Fino agli anni Trenta le conoscenze che l’Europa aveva dell’architettura giapponese si limitavano ai templi buddisti, ad alcuni giardini e case del tè ed a qualche spoglia veduta interna di edifici in legno lindi e ordinati con le finestre scorrevoli in carta di riso e canne di bambù. Questa scarsità di notizie in larga parte era dovuta alla lontananza ed alla difficoltà di stabilire un rapporto efficace tra la cultura modernista e l’antica storia del Giappone. Unica voce fuori dal coro fu quella di Bruno Taut che con Die neue Wohnung sottolineava l’estremo rigore spaziale di una cultura abitativa ancora vitale che, pur rappresentando un motivo d’interesse per l’Occidente, non si serviva praticamente di alcun arredo, in quanto i pochi oggetti che venivano utilizzati erano sistemati all’interno di armadi a muro in maniera da lasciare libero il pavimento rivestito di stuoie. Peraltro questo criterio minimalista ben si confaceva all’idea di un’architettura pura e stereometrica che i Maestri del Moderno, con qualche difficoltà, cercavano di portare avanti con ogni mezzo. Da queste prime battute si capisce subito come l’interesse per l’architettura giapponese, a partire dai primi decenni del ventesimo secolo, oscillasse tra un interesse storico-esotico e la verifica di quanto la cultura degli architetti giapponesi fosse distante dalla “cultura della modernità”. Non v’è dubbio che la soluzione attuale è molto diversa. La cultura architettonica giapponese attraverso i suoi migliori rappresentanti ha raggiunto ormai una sua autonomia e riconoscibilità. Anzi è andata oltre: gran parte della ricerca minimalista che tuttora imperversa nelle migliori riviste di architettura affonda le proprie radici proprio nella cultura nipponica tout court. D’altra parte sono molte le riviste che negli ultimi anni hanno dedicato ampio spazio sia ai migliori progettisti sia alle loro opere. Tuttavia questa inversione di rotta sembra non essere sufficiente a frenare l’interesse verso il paese del sol levante. Infatti, al di là di alcuni singoli maestri (Tadao Ando, Toyo Ito, etc.,), manca sicuramente un’approfondimento ed una conoscenza diretta di quelle architetture ed opere edilizie che, seppure di alto livello qualitativo (e sono la maggioranza), non vanno sulle riviste patinate. E sono quelle che, meglio dei capolavori più impegnati a lavorare sulla forma, possono insegnarci a convivere meglio con il clima, l’ambiente e soprattutto con gli eventi sismici. Il Giappone, infatti, è caratterizzato da un clima non particolarmente favorevole (grande presenza di umidità) ma, soprattutto, il suo territorio è caratterizzato da una forte sismicità e nel passato ha dovuto sopportare gli effetti disastrosi di tali eventi (basti citare Kobe 1977 o l’ultimo terremoto di questi giorni). In conclusione l’interesse verso il Giappone, la sua architettura ed il suo modo di costruire, nasce anche, se vogliamo da un interesse utilitaristico e particolarmente urgente in questo momento storico, soprattutto in Europa: capire come migliorare l’architettura e la qualità edilizia degli edifici in relazione all’ambiente ed a ciò che lo caratterizza (clima e terremoti).

Learning from Japan: immagini di una società allo specchio.

BIANCONI, Fabio
2006

Abstract

Fino agli anni Trenta le conoscenze che l’Europa aveva dell’architettura giapponese si limitavano ai templi buddisti, ad alcuni giardini e case del tè ed a qualche spoglia veduta interna di edifici in legno lindi e ordinati con le finestre scorrevoli in carta di riso e canne di bambù. Questa scarsità di notizie in larga parte era dovuta alla lontananza ed alla difficoltà di stabilire un rapporto efficace tra la cultura modernista e l’antica storia del Giappone. Unica voce fuori dal coro fu quella di Bruno Taut che con Die neue Wohnung sottolineava l’estremo rigore spaziale di una cultura abitativa ancora vitale che, pur rappresentando un motivo d’interesse per l’Occidente, non si serviva praticamente di alcun arredo, in quanto i pochi oggetti che venivano utilizzati erano sistemati all’interno di armadi a muro in maniera da lasciare libero il pavimento rivestito di stuoie. Peraltro questo criterio minimalista ben si confaceva all’idea di un’architettura pura e stereometrica che i Maestri del Moderno, con qualche difficoltà, cercavano di portare avanti con ogni mezzo. Da queste prime battute si capisce subito come l’interesse per l’architettura giapponese, a partire dai primi decenni del ventesimo secolo, oscillasse tra un interesse storico-esotico e la verifica di quanto la cultura degli architetti giapponesi fosse distante dalla “cultura della modernità”. Non v’è dubbio che la soluzione attuale è molto diversa. La cultura architettonica giapponese attraverso i suoi migliori rappresentanti ha raggiunto ormai una sua autonomia e riconoscibilità. Anzi è andata oltre: gran parte della ricerca minimalista che tuttora imperversa nelle migliori riviste di architettura affonda le proprie radici proprio nella cultura nipponica tout court. D’altra parte sono molte le riviste che negli ultimi anni hanno dedicato ampio spazio sia ai migliori progettisti sia alle loro opere. Tuttavia questa inversione di rotta sembra non essere sufficiente a frenare l’interesse verso il paese del sol levante. Infatti, al di là di alcuni singoli maestri (Tadao Ando, Toyo Ito, etc.,), manca sicuramente un’approfondimento ed una conoscenza diretta di quelle architetture ed opere edilizie che, seppure di alto livello qualitativo (e sono la maggioranza), non vanno sulle riviste patinate. E sono quelle che, meglio dei capolavori più impegnati a lavorare sulla forma, possono insegnarci a convivere meglio con il clima, l’ambiente e soprattutto con gli eventi sismici. Il Giappone, infatti, è caratterizzato da un clima non particolarmente favorevole (grande presenza di umidità) ma, soprattutto, il suo territorio è caratterizzato da una forte sismicità e nel passato ha dovuto sopportare gli effetti disastrosi di tali eventi (basti citare Kobe 1977 o l’ultimo terremoto di questi giorni). In conclusione l’interesse verso il Giappone, la sua architettura ed il suo modo di costruire, nasce anche, se vogliamo da un interesse utilitaristico e particolarmente urgente in questo momento storico, soprattutto in Europa: capire come migliorare l’architettura e la qualità edilizia degli edifici in relazione all’ambiente ed a ciò che lo caratterizza (clima e terremoti).
2006
9788849209600
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/617297
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