Questo studio affronta il problema della conversione al cristianesimo dei rustici dal IV al VI secolo d. C. I limiti cronologici dell’indagine sono imposti dalla natura della documentazione. Analizzando infatti lettere, omelie, vite agiografiche, canoni conciliari e anche varie disposizioni legislative del IV-V secolo pertinenti all’Italia, alla Gallia e a Roma, si ha l’impressione che i rustici siano entrati negli orizzonti della predica vescovile e abbiano attirato l’interesse del legislatore solo alla fine del IV secolo, quando maturò la consapevolezza che le campagne rimanevano pagane. Alla fine del VI secolo, d’altra parte, la missione organizzata da Gregorio Magno presso gli Angli rappresenta un caso esemplare di conversione della pagana rusticitas. Le modalità con cui la Chiesa occidentale si propose allora di realizzarla appaiono per molti versi paradigmatiche: - ad operare fu inviato un gruppo organizzato di monaci, dunque, di professionisti della fede; - diretti verso regioni ignote presentate come ancora pagane, essi furono tutelati dalla benevolenza dei signori locali; - qualsiasi forma d’istruzione alla dottrina cristiana fu posposta rispetto alla somministrazione del battesimo; - per moltiplicare le conversioni, al sovrano era lecito servirsi anche di mezzi coercitivi, mentre i monaci – pur autorizzati a distruggere gli idoli – furono esortati ad adattare i nuovi rituali a quelli tradizionali. Ponendo al confronto le testimonianze disponibili – Vita Martini di Sulpicio Severo; i sermoni di Zenone di Verona, i Tractatus di Gaudenzio di Brescia, le prediche di Massimo di Torino; le lettere di Vigilio di Trento; la legislazione relativa al ius templorum in connessione con la crescita della res privata imperiale oltreché con la politica imperiale antipagana; alcuni sermoni di Agostino; le omelie di Avito di Vienne, alcuni sermoni di Cesario di Arles; alcune lettere di Gregorio Magno –, il saggio ha inteso verificare in quale misura i metodi utilizzati dalla Chiesa intorno all’anno 600 per convertire popolazioni ancora pagane, o ricadute nel paganesimo, abbiano rappresentato un’innovazione rispetto a quelli inaugurati in precedenza e quali eventi storici eventualmente abbiano inciso sul cambiamento. I risultati mostrano che alla fine del IV secolo non erano previste procedure diverse per sollecitare al cristianesimo abitanti della città e delle campagne: l’attività catechetica continuava ad avere un’importanza centrale nell’avviare i cristiani alla fede, sia che abitassero negli spazi rurali o vivessero nelle città. La vera natura del paganesimo rurale, infatti, rimase per lo più un oggetto indistinto, mai realmente conosciuto. Col progredire del V secolo, ed inasprendosi la legislazione contro i templi e le sopravvivenze pagane, la Chiesa delegò ai domini il controllo delle pratiche rituali dei propri dipendenti, non tanto per la penuria di sacerdoti da inviare ad evangelizzare le campagne, bensì per la difficoltà d’interferire in un tipo di rapporto tra dominus e rustici, che non ammetteva ingerenze. I grandi proprietari, tuttavia, rimasero per lo più indifferenti ai moniti dei vescovi, lasciando che i propri contadini mantenessero pure i loro riti tradizionali, purché non diminuisse la loro capacità produttiva. Una dura legge emanata sotto Leone I contro il paganesimo agreste (Cod. Iust. 11. 8) fu probabilmente utilizzata in Occidente solo dopo la riconquista bizantina, allorché a papa Gregorio fu chiaro che, soprattutto in alcune aree insulari, l’attaccamento ai culti pagani dei contadini persisteva grazie alla consueta connivenza dei domini locali e talvolta alla nuova noncuranza dei vescovi. Nello stesso periodo, oltre a prodursi fenomeni di esaugurazione per assimilare culti e manifestazioni dell’antica ritualità pagana difficili da estirpare, s’impose la novità del battesimo preventivo, non più frutto di scelta personale, alla fine di un lungo itinerario di conoscenza della dottrina e dei misteri di fede cristiani, bensì come atto ufficiale e formale, preteso prima della conversione. Anticipando la legge di Giustiniano, che imponeva il battesimo a “pochi sopravvissuti pagani”, e prima che nell’Anglia i monaci di Gregorio esultassero dei loro diecimila battesimi in meno di un anno, già Cesario di Arles aveva imposto il battesimo, in cambio della liberazione, ai captivi infideles introdotti in città nell’autunno del 508 con l’occupazione ostrogota di Arles.

L'Eglise, les domini, les paiens rustici: quelques stratégies pour la christianisation de l'Occident (IVe-VIe siècle)

LIZZI, Rita
2010

Abstract

Questo studio affronta il problema della conversione al cristianesimo dei rustici dal IV al VI secolo d. C. I limiti cronologici dell’indagine sono imposti dalla natura della documentazione. Analizzando infatti lettere, omelie, vite agiografiche, canoni conciliari e anche varie disposizioni legislative del IV-V secolo pertinenti all’Italia, alla Gallia e a Roma, si ha l’impressione che i rustici siano entrati negli orizzonti della predica vescovile e abbiano attirato l’interesse del legislatore solo alla fine del IV secolo, quando maturò la consapevolezza che le campagne rimanevano pagane. Alla fine del VI secolo, d’altra parte, la missione organizzata da Gregorio Magno presso gli Angli rappresenta un caso esemplare di conversione della pagana rusticitas. Le modalità con cui la Chiesa occidentale si propose allora di realizzarla appaiono per molti versi paradigmatiche: - ad operare fu inviato un gruppo organizzato di monaci, dunque, di professionisti della fede; - diretti verso regioni ignote presentate come ancora pagane, essi furono tutelati dalla benevolenza dei signori locali; - qualsiasi forma d’istruzione alla dottrina cristiana fu posposta rispetto alla somministrazione del battesimo; - per moltiplicare le conversioni, al sovrano era lecito servirsi anche di mezzi coercitivi, mentre i monaci – pur autorizzati a distruggere gli idoli – furono esortati ad adattare i nuovi rituali a quelli tradizionali. Ponendo al confronto le testimonianze disponibili – Vita Martini di Sulpicio Severo; i sermoni di Zenone di Verona, i Tractatus di Gaudenzio di Brescia, le prediche di Massimo di Torino; le lettere di Vigilio di Trento; la legislazione relativa al ius templorum in connessione con la crescita della res privata imperiale oltreché con la politica imperiale antipagana; alcuni sermoni di Agostino; le omelie di Avito di Vienne, alcuni sermoni di Cesario di Arles; alcune lettere di Gregorio Magno –, il saggio ha inteso verificare in quale misura i metodi utilizzati dalla Chiesa intorno all’anno 600 per convertire popolazioni ancora pagane, o ricadute nel paganesimo, abbiano rappresentato un’innovazione rispetto a quelli inaugurati in precedenza e quali eventi storici eventualmente abbiano inciso sul cambiamento. I risultati mostrano che alla fine del IV secolo non erano previste procedure diverse per sollecitare al cristianesimo abitanti della città e delle campagne: l’attività catechetica continuava ad avere un’importanza centrale nell’avviare i cristiani alla fede, sia che abitassero negli spazi rurali o vivessero nelle città. La vera natura del paganesimo rurale, infatti, rimase per lo più un oggetto indistinto, mai realmente conosciuto. Col progredire del V secolo, ed inasprendosi la legislazione contro i templi e le sopravvivenze pagane, la Chiesa delegò ai domini il controllo delle pratiche rituali dei propri dipendenti, non tanto per la penuria di sacerdoti da inviare ad evangelizzare le campagne, bensì per la difficoltà d’interferire in un tipo di rapporto tra dominus e rustici, che non ammetteva ingerenze. I grandi proprietari, tuttavia, rimasero per lo più indifferenti ai moniti dei vescovi, lasciando che i propri contadini mantenessero pure i loro riti tradizionali, purché non diminuisse la loro capacità produttiva. Una dura legge emanata sotto Leone I contro il paganesimo agreste (Cod. Iust. 11. 8) fu probabilmente utilizzata in Occidente solo dopo la riconquista bizantina, allorché a papa Gregorio fu chiaro che, soprattutto in alcune aree insulari, l’attaccamento ai culti pagani dei contadini persisteva grazie alla consueta connivenza dei domini locali e talvolta alla nuova noncuranza dei vescovi. Nello stesso periodo, oltre a prodursi fenomeni di esaugurazione per assimilare culti e manifestazioni dell’antica ritualità pagana difficili da estirpare, s’impose la novità del battesimo preventivo, non più frutto di scelta personale, alla fine di un lungo itinerario di conoscenza della dottrina e dei misteri di fede cristiani, bensì come atto ufficiale e formale, preteso prima della conversione. Anticipando la legge di Giustiniano, che imponeva il battesimo a “pochi sopravvissuti pagani”, e prima che nell’Anglia i monaci di Gregorio esultassero dei loro diecimila battesimi in meno di un anno, già Cesario di Arles aveva imposto il battesimo, in cambio della liberazione, ai captivi infideles introdotti in città nell’autunno del 508 con l’occupazione ostrogota di Arles.
2010
9782708408388
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/140212
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