Introduzione Dai margini, in cerca di futuro Nelle ultime decadi, l'enfasi fordista sulla quantità ha lasciato il posto alla preoccupazione post-fordista per la qualità, ma in che termini? Vecchie e nuove forme di diseguaglianze economiche generano nuove forme di esclusione sociale. Se la diseguaglianza ha radici soprattutto socio-economiche, l'esclusione sociale ha un'origine soprattutto socio-culturale. Utilizzando alcuni termini che hanno un ruolo cardine nella riflessione di Augusto Mateus, Stephen Stoer mette in evidenza che, così come esiste una "disoccupazione latente" (in riferimento a settori produttivi destinati a scomparire in assenza di necessari aggiustamenti), esiste anche una "esclusione sociale latente" che riguarda individui e gruppi sociali che non raggiungono la soglia critica di educazione e qualificazione in relazione ai processi di innovazione. In tal senso la scuola, oggi, non riproduce semplicemente le diseguaglianze, ma produce attivamente "esclusione sociale latente". D'altronde, sono noti i dati che legano le classi reddituali e culturali di provenienza alla possibilità di permanenza nel percorso di istruzione, in Italia, come nella maggior parte dei paesi del mondo e si va affermando anche il legame tra ambiente socio-economico di provenienza e qualità dei percorsi formativi frequentati (conseguenza diretta dei processi di privatizzazione dell'istruzione). E' quindi urgente considerare l'accesso ai saperi guardando all'eterogeneità nei processi educativi non solo in riferimento alla provenienza geografica o all'appartenenza religiosa dei partecipanti come pare essere, oggi, la tendenza dominante. Una chiave di lettura partecipativa e attenta alla giustizia sociale, come è nei cromosomi di Cofir (www.cofir.net), non può perdere di vista la tensione fra funzione emancipativa e regolativa dei saperi. Per dirla con Said o de Sousa Santos, i saperi in funzione emancipativa rimandano ad una traiettoria che trova ai due poli opposti colonialismo e solidarietà, mentre i saperi in funzione regolativa si muovono fra la polarità caos, ad un estremo, e ordine, all'estremo opposto. Uno dei pericoli che accompagna molta retorica sulle questioni, peraltro importanti e vitali, della qualità e delle competenze è che si venga svuotando di senso il discorso solidale appiattendolo solo su funzioni regolative. Antidoti? Ri-pensare l'educazione ha, forse, bisogno di prendere a metafora i sistemi fisici complessi. Si tratta di sistemi caratterizzati da un attrattore cosiddetto "strano", un attrattore che non si limita a far collassare il sistema sempre nello stesso punto (come avviene per esempio per una pallina in un imbuto), né determina un'oscillazione teoricamente senza soluzione di continuità fra due punti (come avviene nel caso di un pendolo). Piuttosto, un attrattore strano ha la capacità di abbracciare tutte le infinite traiettorie possibili del sistema. Ne risulta una forma che può sembrare sinuosa e involuta, un legame fra due polarità in apparente contraddizione: quella dell'imprevedibilità e quella dell'ordine, ma anche una connotazione di imprevedibilità e "contingenza" che è probabilmente la chiave per una continua co-evoluzione, come osserverebbe Gould. La linearità con la quale, in chiave quasi aristotelica, siamo abituati a pensare a problemi e soluzioni in questo campo appare ormai priva di valore. Un altro esempio, preso a prestito dalla fisica di aiuta a rappresentarci mentalmente la situazione: l'isteresi. Si definisce isteresi, ad esempio, la permanenza di parte della deformazione causata da uno sforzo una volta che questo è stato rimosso (ovvero la dipendenza di una proprietà di un sistema dalla storia precedente del sistema stesso). Fenomeni di isteresi si osservano nell'occupazione: in passato una contrazione economica causava perdita di posti di lavoro e ci si aspettava che questi posti venissero però pienamente riassorbiti dalla successiva espansione economica. Oggi questo, per una serie di concause, non è più osservabile. Siamo dunque in presenza di un altro fenomeno caratterizzato da contraddizioni e nodi non immediatamente scioglibili, metafora inquietante della contemporaneità. Gli articoli qui riuniti cercano di fare i conti con tale inquietudine segnalando alcuni nodi e contraddizioni. Il volume si apre con tre proposte presentate da Alessio Surian nel Convegno Cofir di marzo 2003 ad Arezzo sui temi della privatizzazione dei servizi educativi, delle metodologie partecipative e della cultura della guerra e della violenza. Si tratta soprattutto di ripensare scambi e condivisione delle conoscenze fra ricercatori ed operatori del mondo della formazione di fronte a un contesto di acuite tensioni internazionali e locali che slabbrano e investono di nuovi significati il binomio competizione – cooperazione. Come ben esemplificato dal caso inglese approfondito da Richard Hatcher, il primo termine sembra assumere in questi anni l’aspetto di una nuova norma che favorisce l’affermazione di un approccio gestionale di impronta aziendalista e di un utilizzo strumentale del settore dell’educazione e della formazione come modalità di conquista di fette di mercato. Non siamo di fronte ad istituzioni pubbliche europee e nazionali che disinvestono in ambito educativo, ma, piuttosto, che scelgono su quali privati investire per “potenziare” un “mercato” e “acquisire” posizioni di rendita e di relativo vantaggio anche a livello internazionale (certo, una logica che appare più immediata per chi opera partendo dall’inglese come madrelingua). C’è ancora spazio per il tessuto della solidarietà e della cooperazione in ambito formativo ed educativo? Se per Hatcher si tratta di esplorare nuovi modelli, innanzitutto le pratiche di democrazia partecipata suggerite dal Brasile, Rumen Valchev riflette, a partire dall’esperienza della Bulgaria, sulla perdita di consenso anche fra i lavoratori dell’ideale di solidarietà e dell’impatto che tale tendenza ha su chi incarna per eccellenza il ruolo di promotore dei diritti, i sindacati. Per chi ha a cuore relazioni cooperative in ambito educativo la strada sembra essere tutta in salita. Nondimeno, Valchev propone un’attenta analisi di elementi e prospettive che invitano a percorrerla. In ambito italiano, Federico Batini ripercorre il vicolo cieco in cui si sta infilando l’idea di democrazia nel passaggio da strumento di rappresentanza a territorio di conquista per lobby locali e internazionali. Se in ambito politico e urbanistico si viene affermando come indispensabile mettere in relais funzioni rappresentative e partecipative nei processi democratici, viene qui evidenziata l’analisi postdemocratica di Colin Crouch in funzione di un’opzione radicale a favore della democrazia partecipativa. Ovvio che scuola e percorsi formativi non possano stare alla finestra. Al contrario, proprio attraverso l’allargamento degli spazi, dei tempi e degli attori della partecipazione nei processi formativi, l’educazione ha l’opportunità di ritrovare un ruolo pieno non tanto come ancella di processi produttivi, ma come protagonista dei processi democratici, di cambiamento: enzima del pensiero critico. Dopo tale (pur sommario) panorama europeo, appare utile allargare lo spettro delle posizioni espresse includendo contributi dalla ricerca latinoamericana ed in particolare i lavori della CLACSO, il consiglio latinoamericano di scienze sociali che da alcuni decenni si confronta con la pervasività del modello aziendalista nell’educazione. A titolo di esempio, Russo offre un’analisi complessiva dei possibili ruoli dell’educazione nella società latinoamericana e mette in luce come non vi siano alternative ad una prospettiva partecipativa e, in sostanza, di maggiore protagonismo dei docenti, sottolineando che le istituzioni che hanno realizzato un progetto istituzionale partecipativo stanno ottenendo migliori risultati nel proprio funzionamento. Dalla Francia Lepage affronta il tema dell’educazione popolare in relazione a linee guida per un suo possibile riconoscimento ed accreditamento a partire da alcuni criteri molto concreti, per strutturare un’offerta permanente di riflessione e per individuare il ruolo del pubblico nell’educazione non formale che non può prescindere, secondo l’autore, dal riconoscimento delle contraddizioni che vi sono insite, dal valore della testimonianza e da una volontà di trasformazione sociale. Gontcharoff affronta il tema della decentralizzazione dell’educazione, identificando anche i meccanismi sottesi ad una delega che a volte può tradursi in meccanismi di appesantimento delle competenze degli enti locali senza che questi abbiano mezzi e risorse per farvi fronte: l’educazione è molto più di una questione amministrativa titola significativamente il proprio contributo. Nel suo intervento introduce anche il tema della uguaglianza scolastica legata ai temi della decentralizzazione e della privatizzazione. Vulbeau invece parla della comunità come possibile risorsa per un progetto educativo, in un’ottica di sussidiarietà, prendendo le mosse da una risemantizzazione dello stesso termine comunità che prende senso proprio dalla partecipazione dei suoi membri. La comunità educativa, afferma Vulbeau, è sensibile poiché avverte qualcosa, sensibilizza il suo ambiente e costruisce un significato attorno ad esso. Christian Alin, presentando il caso emblematico del crogiuolo razziale dei DOM TOM (territori d’oltremare francesi) riflette su partecipazione e educazione, in chiave interculturale. I conflitti etnici, politici, religiosi e identitari che hanno caratterizzato la fascia caraibica diventano allora una riflessione sulla cittadinanza e su quali siano le riflessioni e le modalità educative da utilizzare in un contesto siffatto. Come si forma, si educa alla democrazia, Alin propone, sulla scorta di Mougniotte una serie di valori irrinunciabili in tal senso. A questo tema incrocia poi quello dell’identità proponendo una serie di “educazioni a”. Batini e Spini aprono, tra la proposta e l’utopismo realistico, con una chiave metaforica, alla contraddizione, all’antinomia in educazione, riproponendo, fecondata alla luce dell’analisi della contemporaneità, la lezione di Don Milani. Per continuare ad utilizzare le metafore della biologia, è possibile comprendere più a fondo tali apparenti contraddizioni, tenendo presenti ed esplorando le proprietà evolutive attribuite alle reti "viventi", le capacità di calibrare flessibilità e stabilità: "rinunciando" ad un ordine eccessivo (all'opzione costituita da un solo attrattore che le porterebbe velocemente ad uno stato di equilibrio e quindi alla morte), così come ad uno stato del tutto caotico (opzione che si tradurrebbe in un numero infinito di attrattori instabili capaci di far vagare il sistema senza sosta, suscettibile di cambiamenti in risposta ad ogni più piccola perturbazione. Cosa ci insegnano le reti più efficienti dal punto di vista evolutivo? Che può essere particolarmente utile avvicinarsi e posizionarsi "ai margini del caos", assumendo parametri che le avvicinano moltissimo alla soglia del caos senza, tuttavia, mai superare tale soglia. Federico Batini & Alessio Surian

Caccia al "tesoro". La business agenda delle riforme educative e i percorsi di resistenza.

BATINI, Federico;
2004

Abstract

Introduzione Dai margini, in cerca di futuro Nelle ultime decadi, l'enfasi fordista sulla quantità ha lasciato il posto alla preoccupazione post-fordista per la qualità, ma in che termini? Vecchie e nuove forme di diseguaglianze economiche generano nuove forme di esclusione sociale. Se la diseguaglianza ha radici soprattutto socio-economiche, l'esclusione sociale ha un'origine soprattutto socio-culturale. Utilizzando alcuni termini che hanno un ruolo cardine nella riflessione di Augusto Mateus, Stephen Stoer mette in evidenza che, così come esiste una "disoccupazione latente" (in riferimento a settori produttivi destinati a scomparire in assenza di necessari aggiustamenti), esiste anche una "esclusione sociale latente" che riguarda individui e gruppi sociali che non raggiungono la soglia critica di educazione e qualificazione in relazione ai processi di innovazione. In tal senso la scuola, oggi, non riproduce semplicemente le diseguaglianze, ma produce attivamente "esclusione sociale latente". D'altronde, sono noti i dati che legano le classi reddituali e culturali di provenienza alla possibilità di permanenza nel percorso di istruzione, in Italia, come nella maggior parte dei paesi del mondo e si va affermando anche il legame tra ambiente socio-economico di provenienza e qualità dei percorsi formativi frequentati (conseguenza diretta dei processi di privatizzazione dell'istruzione). E' quindi urgente considerare l'accesso ai saperi guardando all'eterogeneità nei processi educativi non solo in riferimento alla provenienza geografica o all'appartenenza religiosa dei partecipanti come pare essere, oggi, la tendenza dominante. Una chiave di lettura partecipativa e attenta alla giustizia sociale, come è nei cromosomi di Cofir (www.cofir.net), non può perdere di vista la tensione fra funzione emancipativa e regolativa dei saperi. Per dirla con Said o de Sousa Santos, i saperi in funzione emancipativa rimandano ad una traiettoria che trova ai due poli opposti colonialismo e solidarietà, mentre i saperi in funzione regolativa si muovono fra la polarità caos, ad un estremo, e ordine, all'estremo opposto. Uno dei pericoli che accompagna molta retorica sulle questioni, peraltro importanti e vitali, della qualità e delle competenze è che si venga svuotando di senso il discorso solidale appiattendolo solo su funzioni regolative. Antidoti? Ri-pensare l'educazione ha, forse, bisogno di prendere a metafora i sistemi fisici complessi. Si tratta di sistemi caratterizzati da un attrattore cosiddetto "strano", un attrattore che non si limita a far collassare il sistema sempre nello stesso punto (come avviene per esempio per una pallina in un imbuto), né determina un'oscillazione teoricamente senza soluzione di continuità fra due punti (come avviene nel caso di un pendolo). Piuttosto, un attrattore strano ha la capacità di abbracciare tutte le infinite traiettorie possibili del sistema. Ne risulta una forma che può sembrare sinuosa e involuta, un legame fra due polarità in apparente contraddizione: quella dell'imprevedibilità e quella dell'ordine, ma anche una connotazione di imprevedibilità e "contingenza" che è probabilmente la chiave per una continua co-evoluzione, come osserverebbe Gould. La linearità con la quale, in chiave quasi aristotelica, siamo abituati a pensare a problemi e soluzioni in questo campo appare ormai priva di valore. Un altro esempio, preso a prestito dalla fisica di aiuta a rappresentarci mentalmente la situazione: l'isteresi. Si definisce isteresi, ad esempio, la permanenza di parte della deformazione causata da uno sforzo una volta che questo è stato rimosso (ovvero la dipendenza di una proprietà di un sistema dalla storia precedente del sistema stesso). Fenomeni di isteresi si osservano nell'occupazione: in passato una contrazione economica causava perdita di posti di lavoro e ci si aspettava che questi posti venissero però pienamente riassorbiti dalla successiva espansione economica. Oggi questo, per una serie di concause, non è più osservabile. Siamo dunque in presenza di un altro fenomeno caratterizzato da contraddizioni e nodi non immediatamente scioglibili, metafora inquietante della contemporaneità. Gli articoli qui riuniti cercano di fare i conti con tale inquietudine segnalando alcuni nodi e contraddizioni. Il volume si apre con tre proposte presentate da Alessio Surian nel Convegno Cofir di marzo 2003 ad Arezzo sui temi della privatizzazione dei servizi educativi, delle metodologie partecipative e della cultura della guerra e della violenza. Si tratta soprattutto di ripensare scambi e condivisione delle conoscenze fra ricercatori ed operatori del mondo della formazione di fronte a un contesto di acuite tensioni internazionali e locali che slabbrano e investono di nuovi significati il binomio competizione – cooperazione. Come ben esemplificato dal caso inglese approfondito da Richard Hatcher, il primo termine sembra assumere in questi anni l’aspetto di una nuova norma che favorisce l’affermazione di un approccio gestionale di impronta aziendalista e di un utilizzo strumentale del settore dell’educazione e della formazione come modalità di conquista di fette di mercato. Non siamo di fronte ad istituzioni pubbliche europee e nazionali che disinvestono in ambito educativo, ma, piuttosto, che scelgono su quali privati investire per “potenziare” un “mercato” e “acquisire” posizioni di rendita e di relativo vantaggio anche a livello internazionale (certo, una logica che appare più immediata per chi opera partendo dall’inglese come madrelingua). C’è ancora spazio per il tessuto della solidarietà e della cooperazione in ambito formativo ed educativo? Se per Hatcher si tratta di esplorare nuovi modelli, innanzitutto le pratiche di democrazia partecipata suggerite dal Brasile, Rumen Valchev riflette, a partire dall’esperienza della Bulgaria, sulla perdita di consenso anche fra i lavoratori dell’ideale di solidarietà e dell’impatto che tale tendenza ha su chi incarna per eccellenza il ruolo di promotore dei diritti, i sindacati. Per chi ha a cuore relazioni cooperative in ambito educativo la strada sembra essere tutta in salita. Nondimeno, Valchev propone un’attenta analisi di elementi e prospettive che invitano a percorrerla. In ambito italiano, Federico Batini ripercorre il vicolo cieco in cui si sta infilando l’idea di democrazia nel passaggio da strumento di rappresentanza a territorio di conquista per lobby locali e internazionali. Se in ambito politico e urbanistico si viene affermando come indispensabile mettere in relais funzioni rappresentative e partecipative nei processi democratici, viene qui evidenziata l’analisi postdemocratica di Colin Crouch in funzione di un’opzione radicale a favore della democrazia partecipativa. Ovvio che scuola e percorsi formativi non possano stare alla finestra. Al contrario, proprio attraverso l’allargamento degli spazi, dei tempi e degli attori della partecipazione nei processi formativi, l’educazione ha l’opportunità di ritrovare un ruolo pieno non tanto come ancella di processi produttivi, ma come protagonista dei processi democratici, di cambiamento: enzima del pensiero critico. Dopo tale (pur sommario) panorama europeo, appare utile allargare lo spettro delle posizioni espresse includendo contributi dalla ricerca latinoamericana ed in particolare i lavori della CLACSO, il consiglio latinoamericano di scienze sociali che da alcuni decenni si confronta con la pervasività del modello aziendalista nell’educazione. A titolo di esempio, Russo offre un’analisi complessiva dei possibili ruoli dell’educazione nella società latinoamericana e mette in luce come non vi siano alternative ad una prospettiva partecipativa e, in sostanza, di maggiore protagonismo dei docenti, sottolineando che le istituzioni che hanno realizzato un progetto istituzionale partecipativo stanno ottenendo migliori risultati nel proprio funzionamento. Dalla Francia Lepage affronta il tema dell’educazione popolare in relazione a linee guida per un suo possibile riconoscimento ed accreditamento a partire da alcuni criteri molto concreti, per strutturare un’offerta permanente di riflessione e per individuare il ruolo del pubblico nell’educazione non formale che non può prescindere, secondo l’autore, dal riconoscimento delle contraddizioni che vi sono insite, dal valore della testimonianza e da una volontà di trasformazione sociale. Gontcharoff affronta il tema della decentralizzazione dell’educazione, identificando anche i meccanismi sottesi ad una delega che a volte può tradursi in meccanismi di appesantimento delle competenze degli enti locali senza che questi abbiano mezzi e risorse per farvi fronte: l’educazione è molto più di una questione amministrativa titola significativamente il proprio contributo. Nel suo intervento introduce anche il tema della uguaglianza scolastica legata ai temi della decentralizzazione e della privatizzazione. Vulbeau invece parla della comunità come possibile risorsa per un progetto educativo, in un’ottica di sussidiarietà, prendendo le mosse da una risemantizzazione dello stesso termine comunità che prende senso proprio dalla partecipazione dei suoi membri. La comunità educativa, afferma Vulbeau, è sensibile poiché avverte qualcosa, sensibilizza il suo ambiente e costruisce un significato attorno ad esso. Christian Alin, presentando il caso emblematico del crogiuolo razziale dei DOM TOM (territori d’oltremare francesi) riflette su partecipazione e educazione, in chiave interculturale. I conflitti etnici, politici, religiosi e identitari che hanno caratterizzato la fascia caraibica diventano allora una riflessione sulla cittadinanza e su quali siano le riflessioni e le modalità educative da utilizzare in un contesto siffatto. Come si forma, si educa alla democrazia, Alin propone, sulla scorta di Mougniotte una serie di valori irrinunciabili in tal senso. A questo tema incrocia poi quello dell’identità proponendo una serie di “educazioni a”. Batini e Spini aprono, tra la proposta e l’utopismo realistico, con una chiave metaforica, alla contraddizione, all’antinomia in educazione, riproponendo, fecondata alla luce dell’analisi della contemporaneità, la lezione di Don Milani. Per continuare ad utilizzare le metafore della biologia, è possibile comprendere più a fondo tali apparenti contraddizioni, tenendo presenti ed esplorando le proprietà evolutive attribuite alle reti "viventi", le capacità di calibrare flessibilità e stabilità: "rinunciando" ad un ordine eccessivo (all'opzione costituita da un solo attrattore che le porterebbe velocemente ad uno stato di equilibrio e quindi alla morte), così come ad uno stato del tutto caotico (opzione che si tradurrebbe in un numero infinito di attrattori instabili capaci di far vagare il sistema senza sosta, suscettibile di cambiamenti in risposta ad ogni più piccola perturbazione. Cosa ci insegnano le reti più efficienti dal punto di vista evolutivo? Che può essere particolarmente utile avvicinarsi e posizionarsi "ai margini del caos", assumendo parametri che le avvicinano moltissimo alla soglia del caos senza, tuttavia, mai superare tale soglia. Federico Batini & Alessio Surian
2004
9788846709448
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11391/147183
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