Il saggio ha per oggetto il problematico rapporto che intercorre tra economia e felicità affrontato da Robert Michels (1876-1936) nel suo libro “L’economia della felicità”, stampato nel 1918. Il libro racchiude la prolusione fatta da Michels su questo tema il 26 febbraio 1915, dopo la sua chiamata all’Università di Basilea in qualità di Professore Ordinario di Economia Politica e Statistica. In questo volume Michels, da vero intellettuale di frontiera, anticipa e fornisce una risposta ad alcuni degli interrogativi da sempre ricorrenti nella Storia della Filosofia, ma tipici anche della “scienza della felicità” del XXI secolo: che cosa è la felicità? Quale è il rapporto economia/felicità? Quali sono le variabili economiche che la determinano? Quali sono gli altri fattori, di natura non economica, che incidono sulla felicità? Che peso hanno questi ultimi nell’influire sulla felicità? E` opportuno pensare delle politiche pubbliche per la felicità? Quali potrebbero essere queste politiche? Nella lettura interdisciplinare delle diverse determinanti della felicità e delle loro interazioni Michels riesce a coniugare modernamente economia, psicologia, sociologia, storia, prendendo con coraggio le distanze dal paradigma monistico e riduzionista dell’economia neoclassica imperante ai suoi tempi. La concezione edonistica di felicità di Michels riprende quella formulata da Jeremy Bentham, ma Michels, a differenza degli Utilitaristi del XVIII e del XIX secolo, le imprime, da economista, una torsione inaspettata postulando ereticamente che la felicità sia il fine ultimo dell’economia e che la ricchezza sia solo un mezzo per conseguirla. Nel sancire il primato della felicità in qualità di guida dell’attività economica Michels ricalca le orme degli Economisti Civili dell’Illuminismo napoletano e milanese che, grazie alla sua curiosità scientifica e capacità di spaziare, egli conosceva in modo approfondito e con i quali aveva numerosi punti di consonanza teorica che il saggio mette in evidenza. Michels e gli Economisti Civili erano infatti accumunati dal considerare l’economia come una scienza sociale e non naturale, dall’ammettere la forza condizionante della Storia nelle vicende economiche, dal condividere la stessa concezione del mercato come un’entità non immune da fallimenti e bisognosa di interventi correttivi/regolativi da parte di diverse istituzioni, dal riconoscere l’importanza della cooperazione tra individui in campo economico, dal comprendere la strategicità dell’associazionismo tra persone per combattere, come facevano al tempo di Michels i Sindacati dei lavoratori, le disuguaglianze e lo sfruttamento del lavoro. Pur avendo tutti questi tratti in comune, la concezione di felicità di Michels si discosta tuttavia da quella “relazionale” degli Economisti Civili perché è prioritariamente fondata sul piacere individuale e non sui beni relazionali, perché è scollegata da quelle componenti di gratuità che sono immanenti ai beni relazionali autentici, perché è avulsa dalla ricerca del Bene Comune. Il saggio illustra infine anche le politiche multidimensionali ed innovative che Michels suggerisce per il conseguimento della felicità invocando una vasta gamma di interventi integrati da effettuarsi da parte dello Stato e/o da parte dei Sindacati dei lavoratori.
Montesi C., La scommessa della felicità nel pensiero economico di Robert Michels
C. Montesi
Writing – Original Draft Preparation
2020
Abstract
Il saggio ha per oggetto il problematico rapporto che intercorre tra economia e felicità affrontato da Robert Michels (1876-1936) nel suo libro “L’economia della felicità”, stampato nel 1918. Il libro racchiude la prolusione fatta da Michels su questo tema il 26 febbraio 1915, dopo la sua chiamata all’Università di Basilea in qualità di Professore Ordinario di Economia Politica e Statistica. In questo volume Michels, da vero intellettuale di frontiera, anticipa e fornisce una risposta ad alcuni degli interrogativi da sempre ricorrenti nella Storia della Filosofia, ma tipici anche della “scienza della felicità” del XXI secolo: che cosa è la felicità? Quale è il rapporto economia/felicità? Quali sono le variabili economiche che la determinano? Quali sono gli altri fattori, di natura non economica, che incidono sulla felicità? Che peso hanno questi ultimi nell’influire sulla felicità? E` opportuno pensare delle politiche pubbliche per la felicità? Quali potrebbero essere queste politiche? Nella lettura interdisciplinare delle diverse determinanti della felicità e delle loro interazioni Michels riesce a coniugare modernamente economia, psicologia, sociologia, storia, prendendo con coraggio le distanze dal paradigma monistico e riduzionista dell’economia neoclassica imperante ai suoi tempi. La concezione edonistica di felicità di Michels riprende quella formulata da Jeremy Bentham, ma Michels, a differenza degli Utilitaristi del XVIII e del XIX secolo, le imprime, da economista, una torsione inaspettata postulando ereticamente che la felicità sia il fine ultimo dell’economia e che la ricchezza sia solo un mezzo per conseguirla. Nel sancire il primato della felicità in qualità di guida dell’attività economica Michels ricalca le orme degli Economisti Civili dell’Illuminismo napoletano e milanese che, grazie alla sua curiosità scientifica e capacità di spaziare, egli conosceva in modo approfondito e con i quali aveva numerosi punti di consonanza teorica che il saggio mette in evidenza. Michels e gli Economisti Civili erano infatti accumunati dal considerare l’economia come una scienza sociale e non naturale, dall’ammettere la forza condizionante della Storia nelle vicende economiche, dal condividere la stessa concezione del mercato come un’entità non immune da fallimenti e bisognosa di interventi correttivi/regolativi da parte di diverse istituzioni, dal riconoscere l’importanza della cooperazione tra individui in campo economico, dal comprendere la strategicità dell’associazionismo tra persone per combattere, come facevano al tempo di Michels i Sindacati dei lavoratori, le disuguaglianze e lo sfruttamento del lavoro. Pur avendo tutti questi tratti in comune, la concezione di felicità di Michels si discosta tuttavia da quella “relazionale” degli Economisti Civili perché è prioritariamente fondata sul piacere individuale e non sui beni relazionali, perché è scollegata da quelle componenti di gratuità che sono immanenti ai beni relazionali autentici, perché è avulsa dalla ricerca del Bene Comune. Il saggio illustra infine anche le politiche multidimensionali ed innovative che Michels suggerisce per il conseguimento della felicità invocando una vasta gamma di interventi integrati da effettuarsi da parte dello Stato e/o da parte dei Sindacati dei lavoratori.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.