A cavallo tra Ottocento e Novecento, la Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri di Bologna fu il luogo in cui si operò un’efficace sintesi tra teoria e prassi, espressione diretta del connubio che alimenta in questi anni le formulazioni scientifiche sulle caratteristiche meccaniche di materiali e componenti e lo sviluppo di nuove tecniche finalizzate alla modernizzazione di sistemi e processi costruttivi. L’altalenarsi tra teoria e pratica, tra la riflessione scientifica e le istanze del mondo dell’impresa e della professione, la continua sospensione del giudizio nel comprendere quale sia la reale motivazione principale del progetto d’architettura e della sua realizzazione, più che costituire una difficoltà nell’intraprendere una scelta, diviene un’opportunità su cui si incentrano gli obiettivi della nascente Scuola bolognese. I due poli paradigmatici di questa ambivalente posizione culturale sono chiaramente individuabili in Silvio Canevazzi ed in Attilio Muggia. L’insegnamento dei due maestri produsse una scuola dalle caratteristiche nuove e prolifiche che, direttamente o attraverso l’influenza esercitata dagli scritti o dall’opera dei continuatori, permise la formazione di una molteplice schiera di ingegneri ed architetti che ebbero un ruolo di primo piano nel rinnovamento della cultura tecnica e scientifica nell’Italia del primo Novecento. Per tutti loro si potrebbe parlare, forse per la prima volta, di figure in cui la comprensione del legame tra espressione figurativa, funzionamento strutturale e ragioni di convenienza economica assumono un risvolto di piena coscienza della reale portata che l’introduzione del cemento armato, e più in generale, il moderno approccio al mondo della costruzione, produssero nel settore dell’architettura e dell’ingegneria. La prematura scomparsa di Silvio Canevazzi probabilmente tolse qualcosa alle effettive potenzialità di innovazione culturale, ma non interruppe il flusso degli studi teorici che, con Armando Landini e Giuseppe Albenga prima, e Odone Belluzzi poi, seppe dare un’impronta indelebile alla cultura scientifica della costruzione in cemento armato. D’altra parte, l’esempio di Muggia riuscì a mostrare ad una nutrita accolita di allievi quali possibilità offrisse una visione cosciente e sintetica delle diverse sfaccettature della figura dell’ingegnere nel secolo nuovo. Il contributo si incentra sull’analisi dell’eredità di questa Scuola in alcuni dei più illustri allievi: Pier Luigi Nervi, Eugenio Mozzi e Odone Belluzzi.
L’influenza della Scuola bolognese sui protagonisti dell’ingegneria del Novecento: l’esperienza di Nervi, Miozzi e Belluzzi
G. Mochi
Conceptualization
;
2012
Abstract
A cavallo tra Ottocento e Novecento, la Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri di Bologna fu il luogo in cui si operò un’efficace sintesi tra teoria e prassi, espressione diretta del connubio che alimenta in questi anni le formulazioni scientifiche sulle caratteristiche meccaniche di materiali e componenti e lo sviluppo di nuove tecniche finalizzate alla modernizzazione di sistemi e processi costruttivi. L’altalenarsi tra teoria e pratica, tra la riflessione scientifica e le istanze del mondo dell’impresa e della professione, la continua sospensione del giudizio nel comprendere quale sia la reale motivazione principale del progetto d’architettura e della sua realizzazione, più che costituire una difficoltà nell’intraprendere una scelta, diviene un’opportunità su cui si incentrano gli obiettivi della nascente Scuola bolognese. I due poli paradigmatici di questa ambivalente posizione culturale sono chiaramente individuabili in Silvio Canevazzi ed in Attilio Muggia. L’insegnamento dei due maestri produsse una scuola dalle caratteristiche nuove e prolifiche che, direttamente o attraverso l’influenza esercitata dagli scritti o dall’opera dei continuatori, permise la formazione di una molteplice schiera di ingegneri ed architetti che ebbero un ruolo di primo piano nel rinnovamento della cultura tecnica e scientifica nell’Italia del primo Novecento. Per tutti loro si potrebbe parlare, forse per la prima volta, di figure in cui la comprensione del legame tra espressione figurativa, funzionamento strutturale e ragioni di convenienza economica assumono un risvolto di piena coscienza della reale portata che l’introduzione del cemento armato, e più in generale, il moderno approccio al mondo della costruzione, produssero nel settore dell’architettura e dell’ingegneria. La prematura scomparsa di Silvio Canevazzi probabilmente tolse qualcosa alle effettive potenzialità di innovazione culturale, ma non interruppe il flusso degli studi teorici che, con Armando Landini e Giuseppe Albenga prima, e Odone Belluzzi poi, seppe dare un’impronta indelebile alla cultura scientifica della costruzione in cemento armato. D’altra parte, l’esempio di Muggia riuscì a mostrare ad una nutrita accolita di allievi quali possibilità offrisse una visione cosciente e sintetica delle diverse sfaccettature della figura dell’ingegnere nel secolo nuovo. Il contributo si incentra sull’analisi dell’eredità di questa Scuola in alcuni dei più illustri allievi: Pier Luigi Nervi, Eugenio Mozzi e Odone Belluzzi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.