Il saggio intende mettere a fuoco l’origine del mito dell’ “Umbria Santa”, alimentato dalla pittura purista e portato al suo apice a fine Ottocento, con l’Umbria che diviene luogo paradigmatico della compenetrazione trascendente fra spiritualità, arte e paesaggio naturale. A tal fine è risultato fondamentale l’indagare la percezione di Francesco e della Basilica di Assisi nel contesto europeo, prima nel periodo romantico poi nel corso del XIX secolo, nelle accezioni di “Alter Christus” o “Vir Catholicus”, oppure, all’opposto, di “Alter Orpheus”. Prima di Francesco “santo” tornò sotto i riflettori la sua Basilica come eccezionale pinacoteca, teatro privilegiato dell’azione dei pittori “primitivi”, il cui recupero fu, come è noto, avviato tra fine ‘700 e inizio ‘800. Francesco invece, dimenticato da Chateaubriand nel suo Génie du Christianisme stampato nel 1802, tornerà a svolgere un ruolo di primo piano solo dalla fine del secondo e soprattutto con il terzo decennio dell’Ottocento. Determinante fu l’aver riportato alla luce il corpo, nel 1818, sotto l’altare della basilica inferiore. Ma la “riscoperta” della figura di Francesco fu più articolata, andò ben oltre l’aspetto devozionale, e fu interpretata da molteplici punti di vista: quello di una Chiesa cattolica romana alle prese con il complicato riposizionamento post napoleonico; la percezione che ne ebbero tanti uomini di cultura, soprattutto stranieri, più pervasi del nascente pensiero romantico ed espressione delle multiformi declinazioni del cattolicesimo, in chiave più liberale e democratica; l’ottica con cui fu guardato dal fronte del cristianesimo protestante. Se soprattutto papa Pio VII e in misura minore Pio IX cercheranno di sfruttare al massimo l’immagine di Francesco “Vir Catholicus” fedele alleato dei pontefici (messaggio veicolato dalla decorazione neoclassica della nuova cripta della basilica), parallelamente gli scritti di Joseph Görres negli anni venti, apriranno ad una visione di Francesco fondata invece sul suo “speciale” rapporto con la natura. Un “Alter Orpheus”, prospettiva sottolineata da Ozanam, e declinata da pensatori e studiosi di varia formazione, come Von Hase, Taine, fino a Thode e Sabatier. Colta anche da pittori come Benouville e Nino Costa, e per tanti aspetti sentita ancora oggi. Sul piano storico-artistico, sono proprio gli scritti di Görres ad orientare in maniera decisiva il pensiero del barone Karl Friedrich Von Rumohr nell’ elaborazione teorica della “Scuola di pittura umbra” proposta nelle Italienische Forschungen uscite nel 1827. Agli esponenti della Scuola umbra, fra cui il Perugino, riconosceva la capacità di trasfigurare la realtà in chiave mistica, derivata proprio dal vivere in prossimità di Assisi, luogo consacrato a san Francesco, che ne poteva così condizionare i sentimenti. L’etichetta di “Scuola di pittura umbra” è sopravvissuta, come categoria e caratteristiche, ben dentro il Novecento, e le parole di Von Rumohr vengono a configurarsi come il nucleo originario nella costruzione del mito (ancora vivo) dell’ “Umbria Santa”.

The Origins of “Sacred Umbria”: the Basilica of Assisi and Francis in the Nineteenth Century: “Vir Catholicus” or “Alter Orpheus”?

Mirko Santanicchia
2018

Abstract

Il saggio intende mettere a fuoco l’origine del mito dell’ “Umbria Santa”, alimentato dalla pittura purista e portato al suo apice a fine Ottocento, con l’Umbria che diviene luogo paradigmatico della compenetrazione trascendente fra spiritualità, arte e paesaggio naturale. A tal fine è risultato fondamentale l’indagare la percezione di Francesco e della Basilica di Assisi nel contesto europeo, prima nel periodo romantico poi nel corso del XIX secolo, nelle accezioni di “Alter Christus” o “Vir Catholicus”, oppure, all’opposto, di “Alter Orpheus”. Prima di Francesco “santo” tornò sotto i riflettori la sua Basilica come eccezionale pinacoteca, teatro privilegiato dell’azione dei pittori “primitivi”, il cui recupero fu, come è noto, avviato tra fine ‘700 e inizio ‘800. Francesco invece, dimenticato da Chateaubriand nel suo Génie du Christianisme stampato nel 1802, tornerà a svolgere un ruolo di primo piano solo dalla fine del secondo e soprattutto con il terzo decennio dell’Ottocento. Determinante fu l’aver riportato alla luce il corpo, nel 1818, sotto l’altare della basilica inferiore. Ma la “riscoperta” della figura di Francesco fu più articolata, andò ben oltre l’aspetto devozionale, e fu interpretata da molteplici punti di vista: quello di una Chiesa cattolica romana alle prese con il complicato riposizionamento post napoleonico; la percezione che ne ebbero tanti uomini di cultura, soprattutto stranieri, più pervasi del nascente pensiero romantico ed espressione delle multiformi declinazioni del cattolicesimo, in chiave più liberale e democratica; l’ottica con cui fu guardato dal fronte del cristianesimo protestante. Se soprattutto papa Pio VII e in misura minore Pio IX cercheranno di sfruttare al massimo l’immagine di Francesco “Vir Catholicus” fedele alleato dei pontefici (messaggio veicolato dalla decorazione neoclassica della nuova cripta della basilica), parallelamente gli scritti di Joseph Görres negli anni venti, apriranno ad una visione di Francesco fondata invece sul suo “speciale” rapporto con la natura. Un “Alter Orpheus”, prospettiva sottolineata da Ozanam, e declinata da pensatori e studiosi di varia formazione, come Von Hase, Taine, fino a Thode e Sabatier. Colta anche da pittori come Benouville e Nino Costa, e per tanti aspetti sentita ancora oggi. Sul piano storico-artistico, sono proprio gli scritti di Görres ad orientare in maniera decisiva il pensiero del barone Karl Friedrich Von Rumohr nell’ elaborazione teorica della “Scuola di pittura umbra” proposta nelle Italienische Forschungen uscite nel 1827. Agli esponenti della Scuola umbra, fra cui il Perugino, riconosceva la capacità di trasfigurare la realtà in chiave mistica, derivata proprio dal vivere in prossimità di Assisi, luogo consacrato a san Francesco, che ne poteva così condizionare i sentimenti. L’etichetta di “Scuola di pittura umbra” è sopravvissuta, come categoria e caratteristiche, ben dentro il Novecento, e le parole di Von Rumohr vengono a configurarsi come il nucleo originario nella costruzione del mito (ancora vivo) dell’ “Umbria Santa”.
2018
978-88-6728-913-4
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/1427237
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