all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti e del Testo Unico sulle società partecipate, il saggio mira alla ricomposizione dello statuto dell’ in house, attraverso un percorso idealmente definito “dalla giurisprudenza alle norme” e che si snoda, in una sequenza diacronica, attraverso i principali momenti giurisprudenziali e legislativi che hanno contribuito a comporre l’attuale regolamentazione dell’istituto. L’obiettivo non è meramente ricostruttivo. Prendendo spunto dal parere del Consiglio di Stato sul Testo Unico sulle società partecipate, lo studio mira a verificare se l’abbandono di un diritto esclusivamente giurisprudenziale riesca (finalmente) ad assicurare alle amministrazioni gli strumenti adeguati a garantire servizi efficienti e un uso accurato delle risorse evitando, al tempo stesso, che il ricorso all’ in house divenga un modo per avallare diseconomiche fughe dal mercato. In questa prospettiva, nella trattazione acquista un ruolo centrale l’esame di come, dapprima la giurisprudenza europea e successivamente quella interna, abbiano interpretato il bilanciamento fra i due principi, ontologicamente autoescludenti, della autonomia organizzativa delle amministrazioni e della concorrenza nel mercato. Questa chiave di lettura è presente anche nell’esame delle “nuove” direttive europee sui contratti di appalto e concessione, in cui il legislatore europeo ha definito i contenuti dell’attività in house in quanto esterna al mercato, codificando i requisiti del controllo analogo e della attività prevalente. Lo studio si sposta poi sull’ordinamento nazionale, innanzitutto sulla disciplina del codice dei contratti, dalla quale emerge un chiaro self restraint interno sugli affidamenti in house, cui fanno eco le disposizioni del Testo unico sulle società partecipate. In un contesto così articolato, l’abbandono di un diritto solo giurisprudenziale può essere accolto quale positivo elemento di certezza del diritto, capace di guidare le scelte dell’amministrazione verso soluzioni efficienti e non in contrasto con i principi dei Trattati. Rimane tuttavia l’essenzialità dell’apporto della giurisprudenza, sia nell’interpretazione del presente attraverso i nuovi moduli proposti dal legislatore, in primis in materia di servizi pubblici locali di interesse economico generale, sia avanti all’inevitabile evoluzione dei fenomeni economici e amministrativi di cui l’ in house è parte integrante e dalla quale, a ben vedere, ha avuto origine la sua vicenda giurisprudenziale e normativa.

Lo statuto dell’in house al traguardo della codificazione

GIUSTI, ANNALISA
2017

Abstract

all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti e del Testo Unico sulle società partecipate, il saggio mira alla ricomposizione dello statuto dell’ in house, attraverso un percorso idealmente definito “dalla giurisprudenza alle norme” e che si snoda, in una sequenza diacronica, attraverso i principali momenti giurisprudenziali e legislativi che hanno contribuito a comporre l’attuale regolamentazione dell’istituto. L’obiettivo non è meramente ricostruttivo. Prendendo spunto dal parere del Consiglio di Stato sul Testo Unico sulle società partecipate, lo studio mira a verificare se l’abbandono di un diritto esclusivamente giurisprudenziale riesca (finalmente) ad assicurare alle amministrazioni gli strumenti adeguati a garantire servizi efficienti e un uso accurato delle risorse evitando, al tempo stesso, che il ricorso all’ in house divenga un modo per avallare diseconomiche fughe dal mercato. In questa prospettiva, nella trattazione acquista un ruolo centrale l’esame di come, dapprima la giurisprudenza europea e successivamente quella interna, abbiano interpretato il bilanciamento fra i due principi, ontologicamente autoescludenti, della autonomia organizzativa delle amministrazioni e della concorrenza nel mercato. Questa chiave di lettura è presente anche nell’esame delle “nuove” direttive europee sui contratti di appalto e concessione, in cui il legislatore europeo ha definito i contenuti dell’attività in house in quanto esterna al mercato, codificando i requisiti del controllo analogo e della attività prevalente. Lo studio si sposta poi sull’ordinamento nazionale, innanzitutto sulla disciplina del codice dei contratti, dalla quale emerge un chiaro self restraint interno sugli affidamenti in house, cui fanno eco le disposizioni del Testo unico sulle società partecipate. In un contesto così articolato, l’abbandono di un diritto solo giurisprudenziale può essere accolto quale positivo elemento di certezza del diritto, capace di guidare le scelte dell’amministrazione verso soluzioni efficienti e non in contrasto con i principi dei Trattati. Rimane tuttavia l’essenzialità dell’apporto della giurisprudenza, sia nell’interpretazione del presente attraverso i nuovi moduli proposti dal legislatore, in primis in materia di servizi pubblici locali di interesse economico generale, sia avanti all’inevitabile evoluzione dei fenomeni economici e amministrativi di cui l’ in house è parte integrante e dalla quale, a ben vedere, ha avuto origine la sua vicenda giurisprudenziale e normativa.
2017
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