un’allocazione efficiente ed equa delle forze di lavoro può infatti essere legittimamente considerato come una componente centrale del “bene comune” proponibile per un certo territorio ad un certo tempo, se il “bene comune” viene inteso come il complesso delle condizioni che consentono il perfezionamento dei singoli e della collettività. A questo scopo il volume si propone in primis di delineare quali sono in generale i requisiti in base ai quali un politica può essere considerata al servizio del «bene comune», schematicamente riassumibili in: attenzione multidimensionale alla singola persona; relazionalità, integrazione, condivisione degli obiettivi, concertazione tra i policy makers; sussidiarietà (orizzontale, verticale, circolare); razionalità relazionale; regolazione improntata in primis al paradigma della reciprocità; possibile coesistenza di differenti principi di regolazione; produzione di beni relazionali; possibile coesistenza tra differenti etiche (etica delle intenzioni, etica della responsabilità, etica della cura, etica delle virtù). Una volta individuati i requisiti di una politica di bene comune si è tentato di verificare se l’attuale configurazione giuridico-economica delle politiche attive italiane del lavoro (e, più in particolare, di quelle umbre) sia rispondente o meno a suddetti requisiti. Il vantaggio di questa analisi può essere duplice. Infatti, sia i problemi strutturali del mercato del lavoro italiano (ed umbro) sia le criticità che emergono dalla valutazione delle politiche attive del lavoro richiedono interventi correttivi che appaiono in linea proprio con i presupposti attribuibili ad un approccio orientato al bene comune. Questo significa integrare sapientemente ammortizzatori sociali (per dare, nelle fasi di criticità, sostegno al reddito anche a fini di riqualificazione) e politiche attive del lavoro (con servizi all’impiego personalizzati, sessuati e certificati, erogati secondo un modello a rete, con una molteplicità di attori pubblici e privati in regime di autonomia e competizione così da garantire un pluralismo di offerta), assegnando opportunamente i ruoli rispettivi ai diversi livelli di governo e alle parti sociali, esercitando cioè sussidiarietà verticale ed orizzontale correttamente intese, tanto più che in Italia si registra la presenza di marcate differenziazioni territoriali nella produzione dei servizi all’impiego, il persistere di divari regionali e l’inadeguatezza delle politiche attive al superamento degli squilibri strutturali. Significa anche far interagire in modo sistemico sistemi scolastici, formativi, di orientamento e mondo del lavoro per fronteggiare il problema della difficile transizione tra fase formativa (scuola/università) e lavoro; avere una conoscenza più approfondita della realtà dei processi formativi ed occupazionali, anche attraverso una migliore disponibilità di dati longitudinali relativi ai percorsi individuali (formativi, lavorativi e retributivi) producendo statistiche di tipo sia strutturale che di cambiamento; coltivare un approccio integrato tra politiche per l’occupazione e politiche di welfare (formazione, lavoro, relazioni industriali, servizi sociali e di cura). Inoltre, assumere coscientemente la prospettiva del bene comune con riferimento al mercato del lavoro (che dovrebbe diventare, per tale motivo, a maggior ragione più efficiente ed equo) può essere altrettanto importante in quanto favorisce l’acquisizione della consapevolezza del comune beneficio che ne deriva ai cittadini, nonché dello spessore etico richiesto in corrispondenza. Nella terza parte il volume illustra il punto di vista di alcuni operatori locali umbri (concretamente impegnati nella progettazione e/o attuazione delle politiche attive del lavoro: Associazioni di categoria, sindacati, patronati, centro di formazione imprenditoriale della camera di commercio di Perugia, Provincia di Perugia) sulle attuali problematiche di dette politiche, sui progressi già conseguiti e sui miglioramenti da adottare, sui promettenti sviluppi dell’adozione di una prospettiva del bene comune. Il punto di vista teorico-normativo sulle politiche attive del lavoro nella prospettiva del bene comune della seconda parte del libro si salda così con quello pragmatico-positivo della terza parte del volume prefigurandone la concreta conciliabilità e realizzabilità.

Le politiche attive del lavoro nella prospettiva del bene comune

GRASSELLI, Pierluigi Maria;MONTESI, Cristina
2010

Abstract

Le politiche del lavoro sono destinate ad assumere un’importanza crescente nelle società dei paesi occidentali: occorre infatti garantire l’occupazione effettiva e in ogni caso l’occupabilità delle forze di lavoro, anche assicurando la formazione richiesta dalle esigenze di competitività delle imprese sui mercati mondiali, oltreché sostegno reddituale a chi è in attesa di reinserimento lavorativo o alla ricerca di un primo o di un nuovo lavoro. Tra le politiche multi-obiettivo richieste in corrispondenza, le politiche attive del lavoro occupano una posizione di primo piano. Su “Le politiche attive del lavoro nella prospettiva del bene comune” si è svolto a Perugia, il 15 maggio 2009, un incontro di studio, organizzato dalla Facoltà di Economia e dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia, insieme all’Associazione culturale Leone XIII della Diocesi di Perugia. Nella prima parte, più tradizionale, del volume sono riportati gli Atti di tale incontro. La seconda parte del volume è quella più originale in quanto le politiche attive del lavoro sono interpretate da P.Grasselli e C.Montesi nella innovativa ottica del bene comune. Un mercato del lavoro che realizzi, tramite un mix appropriato di politiche passive ed attive, un’allocazione efficiente ed equa delle forze di lavoro può infatti essere legittimamente considerato come una componente centrale del “bene comune” proponibile per un certo territorio ad un certo tempo, se il “bene comune” viene inteso come il complesso delle condizioni che consentono il perfezionamento dei singoli e della collettività. A questo scopo il volume si propone in primis di delineare quali sono in generale i requisiti in base ai quali un politica può essere considerata al servizio del «bene comune», schematicamente riassumibili in: attenzione multidimensionale alla singola persona; relazionalità, integrazione, condivisione degli obiettivi, concertazione tra i policy makers; sussidiarietà (orizzontale, verticale, circolare); razionalità relazionale; regolazione improntata in primis al paradigma della reciprocità; possibile coesistenza di differenti principi di regolazione; produzione di beni relazionali; possibile coesistenza tra differenti etiche (etica delle intenzioni, etica della responsabilità, etica della cura, etica delle virtù). Una volta individuati i requisiti di una politica di bene comune si è tentato di verificare se l’attuale configurazione giuridico-economica delle politiche attive italiane del lavoro (e, più in particolare, di quelle umbre) sia rispondente o meno a suddetti requisiti. Il vantaggio di questa analisi può essere duplice. Infatti, sia i problemi strutturali del mercato del lavoro italiano (ed umbro) sia le criticità che emergono dalla valutazione delle politiche attive del lavoro richiedono interventi correttivi che appaiono in linea proprio con i presupposti attribuibili ad un approccio orientato al bene comune. Questo significa integrare sapientemente ammortizzatori sociali (per dare, nelle fasi di criticità, sostegno al reddito anche a fini di riqualificazione) e politiche attive del lavoro (con servizi all’impiego personalizzati, sessuati e certificati, erogati secondo un modello a rete, con una molteplicità di attori pubblici e privati in regime di autonomia e competizione così da garantire un pluralismo di offerta), assegnando opportunamente i ruoli rispettivi ai diversi livelli di governo e alle parti sociali, esercitando cioè sussidiarietà verticale ed orizzontale correttamente intese, tanto più che in Italia si registra la presenza di marcate differenziazioni territoriali nella produzione dei servizi all’impiego, il persistere di divari regionali e l’inadeguatezza delle politiche attive al superamento degli squilibri strutturali. Significa anche far interagire in modo sistemico sistemi scolastici, formativi, di orientamento e mondo del lavoro per fronteggiare il problema della difficile transizione tra fase formativa (scuola/università) e lavoro; avere una conoscenza più approfondita della realtà dei processi formativi ed occupazionali, anche attraverso una migliore disponibilità di dati longitudinali relativi ai percorsi individuali (formativi, lavorativi e retributivi) producendo statistiche di tipo sia strutturale che di cambiamento; coltivare un approccio integrato tra politiche per l’occupazione e politiche di welfare (formazione, lavoro, relazioni industriali, servizi sociali e di cura). Inoltre, assumere coscientemente la prospettiva del bene comune con riferimento al mercato del lavoro (che dovrebbe diventare, per tale motivo, a maggior ragione più efficiente ed equo) può essere altrettanto importante in quanto favorisce l’acquisizione della consapevolezza del comune beneficio che ne deriva ai cittadini, nonché dello spessore etico richiesto in corrispondenza. Nella terza parte il volume illustra il punto di vista di alcuni operatori locali umbri (concretamente impegnati nella progettazione e/o attuazione delle politiche attive del lavoro: Associazioni di categoria, sindacati, patronati, centro di formazione imprenditoriale della camera di commercio di Perugia, Provincia di Perugia) sulle attuali problematiche di dette politiche, sui progressi già conseguiti e sui miglioramenti da adottare, sui promettenti sviluppi dell’adozione di una prospettiva del bene comune. Il punto di vista teorico-normativo sulle politiche attive del lavoro nella prospettiva del bene comune della seconda parte del libro si salda così con quello pragmatico-positivo della terza parte del volume prefigurandone la concreta conciliabilità e realizzabilità.
2010
9788856822847
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/171225
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