Nelle attuali dinamiche economiche si materializza la diffusione della non veritiera etichetta del “made in Italy”, ovvero di locuzioni analoghe: la produzione nazionale risulta in questo modo lesa, e pregiudicati quanti, mantenendo gli stabilimenti all’interno del territorio italiano, si fanno carico di elevati costi di produzione nella prospettiva di così garantire quei particolari standard qualitativi e di sicurezza che rendono le merci “diversamente” competitive sul mercato globale. Al contempo, l’illecito utilizzo di segni che possano indurre i consumatori a considerare come fabbricato in Italia un prodotto ivi non realizzato, ha - già in astratto - la capacità di pregiudicare la fiducia e la libertà di scelta del cliente finale, che nella segnalazione della fabbricazione nazionale del prodotto trova la documentazione della garanzia di elevati parametri di qualità. La gestione giuridica di un simile fenomeno, e dei relativi profili criminali, è affidata ad una complessa rete di fonti normative su cui si misurano da tempo le difficoltà interpretative dell’esegesi penalistica, in particolare della giurisprudenza. Recenti pronunce sollecitano peraltro a ripensare i confini tipici del delitto “generale” sagomato dall’art. 517 c.p., promuovendone una rilettura “di sistema” che lo elegga a garante penale della nuova cultura del made in Italy.

Cronache e laboratori della lotta contro i segni ingannevoli del “made in Italy”: la difesa penale che sta dopo l’illecito amministrativo

FALCINELLI, Daniela
2012

Abstract

Nelle attuali dinamiche economiche si materializza la diffusione della non veritiera etichetta del “made in Italy”, ovvero di locuzioni analoghe: la produzione nazionale risulta in questo modo lesa, e pregiudicati quanti, mantenendo gli stabilimenti all’interno del territorio italiano, si fanno carico di elevati costi di produzione nella prospettiva di così garantire quei particolari standard qualitativi e di sicurezza che rendono le merci “diversamente” competitive sul mercato globale. Al contempo, l’illecito utilizzo di segni che possano indurre i consumatori a considerare come fabbricato in Italia un prodotto ivi non realizzato, ha - già in astratto - la capacità di pregiudicare la fiducia e la libertà di scelta del cliente finale, che nella segnalazione della fabbricazione nazionale del prodotto trova la documentazione della garanzia di elevati parametri di qualità. La gestione giuridica di un simile fenomeno, e dei relativi profili criminali, è affidata ad una complessa rete di fonti normative su cui si misurano da tempo le difficoltà interpretative dell’esegesi penalistica, in particolare della giurisprudenza. Recenti pronunce sollecitano peraltro a ripensare i confini tipici del delitto “generale” sagomato dall’art. 517 c.p., promuovendone una rilettura “di sistema” che lo elegga a garante penale della nuova cultura del made in Italy.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1181337
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