Il saggio di C.Montesi contenuto nel volume è composto da due parti. Una parte è costituita da una succinta sintesi delle risultanze della ricerca empirica interdisciplinare, finanziata nel 2007 dall’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Umbria, sulla concezione di dono e sui comportamenti donativi di un gruppo di giovani studenti e neolaureati in discipline economiche della regione Umbria, con l’analisi dell’influenza che alcune variabili (caratteristiche psicologiche, appartenenza di genere, età, legami personali, modalità di vita, condizione professionale, background formativo), esercitano sugli stessi e con la formulazione delle relative indicazioni di policy per incrementare e riqualificare le loro pratiche donative. Un’altra parte del saggio è invece dedicata ad una rassegna delle molteplici interpretazioni del dono schematicamente riassumibili in: concezioni rivalistiche, puriste, strumentali, relazionali. Il dono è stato originariamente ricondotto dagli antropologi (Mauss) a strumento di competizione posizionale, meno incruento della guerra, delle società arcaiche caratterizzate dal triplice obbligo di dare, ricevere, restituire (concezione rivalistica). Nelle società moderne è stato da taluni filosofi (Marion, Derrida) concepito come espressione talmente intransigente di altruismo “puro”, ovvero come atto disinteressato (non mosso dalla ragione calcolatrice), gratuito (eseguito senza aspettative di restituzione), unilaterale (procede a senso unico dal donatore al beneficiario), discontinuo (isolato), da sfociare paradossalmente nell’impossibilità ontologica (concezione purista). Sempre se relegato alla sfera individuale ed irrazionale, il dono è stato anche letto come moto spontaneo dell’animo, come frutto di un sentimento “sublime” (l’amore non ricambiabile, l’agápe) (concezione purista). Sempre nell’ambito dell’individualismo metodologico, ma in un’ottica utilitarista, il dono rasenta ancora una volta l’impossibilità, specialmente se pensato in termini squisitamente economici. Per l’utilitarismo infatti il dono non ha motivo di esistere (non essendo concepibili atti disinteressati) oppure è ipocrisia (vi è sempre un interesse egoistico a comportarsi altruisticamente). Nella prima accezione il dono diventa soltanto perdita, rimessa, sacrificio, nella seconda uno strumento sempre al servizio dell’interesse individuale (concezione strumentale). Alternativamente a queste visioni il dono è stato interpretato da altri studiosi sempre delle scienze sociali come un costruttore universale di legami sociali (acquisendo in questo compito anche un valore simbolico) visto che comporta reciprocità, a livello più o meno generalizzato, anche se quest’ultima, a differenza di quanto accade nel dono arcaico, è libera, lontana dal rispetto dell’equivalenza ed assai diversa dallo scambio di mercato anche per altri elementi. Dilatando questa concezione relazionale da un orizzonte meramente sociale ad un orizzonte etico, il dono è stato pensato da alcuni filosofi (Ricoeur) non soltanto come il fondamento della vita associativa, ma anche della stessa esistenza-essenza umana, ovvero come il sostrato della persona, le cui caratteristiche essenziali sono la relazionalità e l’apertura all’Altro. In questa accezione il dono diventa, attraverso i meccanismi del riconoscimento/riconoscenza mediante i quali opera nel mondo, possibilità esistenziale di pensare e rapportarsi al prossimo in termini di Alterità anche ai fini della costruzione della propria identità. Se trasliamo la concezione relazionale del dono dal piano etico-sociale al piano economico, si osserva che esso può essere innovativamente concepito come attività che, senza snaturarsi in senso utilitaristico, agevola grazie ai suoi risvolti relazionali il funzionamento del mercato e dell’impresa, di cui può migliorare il capitale umano, il capitale organizzativo, il capitale relazionale e la capacità competitiva, in aggiunta naturalmente al fatto che esso è l’attività alla base della nascita e della espansione di alcuni tipi di organizzazioni del non profit produttrici di beni relazionali.

L'interpretazione dello spirito del dono: le diverse concezioni

MONTESI, Cristina
2010

Abstract

Il saggio di C.Montesi contenuto nel volume è composto da due parti. Una parte è costituita da una succinta sintesi delle risultanze della ricerca empirica interdisciplinare, finanziata nel 2007 dall’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Umbria, sulla concezione di dono e sui comportamenti donativi di un gruppo di giovani studenti e neolaureati in discipline economiche della regione Umbria, con l’analisi dell’influenza che alcune variabili (caratteristiche psicologiche, appartenenza di genere, età, legami personali, modalità di vita, condizione professionale, background formativo), esercitano sugli stessi e con la formulazione delle relative indicazioni di policy per incrementare e riqualificare le loro pratiche donative. Un’altra parte del saggio è invece dedicata ad una rassegna delle molteplici interpretazioni del dono schematicamente riassumibili in: concezioni rivalistiche, puriste, strumentali, relazionali. Il dono è stato originariamente ricondotto dagli antropologi (Mauss) a strumento di competizione posizionale, meno incruento della guerra, delle società arcaiche caratterizzate dal triplice obbligo di dare, ricevere, restituire (concezione rivalistica). Nelle società moderne è stato da taluni filosofi (Marion, Derrida) concepito come espressione talmente intransigente di altruismo “puro”, ovvero come atto disinteressato (non mosso dalla ragione calcolatrice), gratuito (eseguito senza aspettative di restituzione), unilaterale (procede a senso unico dal donatore al beneficiario), discontinuo (isolato), da sfociare paradossalmente nell’impossibilità ontologica (concezione purista). Sempre se relegato alla sfera individuale ed irrazionale, il dono è stato anche letto come moto spontaneo dell’animo, come frutto di un sentimento “sublime” (l’amore non ricambiabile, l’agápe) (concezione purista). Sempre nell’ambito dell’individualismo metodologico, ma in un’ottica utilitarista, il dono rasenta ancora una volta l’impossibilità, specialmente se pensato in termini squisitamente economici. Per l’utilitarismo infatti il dono non ha motivo di esistere (non essendo concepibili atti disinteressati) oppure è ipocrisia (vi è sempre un interesse egoistico a comportarsi altruisticamente). Nella prima accezione il dono diventa soltanto perdita, rimessa, sacrificio, nella seconda uno strumento sempre al servizio dell’interesse individuale (concezione strumentale). Alternativamente a queste visioni il dono è stato interpretato da altri studiosi sempre delle scienze sociali come un costruttore universale di legami sociali (acquisendo in questo compito anche un valore simbolico) visto che comporta reciprocità, a livello più o meno generalizzato, anche se quest’ultima, a differenza di quanto accade nel dono arcaico, è libera, lontana dal rispetto dell’equivalenza ed assai diversa dallo scambio di mercato anche per altri elementi. Dilatando questa concezione relazionale da un orizzonte meramente sociale ad un orizzonte etico, il dono è stato pensato da alcuni filosofi (Ricoeur) non soltanto come il fondamento della vita associativa, ma anche della stessa esistenza-essenza umana, ovvero come il sostrato della persona, le cui caratteristiche essenziali sono la relazionalità e l’apertura all’Altro. In questa accezione il dono diventa, attraverso i meccanismi del riconoscimento/riconoscenza mediante i quali opera nel mondo, possibilità esistenziale di pensare e rapportarsi al prossimo in termini di Alterità anche ai fini della costruzione della propria identità. Se trasliamo la concezione relazionale del dono dal piano etico-sociale al piano economico, si osserva che esso può essere innovativamente concepito come attività che, senza snaturarsi in senso utilitaristico, agevola grazie ai suoi risvolti relazionali il funzionamento del mercato e dell’impresa, di cui può migliorare il capitale umano, il capitale organizzativo, il capitale relazionale e la capacità competitiva, in aggiunta naturalmente al fatto che esso è l’attività alla base della nascita e della espansione di alcuni tipi di organizzazioni del non profit produttrici di beni relazionali.
2010
9788856835083
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/171263
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