In questo scritto, pubblicato nel 2010, dunque a ben più di 20 anni di distanza dall’entrata in vigore del codice di rito penale del 1988, si vuole cogliere l’evoluzione, legislativa e giurisprudenziale, che ha connotato i procedimenti alternativi nel processo penale. Si nota, così, che nell’insieme, è dato registrare un progressivo mutamento dei presupposti per l’accesso a tali riti: da una specialità incentrata sulla modesta entità del reato o sull’evidenza della prova si è andata fortemente sviluppando una specialità fondata sull’accordo delle parti o sull’affermazione della volontà di una sola delle parti. Il passaggio cruciale verso questo secondo tipo d’impostazione è rappresentato dal codice di rito del 1988, nel cui ambito il potere dispositivo delle parti ha assunto un ruolo centrale. Nell’analisi della politica criminale che ruota intorno ai riti semplificati, si è visto come, dopo l’entrata in vigore del codice del 1988, la politica legislativa dell’ultimo decennio ha dapprima puntato sui riti c.d. premiali (giudizio abbreviato, patteggiamento e procedimento per decreto) e, poi, incentrato l’attenzione sui riti anticipatori del dibattimento (giudizio direttissimo e giudizio immediato). In entrambi i casi, si è colto l’obiettivo legislativo di incentivare l’accesso a tali riti per ovvie esigenze di semplificazione ed alleggerimento del carico giudiziario e, a volte, anche di attribuzione di un certo valore simbolico all’accelerazione del procedimento per alcuni reati. In particolare, si è prestata attenzione alle più recenti modifiche legislative (c.d. pacchetto sicurezza: d.l. n. 92 del 2008 conv. in l. n. 125 del 2008) che, incidendo sui riti la cui attivazione è lasciata alla discrezionale iniziativa del p.m., hanno tentato di incidere e delimitare proprio questo spazio di discrezionalità con risultati, tuttavia, più apparenti che reali.

Profili soggettivi, oggettivi e temporali dei procedimenti speciali nell'evoluzione legislativa e nella prassi

MONTAGNA, Mariangela
2010

Abstract

In questo scritto, pubblicato nel 2010, dunque a ben più di 20 anni di distanza dall’entrata in vigore del codice di rito penale del 1988, si vuole cogliere l’evoluzione, legislativa e giurisprudenziale, che ha connotato i procedimenti alternativi nel processo penale. Si nota, così, che nell’insieme, è dato registrare un progressivo mutamento dei presupposti per l’accesso a tali riti: da una specialità incentrata sulla modesta entità del reato o sull’evidenza della prova si è andata fortemente sviluppando una specialità fondata sull’accordo delle parti o sull’affermazione della volontà di una sola delle parti. Il passaggio cruciale verso questo secondo tipo d’impostazione è rappresentato dal codice di rito del 1988, nel cui ambito il potere dispositivo delle parti ha assunto un ruolo centrale. Nell’analisi della politica criminale che ruota intorno ai riti semplificati, si è visto come, dopo l’entrata in vigore del codice del 1988, la politica legislativa dell’ultimo decennio ha dapprima puntato sui riti c.d. premiali (giudizio abbreviato, patteggiamento e procedimento per decreto) e, poi, incentrato l’attenzione sui riti anticipatori del dibattimento (giudizio direttissimo e giudizio immediato). In entrambi i casi, si è colto l’obiettivo legislativo di incentivare l’accesso a tali riti per ovvie esigenze di semplificazione ed alleggerimento del carico giudiziario e, a volte, anche di attribuzione di un certo valore simbolico all’accelerazione del procedimento per alcuni reati. In particolare, si è prestata attenzione alle più recenti modifiche legislative (c.d. pacchetto sicurezza: d.l. n. 92 del 2008 conv. in l. n. 125 del 2008) che, incidendo sui riti la cui attivazione è lasciata alla discrezionale iniziativa del p.m., hanno tentato di incidere e delimitare proprio questo spazio di discrezionalità con risultati, tuttavia, più apparenti che reali.
2010
9788834814161
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/173032
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