Dopo avere considerato, in premessa, la pratica dell’esposizione della prole neonata nell’esperienza romana e le sue implicazioni sul piano giuridico, si passa all’esame della disciplina in epoca tardoimperiale. Sull’esposizione dei figli neonati Costantino interviene con proprie disposizioni per la prima volta nel 331 con CTh. 5,9,1. La costituzione stabilisce che il raccoglitore può assegnare all’esposto, a sua scelta, lo status di libero o di schiavo. Dall’esposizione consegue la perdita della patria potestas. Il Volterra considera la costituzione apocrifa e derivante da ambienti ecclesiastici per il suo contrasto con CTh. 4,8,6 pr. in cui si esalta il valore della libertà, ma questa disposizione completa il disegno di Costantino che parte con il punire l’infanticidio (evento sicuramente mortale), continua con il permettere la vendita dei neonati (evento che sicuramente consente la sopravvivenza), e si chiude col rendere stabile la posizione del nutritor che non si trova più di fronte al rischio di vedersi sottrarre colui di cui si è preso cura (cercando così di fare in modo che all’esposizione, evento in cui è incerta la sopravvivenza, segua la raccolta dell’esposto). Il regime costantiniano si trova sostanzialmente confermato nelle Sententiae Syriacae (§98) da cui emerge, però, anche la necessità di una documentazione, ricevuta da un tabularius, nel caso in cui si intenda rendere incontrovertibile la condizione servile del bambino raccolto. In C. 8,51,2 del 374 si parla di un’animadversio cui soggiace chi espone la prole. La dottrina dominante collega questa disposizione a CTh. 9,14,1 (= C. 9,16,7), interpretandola nel senso della proibizione dell’esposizione punita ex lege Cornelia de sicariis. Preferibile è, tuttavia, vedere un collegamento con CTh. 5,9,1 di Costantino, per cui l’animadversio di cui in C. 8,51,2 consiste nella perdita della patria potestas. Ne discende che l’esposizione è, nella sostanza, ancora permessa alla fine del IV secolo. Conferma di questo fatto si ha in CTh. 5,9,2 del 412 che disciplina il caso della raccolta dell’esposto disponendo circa la necessità di una relativa attestazione da parte dell’autorità ecclesiastica, senza — d’altro canto — prevedere pene particolari per l’espositore. Di tale documentazione è traccia nei canoni del Concilio di Vaison (a. 442) in cui si prevede anche l’assimilazione dell’espositore all’omicida e la sua sottoposizione a pena ecclesiastica, cosa che sarebbe stata superflua se in senso analogo avesse già disposto la legislazione imperiale. Per il caso in cui venga raccolto un neonato esposto Giustiniano dispone che esso debba in ogni caso divenire libero e sui iuris (C. 8,51,3), ma nemmeno nella compilazione giustinianea è da credere, contrariamente a quanto per consolidata dottrina si ritiene, che l’esposizione dei neonati venisse equiparata all’infanticidio, essendo tutt’al più ipotizzabile che ciò accadesse solamente nel caso di un esito letale dell’atto. Nel Codice Giustiniano non trova spazio la disposizione costantiniana del 331 (CTh. 5,9,1) in quanto sostituita da C. 8,51,3 dello stesso Giustiniano che ugualmente comporta la perdita della patria potestas nei confronti di coloro che abbandonano i propri figli. La portata, poi, del breve frammento paolino di D. 25,3,4, in cui si vorrebbe vedere equiparata l’esposizione all’infanticidio, è da considerare circoscritta alla materia del titolo de adgnoscendis et alendis liberis…, e non si presta dunque a costituire il perno dell’intero sistema giustinianeo sull’esposizione. D’altra parte vi si contrappongono, all’interno dello stesso Digesto e del Codex, altri passi di segno opposto, nei quali, cioè, l’esposizione appare trattata come istituto vigente (D. 40,4,29; C. 5,4,16) che, nel caso di una piena equiparazione dell’esposizione all’infanticidio, costituirebbero delle sviste “macroscopiche” dei commissari. Il principio secondo cui gli esposti divengono liberi si trova ribadito da Giustiniano in Nov. 153 (a. 541). Dalla costituzione, comunque, non emergono elementi decisivi che consentano di concludere che sia punita l’esposizione come tale, anche se è chiaro l’atteggiamento di riprovazione nei riguardi di coloro che mettono a repentaglio la vita dei neonati. La legislazione giustinianea appare orientata verso una disciplina del fenomeno, anziché verso una sua mera repressione, ricalcando in questo le impronte di Costantino.

L’esposizione dei figli nel tardo impero: alcune considerazioni

LORENZI, Carlo
2010

Abstract

Dopo avere considerato, in premessa, la pratica dell’esposizione della prole neonata nell’esperienza romana e le sue implicazioni sul piano giuridico, si passa all’esame della disciplina in epoca tardoimperiale. Sull’esposizione dei figli neonati Costantino interviene con proprie disposizioni per la prima volta nel 331 con CTh. 5,9,1. La costituzione stabilisce che il raccoglitore può assegnare all’esposto, a sua scelta, lo status di libero o di schiavo. Dall’esposizione consegue la perdita della patria potestas. Il Volterra considera la costituzione apocrifa e derivante da ambienti ecclesiastici per il suo contrasto con CTh. 4,8,6 pr. in cui si esalta il valore della libertà, ma questa disposizione completa il disegno di Costantino che parte con il punire l’infanticidio (evento sicuramente mortale), continua con il permettere la vendita dei neonati (evento che sicuramente consente la sopravvivenza), e si chiude col rendere stabile la posizione del nutritor che non si trova più di fronte al rischio di vedersi sottrarre colui di cui si è preso cura (cercando così di fare in modo che all’esposizione, evento in cui è incerta la sopravvivenza, segua la raccolta dell’esposto). Il regime costantiniano si trova sostanzialmente confermato nelle Sententiae Syriacae (§98) da cui emerge, però, anche la necessità di una documentazione, ricevuta da un tabularius, nel caso in cui si intenda rendere incontrovertibile la condizione servile del bambino raccolto. In C. 8,51,2 del 374 si parla di un’animadversio cui soggiace chi espone la prole. La dottrina dominante collega questa disposizione a CTh. 9,14,1 (= C. 9,16,7), interpretandola nel senso della proibizione dell’esposizione punita ex lege Cornelia de sicariis. Preferibile è, tuttavia, vedere un collegamento con CTh. 5,9,1 di Costantino, per cui l’animadversio di cui in C. 8,51,2 consiste nella perdita della patria potestas. Ne discende che l’esposizione è, nella sostanza, ancora permessa alla fine del IV secolo. Conferma di questo fatto si ha in CTh. 5,9,2 del 412 che disciplina il caso della raccolta dell’esposto disponendo circa la necessità di una relativa attestazione da parte dell’autorità ecclesiastica, senza — d’altro canto — prevedere pene particolari per l’espositore. Di tale documentazione è traccia nei canoni del Concilio di Vaison (a. 442) in cui si prevede anche l’assimilazione dell’espositore all’omicida e la sua sottoposizione a pena ecclesiastica, cosa che sarebbe stata superflua se in senso analogo avesse già disposto la legislazione imperiale. Per il caso in cui venga raccolto un neonato esposto Giustiniano dispone che esso debba in ogni caso divenire libero e sui iuris (C. 8,51,3), ma nemmeno nella compilazione giustinianea è da credere, contrariamente a quanto per consolidata dottrina si ritiene, che l’esposizione dei neonati venisse equiparata all’infanticidio, essendo tutt’al più ipotizzabile che ciò accadesse solamente nel caso di un esito letale dell’atto. Nel Codice Giustiniano non trova spazio la disposizione costantiniana del 331 (CTh. 5,9,1) in quanto sostituita da C. 8,51,3 dello stesso Giustiniano che ugualmente comporta la perdita della patria potestas nei confronti di coloro che abbandonano i propri figli. La portata, poi, del breve frammento paolino di D. 25,3,4, in cui si vorrebbe vedere equiparata l’esposizione all’infanticidio, è da considerare circoscritta alla materia del titolo de adgnoscendis et alendis liberis…, e non si presta dunque a costituire il perno dell’intero sistema giustinianeo sull’esposizione. D’altra parte vi si contrappongono, all’interno dello stesso Digesto e del Codex, altri passi di segno opposto, nei quali, cioè, l’esposizione appare trattata come istituto vigente (D. 40,4,29; C. 5,4,16) che, nel caso di una piena equiparazione dell’esposizione all’infanticidio, costituirebbero delle sviste “macroscopiche” dei commissari. Il principio secondo cui gli esposti divengono liberi si trova ribadito da Giustiniano in Nov. 153 (a. 541). Dalla costituzione, comunque, non emergono elementi decisivi che consentano di concludere che sia punita l’esposizione come tale, anche se è chiaro l’atteggiamento di riprovazione nei riguardi di coloro che mettono a repentaglio la vita dei neonati. La legislazione giustinianea appare orientata verso una disciplina del fenomeno, anziché verso una sua mera repressione, ricalcando in questo le impronte di Costantino.
2010
9788854830226
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/133333
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