Il lavoro intende ripercorrere la giurisprudenza costituzionale dei due decenni successivi allo smaltimento dell’arretrato (che alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso ha segnato in modo significativo l’attività della Corte costituzionale). In particolare l’analisi viene condotta prendendo spunto dal rapporto che la Corte ha instaurato con i suoi due interlocutori principali: il potere giudiziario, da un lato, e quello legislativo, dall’altro. Per quanto concerne il primo, è possibile tracciare un bilancio sostanzialmente positivo. Tra Corte e giudici c’è un rapporto fortemente collaborativo, nonostante alcune, inevitabili, criticità. La Corte ha valorizzato in modo crescente il ruolo dei giudici nell’ambito del processo costituzionale, anche se ciò si è tradotto di fatto nella pretesa di un’estrema puntualità nella prospettazione della questione di legittimità costituzionale. Il culmine di tale tendenza evolutiva è stato raggiunto con il canone dell’interpretazione conforme, che rende l’attivazione del processo costituzionale un’extrema ratio, da utilizzare solo quando la questione non può essere risolta sul piano interpretativo, direttamente dal giudice. Per quanto concerne, invece, il rapporto con il potere legislativo, emerge una situazione molto più problematica. Il potere legislativo (e politico in genere) ha assunto sempre più spesso atteggiamenti aggressivi e fortemente critici nei confronti della Corte, andando così a mettere in discussione la sua autorevolezza. La Corte, dal canto suo, di fronte ad un Parlamento spesso inerte e al tempo stesso critico nei suoi confronti, ha faticosamente tentato di trovare il giusto equilibrio tra interventi incisivi verso la politica e atteggiamenti fin troppo prudenziali. In alcuni casi ha elaborato strumenti decisori che le hanno consentito di assumere decisioni che di fatto sconfinano nell’ambito riservato al legislatore o ha comunque adottato pronunce dal forte impatto politico; in altri casi ha preferito rifugiarsi nelle decisioni meramente processuali, per evitare di prendere posizione su questioni dall’alta valenza politica. Il quadro tracciato induce ad auspicare un maggiore rispetto dei confini competenziali riservati ai diversi poteri. E’ necessario evitare di sovrapporre il piano dell’interpretazione con quello della normazione. L’attività interpretativa, in particolare, deve essere condotta nel rispetto del vincolo testuale, senza travalicarlo mediante l’uso di tecniche eccessivamente creative. Di fronte agli attacchi ripetuti provenienti dalla politica, la Corte deve rispondere attraverso un maggior rigore formale (motivando adeguatamente le sue pronunce, utilizzando in modo corretto la propria potestà regolamentare, e così via). Solo con il rigoroso rispetto delle regole la Corte può salvaguardare la propria legittimazione sostanziale nel sistema istituzionale.

Uno sguardo sulla giustizia costituzionale venti anni dopo lo smaltimento dell'arretrato

PESOLE, Luciana
2011

Abstract

Il lavoro intende ripercorrere la giurisprudenza costituzionale dei due decenni successivi allo smaltimento dell’arretrato (che alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso ha segnato in modo significativo l’attività della Corte costituzionale). In particolare l’analisi viene condotta prendendo spunto dal rapporto che la Corte ha instaurato con i suoi due interlocutori principali: il potere giudiziario, da un lato, e quello legislativo, dall’altro. Per quanto concerne il primo, è possibile tracciare un bilancio sostanzialmente positivo. Tra Corte e giudici c’è un rapporto fortemente collaborativo, nonostante alcune, inevitabili, criticità. La Corte ha valorizzato in modo crescente il ruolo dei giudici nell’ambito del processo costituzionale, anche se ciò si è tradotto di fatto nella pretesa di un’estrema puntualità nella prospettazione della questione di legittimità costituzionale. Il culmine di tale tendenza evolutiva è stato raggiunto con il canone dell’interpretazione conforme, che rende l’attivazione del processo costituzionale un’extrema ratio, da utilizzare solo quando la questione non può essere risolta sul piano interpretativo, direttamente dal giudice. Per quanto concerne, invece, il rapporto con il potere legislativo, emerge una situazione molto più problematica. Il potere legislativo (e politico in genere) ha assunto sempre più spesso atteggiamenti aggressivi e fortemente critici nei confronti della Corte, andando così a mettere in discussione la sua autorevolezza. La Corte, dal canto suo, di fronte ad un Parlamento spesso inerte e al tempo stesso critico nei suoi confronti, ha faticosamente tentato di trovare il giusto equilibrio tra interventi incisivi verso la politica e atteggiamenti fin troppo prudenziali. In alcuni casi ha elaborato strumenti decisori che le hanno consentito di assumere decisioni che di fatto sconfinano nell’ambito riservato al legislatore o ha comunque adottato pronunce dal forte impatto politico; in altri casi ha preferito rifugiarsi nelle decisioni meramente processuali, per evitare di prendere posizione su questioni dall’alta valenza politica. Il quadro tracciato induce ad auspicare un maggiore rispetto dei confini competenziali riservati ai diversi poteri. E’ necessario evitare di sovrapporre il piano dell’interpretazione con quello della normazione. L’attività interpretativa, in particolare, deve essere condotta nel rispetto del vincolo testuale, senza travalicarlo mediante l’uso di tecniche eccessivamente creative. Di fronte agli attacchi ripetuti provenienti dalla politica, la Corte deve rispondere attraverso un maggior rigore formale (motivando adeguatamente le sue pronunce, utilizzando in modo corretto la propria potestà regolamentare, e così via). Solo con il rigoroso rispetto delle regole la Corte può salvaguardare la propria legittimazione sostanziale nel sistema istituzionale.
2011
9788834818794
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/176350
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