Nel sistema penale contemporaneo si mettono per iscritto irrinunciabili parole di difesa sociale del reo, della vittima, della collettività: il territorio della prescrizione si dimostra fertile terreno per ricercarne una difficile e delicatissima armonia, nella costante ambiguità circa la sua effettiva natura sostanziale o processuale e circa la sua essenza di rimedio di garanzia o di sanzione a fronte di un processo di durata irragionevole. Ma ne è chiara la sostanza: la prescrizione non è uno strumento idoneo ad assicurare (come vorrebbe il principio iscritto nell’art. 111 Cost.) la ragionevole durata del processo penale, è invece per definizione l’esito di un processo che si è concluso ad irragionevole distanza temporale dal reato imputato (non necessariamente per eccessiva lunghezza del processo); un esito indesiderabile, previsto e accettato. La prescrizione si attesta in fin dei conti ragionevole strumento di ratifica dell’oblio sociale: è il meccanismo attraverso il quale l’ordinamento conferma, sulla base di una “presunzione assoluta”, normativamente regolata, il disinteresse della società per fatti di reato particolarmente lontani nel tempo. Questo dissolversi del fondamento necessario della pena impone di trovare il fondamento della prescrizione nella stessa formulazione del co. 2 dell’art. 25 Cost. sicché le ragioni costituzionali che esplicitamente suggeriscono di collegare al decorso del tempo un effetto estintivo della punibilità sono infine criteri di ragionevolezza e di giustizia concernenti non la mera durata del processo, ma, più in radice, la ragionevolezza (o giustizia) di una risposta punitiva che sia distanziata dal momento del fatto, al di là di una certa soglia temporale. Da qui, si valorizzano spunti di riflessione sulla ragionevole disapplicazione dei limiti “processuali” alla prescrizione.

La prescrizione e il coraggio dell’interpretazione. Punire il colpevole del reato, tra discrezionalità giudiziale e necessità di sistema

FALCINELLI, Daniela
2016

Abstract

Nel sistema penale contemporaneo si mettono per iscritto irrinunciabili parole di difesa sociale del reo, della vittima, della collettività: il territorio della prescrizione si dimostra fertile terreno per ricercarne una difficile e delicatissima armonia, nella costante ambiguità circa la sua effettiva natura sostanziale o processuale e circa la sua essenza di rimedio di garanzia o di sanzione a fronte di un processo di durata irragionevole. Ma ne è chiara la sostanza: la prescrizione non è uno strumento idoneo ad assicurare (come vorrebbe il principio iscritto nell’art. 111 Cost.) la ragionevole durata del processo penale, è invece per definizione l’esito di un processo che si è concluso ad irragionevole distanza temporale dal reato imputato (non necessariamente per eccessiva lunghezza del processo); un esito indesiderabile, previsto e accettato. La prescrizione si attesta in fin dei conti ragionevole strumento di ratifica dell’oblio sociale: è il meccanismo attraverso il quale l’ordinamento conferma, sulla base di una “presunzione assoluta”, normativamente regolata, il disinteresse della società per fatti di reato particolarmente lontani nel tempo. Questo dissolversi del fondamento necessario della pena impone di trovare il fondamento della prescrizione nella stessa formulazione del co. 2 dell’art. 25 Cost. sicché le ragioni costituzionali che esplicitamente suggeriscono di collegare al decorso del tempo un effetto estintivo della punibilità sono infine criteri di ragionevolezza e di giustizia concernenti non la mera durata del processo, ma, più in radice, la ragionevolezza (o giustizia) di una risposta punitiva che sia distanziata dal momento del fatto, al di là di una certa soglia temporale. Da qui, si valorizzano spunti di riflessione sulla ragionevole disapplicazione dei limiti “processuali” alla prescrizione.
2016
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1400643
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