Un romanzo inedito di Moravia, rimasto disperso tra le carte del "Fondo Moravia", e risalente ai primi anni Cinquanta, viene qui recuperato, ricostruito e inquadrato nella biografia dello scrittore e nella temperie storica. Dopo un romanzo sul fascismo come "Il conformista", tra il 1950 e il 1952 Alberto Moravia tentò così di scrivere anche un romanzo sul comunismo. Non si trattava però di stabilire un parallelo, un confronto o un’equidistanza, né di rappresentare una realtà politica nella sua dimensione storica o nel suo contenuto dottrinale e ideologico. Moravia non aveva in mente un romanzo engagé, né un romanzo storico, né un romanzo di idee, come tentavano in quegli stessi anni intellettuali europei del calibro di Orwell, Sartre e Aragon. Nei romanzi di Moravia l’ipotesi di partenza è un’altra, è quel dramma dell’uomo contemporaneo che quasi d’intuito aveva scoperto nel capolavoro giovanile "Gli indifferenti": quel vuoto di convinzioni profonde che crea un baratro incolmabile tra il mondo interiore e la realtà semplice e piena della vita. Come riempire questo vuoto esistenziale, come trovare le motivazioni che consentano al personaggio di ristabilire il contatto con la realtà e di agire nel mondo? Il Novecento aveva proposto delle ideologie. Moravia, come romanziere, le adotta e le prova sul vuoto esistenziale dei suoi personaggi. I risultati sono però sconfortanti: l’ideologia smuove sì il personaggio dalla sua inerzia e ne giustifica l’azione, ma quale azione... In "Il conformista" il fascismo induce addirittura al tradimento e all’omicidio il protagonista, che vi si era “conformato” solo per sfuggire al suo tormento interiore. Nel romanzo incompiuto del l952, che abbiamo intitolato "I due amici", Sergio aderisce agli ideali del comunismo per sfuggire all’inerzia, all’isolamento e al tormento interiore, ma anche in questo caso l’ideologia si rovescia in un calcolo machiavellico dove "il fine giustifica i mezzi". Per convertire al comunismo l’amico Maurizio, che a differenza di lui è ricco, borghese e vitale, Sergio giunge infatti a sacrificare il bene più prezioso, l’amore. I tre frammenti recuperati al Fondo Alberto Moravia da una vecchia valigia di carte e dattiloscritti si collocano dunque sulla linea principale della riflessione letteraria e ideologica di Moravia e restituiscono "la storia di alcuni ragazzi comunisti e delle loro vicende amorose in rapporto all’ideologia politica: voleva cioè rappresentare la misura in cui incide sulla vita sentimentale un partito che non lascia all’uomo residui di individualità" (spiega Moravia in un’intervista del 1953). È un progetto romanzesco di grande respiro, che poi confluisce in parte confluì in "Il disprezzo" (1954), e nel quale lo scrittore quarantacinquenne riversa materiale autobiografico e saggistico carico di suggestioni profonde e di indicazioni nuove. Mai come in queste splendide pagine Moravia ha raccontato la sua esperienza degli anni della guerra, la fine degli anni Trenta, la caduta del fascismo, il periodo della Liberazione; e utilizza nella narrazione la propria riflessione politica, consegnata agli articoli usciti sul "Popolo di Roma" (1943) e ai due grandi saggi degli anni Quaranta: "La speranza ossia cristianesimo e comunismo" (1944) e "L’uomo come fine" (1947-1954). Il fallimento e l’abbandono della storia di Sergio e Maurizio riflettono forse la consapevolezza che il romanzo è uno strumento improprio per il discorso politico che Moravia, come intellettuale, voleva svolgere. L’anno dopo, nel 1953, compare il primo numero della sua rivista, "Nuovi argomenti", dove lo scrittore continua la riflessione sulle ideologie del proprio tempo, mentre pone con maggior determinazione ai romanzi successivi il problema originario della sua narrativa, fino alla soluzione di "La noia" e "L’attenzione".

Alberto Moravia, "I due amici. Frammenti di una storia fra guerra e dopoguerra"

Casini, Simone
2007

Abstract

Un romanzo inedito di Moravia, rimasto disperso tra le carte del "Fondo Moravia", e risalente ai primi anni Cinquanta, viene qui recuperato, ricostruito e inquadrato nella biografia dello scrittore e nella temperie storica. Dopo un romanzo sul fascismo come "Il conformista", tra il 1950 e il 1952 Alberto Moravia tentò così di scrivere anche un romanzo sul comunismo. Non si trattava però di stabilire un parallelo, un confronto o un’equidistanza, né di rappresentare una realtà politica nella sua dimensione storica o nel suo contenuto dottrinale e ideologico. Moravia non aveva in mente un romanzo engagé, né un romanzo storico, né un romanzo di idee, come tentavano in quegli stessi anni intellettuali europei del calibro di Orwell, Sartre e Aragon. Nei romanzi di Moravia l’ipotesi di partenza è un’altra, è quel dramma dell’uomo contemporaneo che quasi d’intuito aveva scoperto nel capolavoro giovanile "Gli indifferenti": quel vuoto di convinzioni profonde che crea un baratro incolmabile tra il mondo interiore e la realtà semplice e piena della vita. Come riempire questo vuoto esistenziale, come trovare le motivazioni che consentano al personaggio di ristabilire il contatto con la realtà e di agire nel mondo? Il Novecento aveva proposto delle ideologie. Moravia, come romanziere, le adotta e le prova sul vuoto esistenziale dei suoi personaggi. I risultati sono però sconfortanti: l’ideologia smuove sì il personaggio dalla sua inerzia e ne giustifica l’azione, ma quale azione... In "Il conformista" il fascismo induce addirittura al tradimento e all’omicidio il protagonista, che vi si era “conformato” solo per sfuggire al suo tormento interiore. Nel romanzo incompiuto del l952, che abbiamo intitolato "I due amici", Sergio aderisce agli ideali del comunismo per sfuggire all’inerzia, all’isolamento e al tormento interiore, ma anche in questo caso l’ideologia si rovescia in un calcolo machiavellico dove "il fine giustifica i mezzi". Per convertire al comunismo l’amico Maurizio, che a differenza di lui è ricco, borghese e vitale, Sergio giunge infatti a sacrificare il bene più prezioso, l’amore. I tre frammenti recuperati al Fondo Alberto Moravia da una vecchia valigia di carte e dattiloscritti si collocano dunque sulla linea principale della riflessione letteraria e ideologica di Moravia e restituiscono "la storia di alcuni ragazzi comunisti e delle loro vicende amorose in rapporto all’ideologia politica: voleva cioè rappresentare la misura in cui incide sulla vita sentimentale un partito che non lascia all’uomo residui di individualità" (spiega Moravia in un’intervista del 1953). È un progetto romanzesco di grande respiro, che poi confluisce in parte confluì in "Il disprezzo" (1954), e nel quale lo scrittore quarantacinquenne riversa materiale autobiografico e saggistico carico di suggestioni profonde e di indicazioni nuove. Mai come in queste splendide pagine Moravia ha raccontato la sua esperienza degli anni della guerra, la fine degli anni Trenta, la caduta del fascismo, il periodo della Liberazione; e utilizza nella narrazione la propria riflessione politica, consegnata agli articoli usciti sul "Popolo di Roma" (1943) e ai due grandi saggi degli anni Quaranta: "La speranza ossia cristianesimo e comunismo" (1944) e "L’uomo come fine" (1947-1954). Il fallimento e l’abbandono della storia di Sergio e Maurizio riflettono forse la consapevolezza che il romanzo è uno strumento improprio per il discorso politico che Moravia, come intellettuale, voleva svolgere. L’anno dopo, nel 1953, compare il primo numero della sua rivista, "Nuovi argomenti", dove lo scrittore continua la riflessione sulle ideologie del proprio tempo, mentre pone con maggior determinazione ai romanzi successivi il problema originario della sua narrativa, fino alla soluzione di "La noia" e "L’attenzione".
2007
9788845259647
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/918589
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