La dichiarazione di (parziale) illegittimità costituzionale della legge elettorale n.270 del 2005, con sentenza n.1 del 2014, ha suscitato numerose discussioni, sia in relazione ai presupposti processuali sia in relazione al merito. La sentenza si colloca nell’ambito del fenomeno, tipico del nostro tempo, per cui la giurisdizione (in senso lato), di fronte alla debolezza dell’istituzione parlamentare, tende a sconfinare in ambito politico. Con queste riflessioni ci si vuole collocare nella prospettiva della Corte costituzionale per evidenziare, da un lato, le circostanze concrete che hanno favorito l’assunzione di tale decisione, e, dall’altro, la presenza nella sentenza di tecniche decisorie già utilizzate dalla Corte stessa in altri casi giurisprudenziali. Se si analizza la decisione adottando il punto di vista della Corte, si è indotti ad evitarne una lettura radicalmente innovativa. Per quanto concerne l’ammissibilità delle questioni prospettate, la Corte ha di fatto derogato ai presupposti dell’incidentalità (pur non riconoscendolo esplicitamente), applicando in modo elastico le proprie regole processuali. L’intento che ha spinto la Corte in tale direzione si può facilmente individuare nella necessità di evitare che si formi, con riferimento alle leggi elettorali, una “zona franca”, sottratta al sindacato costituzionale. La scelta della Corte di ritenere le questioni ammissibili (e, quindi, di deciderle nel merito) è stata indubbiamente condizionata anche da una situazione contingente in cui il suo intervento era sollecitato sia dall’opinione pubblica, sia dalle stesse forze politiche (incapaci di accordarsi sulla modifica di una legge elettorale ritenuta incostituzionale). Nella giurisprudenza costituzionale si possono individuare diverse ipotesi in cui, per assicurare la sottoponibilità al controllo di costituzionalità di determinate tipologie di atti, è stato fatto un uso non rigoroso delle regole che disciplinano il processo costituzionale, il più delle volte senza evidenziare in modo esplicito la deroga (mascherandola piuttosto da regola). Il caso di specie va pertanto classificato come une delle eccezioni che confermano la regola: non c’è alcuna riscrittura dei presupposti dell’incidentalità, ma solo una deroga probabilmente destinata a rimanere a lungo isolata. Le stesse considerazioni si possono estendere alla pronuncia nel merito, che non è volta a fissare rigide regole in materia elettorale. L’ampia discrezionalità legislativa che connota il settore in questione deve essere preservata evitando di enfatizzare le indicazioni sui sistemi elettorali contenute nella sentenza. Tale necessità trova conferma nelle discussioni che accompagnano il disegno di legge relativo alla nuova legge elettorale, che sollevano problemi di incostituzionalità, invocando quanto affermato dalla Corte nella sentenza in esame, anche di fronte a questioni che hanno una valenza meramente politica. Anche per quanto concerne i tanto discussi effetti temporali della sentenza, manipolati dalla Corte per mitigare l’impatto politico della sua decisione, siamo di fronte a tecniche analoghe a quelle utilizzate in altre pronunce (ferma restando l’indubbia problematicità di una decisione che dichiara incostituzionale la legge in base alla quale sono stati scelti i parlamentari attualmente in carica). Occorre evitare di attribuire alla sentenza una portata rivoluzionaria e, soprattutto, impedire una sovraesposizione (politica) della Corte. Il passo coraggioso che la Corte ha compiuto dichiarando incostituzionale la legge elettorale non può condurre alla stabilizzazione di un ruolo di supplenza nei confronti di un Parlamento inadempiente, che determinerebbe uno snaturamento delle funzioni del Giudice delle leggi.

L'incostituzionalità della legge elettorale nella prospettiva della Corte costituzionale, tra circostanze contingenti e tecniche giurisprudenziali già sperimentate

PESOLE, Luciana
2014

Abstract

La dichiarazione di (parziale) illegittimità costituzionale della legge elettorale n.270 del 2005, con sentenza n.1 del 2014, ha suscitato numerose discussioni, sia in relazione ai presupposti processuali sia in relazione al merito. La sentenza si colloca nell’ambito del fenomeno, tipico del nostro tempo, per cui la giurisdizione (in senso lato), di fronte alla debolezza dell’istituzione parlamentare, tende a sconfinare in ambito politico. Con queste riflessioni ci si vuole collocare nella prospettiva della Corte costituzionale per evidenziare, da un lato, le circostanze concrete che hanno favorito l’assunzione di tale decisione, e, dall’altro, la presenza nella sentenza di tecniche decisorie già utilizzate dalla Corte stessa in altri casi giurisprudenziali. Se si analizza la decisione adottando il punto di vista della Corte, si è indotti ad evitarne una lettura radicalmente innovativa. Per quanto concerne l’ammissibilità delle questioni prospettate, la Corte ha di fatto derogato ai presupposti dell’incidentalità (pur non riconoscendolo esplicitamente), applicando in modo elastico le proprie regole processuali. L’intento che ha spinto la Corte in tale direzione si può facilmente individuare nella necessità di evitare che si formi, con riferimento alle leggi elettorali, una “zona franca”, sottratta al sindacato costituzionale. La scelta della Corte di ritenere le questioni ammissibili (e, quindi, di deciderle nel merito) è stata indubbiamente condizionata anche da una situazione contingente in cui il suo intervento era sollecitato sia dall’opinione pubblica, sia dalle stesse forze politiche (incapaci di accordarsi sulla modifica di una legge elettorale ritenuta incostituzionale). Nella giurisprudenza costituzionale si possono individuare diverse ipotesi in cui, per assicurare la sottoponibilità al controllo di costituzionalità di determinate tipologie di atti, è stato fatto un uso non rigoroso delle regole che disciplinano il processo costituzionale, il più delle volte senza evidenziare in modo esplicito la deroga (mascherandola piuttosto da regola). Il caso di specie va pertanto classificato come une delle eccezioni che confermano la regola: non c’è alcuna riscrittura dei presupposti dell’incidentalità, ma solo una deroga probabilmente destinata a rimanere a lungo isolata. Le stesse considerazioni si possono estendere alla pronuncia nel merito, che non è volta a fissare rigide regole in materia elettorale. L’ampia discrezionalità legislativa che connota il settore in questione deve essere preservata evitando di enfatizzare le indicazioni sui sistemi elettorali contenute nella sentenza. Tale necessità trova conferma nelle discussioni che accompagnano il disegno di legge relativo alla nuova legge elettorale, che sollevano problemi di incostituzionalità, invocando quanto affermato dalla Corte nella sentenza in esame, anche di fronte a questioni che hanno una valenza meramente politica. Anche per quanto concerne i tanto discussi effetti temporali della sentenza, manipolati dalla Corte per mitigare l’impatto politico della sua decisione, siamo di fronte a tecniche analoghe a quelle utilizzate in altre pronunce (ferma restando l’indubbia problematicità di una decisione che dichiara incostituzionale la legge in base alla quale sono stati scelti i parlamentari attualmente in carica). Occorre evitare di attribuire alla sentenza una portata rivoluzionaria e, soprattutto, impedire una sovraesposizione (politica) della Corte. Il passo coraggioso che la Corte ha compiuto dichiarando incostituzionale la legge elettorale non può condurre alla stabilizzazione di un ruolo di supplenza nei confronti di un Parlamento inadempiente, che determinerebbe uno snaturamento delle funzioni del Giudice delle leggi.
2014
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1268899
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