Il saggio si interroga sulle motivazioni per le quali la nozione di "bene comune" (inteso in senso sostanziale, ovvero come complesso delle condizioni di "vita buona" di un territorio), che è un "bene relazionale", ha avuto difficoltà di cittadinanza nella teoria economica. Ciò è stato dovuto al fatto che espellere, con il paradigma dell'homo oeconomicus, le relazioni personali dalla sfera del mercato ha reso le transazioni più veloci e meno costose (principio di exit) con un innegabile guadagno di efficienza ed ha consentito alla scienza economica di tramutarsi da scienza sociale a scienza naturale con un indiscutibile guadagno di oggettività, a prezzo però del suo divorzio dal benessere e dalla felicità. Inoltre il bene comune, inteso come "bene di tutti, ma anche di ciascuno", è assai differente dal "bene totale" di marca utilitarista che riecheggia, seppur in modo non così ugualitaristico, nel pensiero di Bentham (con il motto "della felicità per il maggior numero di persone"), per poi scomparire definitivamente in quello degli economisti neoclassici. Il saggio passa in rassegna alcune delle diverse concezioni di bene comune che, nonostante la recalcitranza della disciplina, si sono avvicendate nella scienza economica, mettendo in luce anche il rischio di relativismo sotteso alla molteplicità di tali nozioni. Essendo il bene comune un bene relazionale (ovvero che si costruisce insieme e si gode insieme), ne deriva anche che la nozione di bene comune non può essere imposta in modo autoritario, ma va ricercata in modo processuale e necessita di democrazia deliberativa, oltrechè rappresentativa. Il saggio mette poi in evidenza gli elementi che potrebbero contraddistinguere delle politiche improntate al bene comune. Tali ingredienti sono schematicamente riassumibili in: attenzione multidimensionale alla singola persona; relazionalità, integrazione, condivisione degli obiettivi, concertazione tra i policy makers; sussidiarietà (orizzontale, verticale e circolare); razionalità relazionale; regolazione improntata in primis al paradigma della reciprocità; possibile coesistenza di differenti principi di regolazione (scambio di mercato, reciprocità, coazione/redistribuzione); produzione di beni relazionali; possibile coesistenza tra differenti etiche (etica delle intenzioni, etica della responsabilità, etica della cura, etica delle virtù). Infine il saggio individua alcuni esempi concreti di politiche di bene comune nelle politiche di sviluppo locale (in specie quelle realizzate in base alla programmazione negoziata) e nelle politiche attive del lavoro rinvenendo in entrambe gli elementi distintivi di un approccio vocato al bene comune. Gli elementi di comunanza tra politiche attive del lavoro per le donne e politiche orientate al bene comune vengono innovativamente portati alla luce nella parte finale del saggio, formulando anche dei suggerimenti per il loro miglioramento, sempre nella prospettiva del bene comune. Sotto tale profilo, il saggio rimarca la necessità di prestare una consulenza "personalizzata" e "sessuata" presso i Centri per l'impiego, per soddisfare l’esigenza di autorealizzazione della donna sul mercato del lavoro, secondo i propri talenti, vocazioni e la propria specificità di genere: perciò le suddette politiche dovrebbero essere calibrate specificamente per le donne ed adeguatamente raccordate con le politiche di conciliazione famiglia/lavoro.
Politiche orientate al bene comune e politiche attive del lavoro
MONTESI, Cristina
2010
Abstract
Il saggio si interroga sulle motivazioni per le quali la nozione di "bene comune" (inteso in senso sostanziale, ovvero come complesso delle condizioni di "vita buona" di un territorio), che è un "bene relazionale", ha avuto difficoltà di cittadinanza nella teoria economica. Ciò è stato dovuto al fatto che espellere, con il paradigma dell'homo oeconomicus, le relazioni personali dalla sfera del mercato ha reso le transazioni più veloci e meno costose (principio di exit) con un innegabile guadagno di efficienza ed ha consentito alla scienza economica di tramutarsi da scienza sociale a scienza naturale con un indiscutibile guadagno di oggettività, a prezzo però del suo divorzio dal benessere e dalla felicità. Inoltre il bene comune, inteso come "bene di tutti, ma anche di ciascuno", è assai differente dal "bene totale" di marca utilitarista che riecheggia, seppur in modo non così ugualitaristico, nel pensiero di Bentham (con il motto "della felicità per il maggior numero di persone"), per poi scomparire definitivamente in quello degli economisti neoclassici. Il saggio passa in rassegna alcune delle diverse concezioni di bene comune che, nonostante la recalcitranza della disciplina, si sono avvicendate nella scienza economica, mettendo in luce anche il rischio di relativismo sotteso alla molteplicità di tali nozioni. Essendo il bene comune un bene relazionale (ovvero che si costruisce insieme e si gode insieme), ne deriva anche che la nozione di bene comune non può essere imposta in modo autoritario, ma va ricercata in modo processuale e necessita di democrazia deliberativa, oltrechè rappresentativa. Il saggio mette poi in evidenza gli elementi che potrebbero contraddistinguere delle politiche improntate al bene comune. Tali ingredienti sono schematicamente riassumibili in: attenzione multidimensionale alla singola persona; relazionalità, integrazione, condivisione degli obiettivi, concertazione tra i policy makers; sussidiarietà (orizzontale, verticale e circolare); razionalità relazionale; regolazione improntata in primis al paradigma della reciprocità; possibile coesistenza di differenti principi di regolazione (scambio di mercato, reciprocità, coazione/redistribuzione); produzione di beni relazionali; possibile coesistenza tra differenti etiche (etica delle intenzioni, etica della responsabilità, etica della cura, etica delle virtù). Infine il saggio individua alcuni esempi concreti di politiche di bene comune nelle politiche di sviluppo locale (in specie quelle realizzate in base alla programmazione negoziata) e nelle politiche attive del lavoro rinvenendo in entrambe gli elementi distintivi di un approccio vocato al bene comune. Gli elementi di comunanza tra politiche attive del lavoro per le donne e politiche orientate al bene comune vengono innovativamente portati alla luce nella parte finale del saggio, formulando anche dei suggerimenti per il loro miglioramento, sempre nella prospettiva del bene comune. Sotto tale profilo, il saggio rimarca la necessità di prestare una consulenza "personalizzata" e "sessuata" presso i Centri per l'impiego, per soddisfare l’esigenza di autorealizzazione della donna sul mercato del lavoro, secondo i propri talenti, vocazioni e la propria specificità di genere: perciò le suddette politiche dovrebbero essere calibrate specificamente per le donne ed adeguatamente raccordate con le politiche di conciliazione famiglia/lavoro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.