La seconda parte è interamente dedicata alla ricerca-intervento condotta presso due Istituti Professionali di Perugia nell’anno scolastico 2006-2007 e proseguita, in un caso, in quello successivo. A differenza della primaria ed ormai anche della scuola media, dove da tempo si affrontano le tematiche dell’inserimento degli immigrati e dell’educazione interculturale, le secondarie superiori non hanno ancora sedimentato procedure e modalità d’accoglienza che considerino gli allievi d’origine straniera una presenza ordinaria, stentando a ripensare, in rapporto ad un’utenza diventata multiculturale e plurilingue, sia la funzione sociale ed educativa dell’istituzione, sia i metodi, i contenuti, le forme organizzative, i materiali della didattica. I Professionali hanno dovuto rapidamente sostenere la sfida di queste nuove presenze, poiché vi si concentra la maggioranza degli adolescenti stranieri che proseguono gli studi dopo la scuola media inferiore, come richiede il prolungamento dell’obbligo, ritenendo questo tipo di scuola più facile e più precocemente orientata al lavoro. Per loro è un’opportunità di emancipazione che può consentire di formarsi competenze culturali altrimenti negate e di muoversi nel nostro Paese con maggiore sicurezza. Ma è anche una prova difficile da sostenere, irta di ostacoli cognitivi, di relazioni complesse con i coetanei, con gli insegnanti e con l’istituzione, che non di rado porta a conflittualità e forme di resistenza che vanno dall’autoemarginazione alla provocazione manifesta. La scuola si è presentata peraltro, a noi come al gruppo bolognese, come un terreno di ricerca ineludibile in quanto luogo di aggregazione in cui convivono quotidianamente immigrati ed autoctoni, giovani ed adulti, e punto d’osservazione che immette in un crogiolo di potenti dinamiche, a fronte delle quali si gioca la carta di una possibile emancipazione dei ragazzi e, retroattivamente, delle loro famiglie. Siamo entrati nei due Professionali come ospiti partecipanti che si dovevano far accettare da docenti e studenti, giocando un ruolo attivo nella veste di conduttori di laboratori extracurricolari presso alcune prime classi, dove avviene l’impatto dell’inserimento. Dopo un doveroso prologo sulla scuola comune, in quanto – secondo la prospettiva interculturale – aperta agli autoctoni e agli immigrati insieme, nella seconda parte del testo non solo raccontiamo quanto abbiamo osservato ed ascoltato, ma indichiamo anche i limiti che hanno segnato la nostra azione e le modalità del rapporto man mano stabilito con i ragazzi, che almeno in parte ha modificato – come avviene nella ricerca-intervento – la situazione in cui operavamo. Riferiamo inoltre sui laboratori proposti e sui loro esiti, nonché sulle narrazioni di sé che alcuni studenti stranieri ci hanno rilasciato alla fine del percorso, quando la fiducia si era stabilita. I materiali prodotti dai ragazzi, che hanno utilizzato su nostra indicazione strumenti diversi (scrittura, disegno, performance ed animazioni improvvisate), esprimono aspetti della loro esperienza, del loro immaginario, della loro frequente tendenza alla provocazione per mettere alla prova la disponibilità degli adulti. L’analisi mette in luce vissuti che assumono la forma di coppie oppositive, come i passaggi d’età (grande/piccol*), l’aggressività agita o subita (forte/debole). Prende in considerazione le fantasie intorno alla trasgressione, l’affiorare delle differenze di genere, la relazione con l’Altro, il rapporto con il lontano/vicino sperimentato attraverso il viaggio ed altri temi che abbiamo suggerito per illuminare, da varie angolazioni, alcuni profili di quanto i ragazzi, come per un gioco che spesso tuttavia si faceva serio, intendevano esprimere con la nostra mediazione. La parte riservata alla scuola si estende ad un’appendice che in primo luogo esamina i densi dati sulla presenza degli allievi non italiani in Umbria e a Perugia, con un’attenzione particolare alla questione degli insuccessi e degli abbandoni, ed alle responsabilità che gravano sull’istituzione di fronte all’inserimento degli immigrati. In secondo luogo uno spazio è dedicato agli Istituti Professionali per documentare le vicende, non ancora concluse, che li hanno interessati lungo i tentativi di riqualificare un percorso formativo di grande importanza, perché rivolto prevalentemente ai giovani delle classi subalterne, siano italiani o di origine straniera. Si è ritenuta opportuna la ricostruzione di questa storia recente per rendere conto del quadro istituzionale di una scuola di cui non si parla a sufficienza e che non deve i suoi problemi tanto all’alta incidenza di immigrati, quanto al complesso rapporto tra formazione e lavoro, nel nostro Paese – oggi più che mai – irrisolto.

Dentro l'istituzione come ospiti partecipanti

FALTERI, Paola
2011

Abstract

La seconda parte è interamente dedicata alla ricerca-intervento condotta presso due Istituti Professionali di Perugia nell’anno scolastico 2006-2007 e proseguita, in un caso, in quello successivo. A differenza della primaria ed ormai anche della scuola media, dove da tempo si affrontano le tematiche dell’inserimento degli immigrati e dell’educazione interculturale, le secondarie superiori non hanno ancora sedimentato procedure e modalità d’accoglienza che considerino gli allievi d’origine straniera una presenza ordinaria, stentando a ripensare, in rapporto ad un’utenza diventata multiculturale e plurilingue, sia la funzione sociale ed educativa dell’istituzione, sia i metodi, i contenuti, le forme organizzative, i materiali della didattica. I Professionali hanno dovuto rapidamente sostenere la sfida di queste nuove presenze, poiché vi si concentra la maggioranza degli adolescenti stranieri che proseguono gli studi dopo la scuola media inferiore, come richiede il prolungamento dell’obbligo, ritenendo questo tipo di scuola più facile e più precocemente orientata al lavoro. Per loro è un’opportunità di emancipazione che può consentire di formarsi competenze culturali altrimenti negate e di muoversi nel nostro Paese con maggiore sicurezza. Ma è anche una prova difficile da sostenere, irta di ostacoli cognitivi, di relazioni complesse con i coetanei, con gli insegnanti e con l’istituzione, che non di rado porta a conflittualità e forme di resistenza che vanno dall’autoemarginazione alla provocazione manifesta. La scuola si è presentata peraltro, a noi come al gruppo bolognese, come un terreno di ricerca ineludibile in quanto luogo di aggregazione in cui convivono quotidianamente immigrati ed autoctoni, giovani ed adulti, e punto d’osservazione che immette in un crogiolo di potenti dinamiche, a fronte delle quali si gioca la carta di una possibile emancipazione dei ragazzi e, retroattivamente, delle loro famiglie. Siamo entrati nei due Professionali come ospiti partecipanti che si dovevano far accettare da docenti e studenti, giocando un ruolo attivo nella veste di conduttori di laboratori extracurricolari presso alcune prime classi, dove avviene l’impatto dell’inserimento. Dopo un doveroso prologo sulla scuola comune, in quanto – secondo la prospettiva interculturale – aperta agli autoctoni e agli immigrati insieme, nella seconda parte del testo non solo raccontiamo quanto abbiamo osservato ed ascoltato, ma indichiamo anche i limiti che hanno segnato la nostra azione e le modalità del rapporto man mano stabilito con i ragazzi, che almeno in parte ha modificato – come avviene nella ricerca-intervento – la situazione in cui operavamo. Riferiamo inoltre sui laboratori proposti e sui loro esiti, nonché sulle narrazioni di sé che alcuni studenti stranieri ci hanno rilasciato alla fine del percorso, quando la fiducia si era stabilita. I materiali prodotti dai ragazzi, che hanno utilizzato su nostra indicazione strumenti diversi (scrittura, disegno, performance ed animazioni improvvisate), esprimono aspetti della loro esperienza, del loro immaginario, della loro frequente tendenza alla provocazione per mettere alla prova la disponibilità degli adulti. L’analisi mette in luce vissuti che assumono la forma di coppie oppositive, come i passaggi d’età (grande/piccol*), l’aggressività agita o subita (forte/debole). Prende in considerazione le fantasie intorno alla trasgressione, l’affiorare delle differenze di genere, la relazione con l’Altro, il rapporto con il lontano/vicino sperimentato attraverso il viaggio ed altri temi che abbiamo suggerito per illuminare, da varie angolazioni, alcuni profili di quanto i ragazzi, come per un gioco che spesso tuttavia si faceva serio, intendevano esprimere con la nostra mediazione. La parte riservata alla scuola si estende ad un’appendice che in primo luogo esamina i densi dati sulla presenza degli allievi non italiani in Umbria e a Perugia, con un’attenzione particolare alla questione degli insuccessi e degli abbandoni, ed alle responsabilità che gravano sull’istituzione di fronte all’inserimento degli immigrati. In secondo luogo uno spazio è dedicato agli Istituti Professionali per documentare le vicende, non ancora concluse, che li hanno interessati lungo i tentativi di riqualificare un percorso formativo di grande importanza, perché rivolto prevalentemente ai giovani delle classi subalterne, siano italiani o di origine straniera. Si è ritenuta opportuna la ricostruzione di questa storia recente per rendere conto del quadro istituzionale di una scuola di cui non si parla a sufficienza e che non deve i suoi problemi tanto all’alta incidenza di immigrati, quanto al complesso rapporto tra formazione e lavoro, nel nostro Paese – oggi più che mai – irrisolto.
2011
9788860744111
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/457096
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