“Nel confrontarsi con i temi di storia dell’architettura, Paolo Belardi non parte mai dalla sola osservazione esterna; considera invece i principi matematici che stanno alla sorgente della forma. Non a caso è capace di dare vita tridimensionale a rapidi schizzi e disegni di architetti del passato. Questa volta il suo interesse si è diretto verso un tema che sembrava più il dominio dei sociologi e degli storici delle tradizioni popolari piuttosto che degli storici dell’architettura. E difatti, nella prima concezione e nelle successive modifiche dei ceri, non possono essere stati posti e risolti ardui problemi d’ingegneria, se non altro per la notevole altezza (oltre i 5 metri con la statua quello di Sant’Antonio), per il peso (un po’ più di 495 chili quello di San Giorgio) e certo per la tensione cui sono sottoposti nella corsa che dall’alzata in piazza Grande prosegue in difficile equilibrio sui pendii della calata dei Neri, di via dei Consoli, fino all’arrivo alla basilica di Sant’Ubaldo, mentre le macchine ondeggiano nelle birate. Una corsa così raffinata da dare idealmente la vittoria non a chi giunge per primo, ma al modo in cui tutta l’équipe arriva al traguardo, richiede un controllo attentissimo delle grandi strutture poste sulle barelle. La ricerca iconografica di Paolo Belardi conduce a indicare l’invenzione della forma attuale dei ceri nel rinascimento e l’affezione che Battista Sforza e Federico da Montefeltro manifestarono per Gubbio si presenta come il percorso più suggestivo per risalire al momento in cui nasce l’idea di un intervento di un sostanziale rinnovamento di una tradizione d’età medievale. (…) È appunto l’analisi proporzionale dei ceri la grande novità del libro, che ha il merito di farci scoprire in una festa popolare che dura tuttora le radici colte che ci rimandano a un tempo in cui nessun aspetto della vita dello Stato era lasciato al caso e non era regolato dentro un sistema in cui la forma aveva un alto valore simbolico”. Carlo Bertelli, Prefazione, 2011
"Divinae proportiones". Il disegno euclideo dei ceri di Gubbio
BELARDI, Paolo
2011
Abstract
“Nel confrontarsi con i temi di storia dell’architettura, Paolo Belardi non parte mai dalla sola osservazione esterna; considera invece i principi matematici che stanno alla sorgente della forma. Non a caso è capace di dare vita tridimensionale a rapidi schizzi e disegni di architetti del passato. Questa volta il suo interesse si è diretto verso un tema che sembrava più il dominio dei sociologi e degli storici delle tradizioni popolari piuttosto che degli storici dell’architettura. E difatti, nella prima concezione e nelle successive modifiche dei ceri, non possono essere stati posti e risolti ardui problemi d’ingegneria, se non altro per la notevole altezza (oltre i 5 metri con la statua quello di Sant’Antonio), per il peso (un po’ più di 495 chili quello di San Giorgio) e certo per la tensione cui sono sottoposti nella corsa che dall’alzata in piazza Grande prosegue in difficile equilibrio sui pendii della calata dei Neri, di via dei Consoli, fino all’arrivo alla basilica di Sant’Ubaldo, mentre le macchine ondeggiano nelle birate. Una corsa così raffinata da dare idealmente la vittoria non a chi giunge per primo, ma al modo in cui tutta l’équipe arriva al traguardo, richiede un controllo attentissimo delle grandi strutture poste sulle barelle. La ricerca iconografica di Paolo Belardi conduce a indicare l’invenzione della forma attuale dei ceri nel rinascimento e l’affezione che Battista Sforza e Federico da Montefeltro manifestarono per Gubbio si presenta come il percorso più suggestivo per risalire al momento in cui nasce l’idea di un intervento di un sostanziale rinnovamento di una tradizione d’età medievale. (…) È appunto l’analisi proporzionale dei ceri la grande novità del libro, che ha il merito di farci scoprire in una festa popolare che dura tuttora le radici colte che ci rimandano a un tempo in cui nessun aspetto della vita dello Stato era lasciato al caso e non era regolato dentro un sistema in cui la forma aveva un alto valore simbolico”. Carlo Bertelli, Prefazione, 2011I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.