Il presente lavoro nasce dal tentativo di ricostruire il rapporto dialettico tra “mondo giuridico” e studi di Ragioneria che ha in varia maniera segnato il percorso storico della disciplina del bilancio di esercizio. L’obiettivo è di mettere in luce la capacità della dot-trina ragionieristica di contribuire all’interpretazione delle norme giuridiche e di stimo-lare e supportare l’opera del legislatore in materia di rendiconti annuali. Si è deciso di limitare l’analisi all’arco temporale che va dalla promulgazione del Codice di Commercio del 1882 all’entrata in vigore del Codice Civile del 1942. Si tratta di un periodo di particolare significato sia per il fatto che vede il formarsi delle prime costruzioni dottrinali in materia bilancio di esercizio sia perché è contraddistinto dall’avvento negli studi aziendali di importanti personaggi, capaci di creare scuole di pensiero contabile che ancora oggi costituiscono imprescindibili punti di riferimento per gli studiosi di Ragioneria e di Economia Aziendale. Fino a gran parte del XIX secolo – in pratica fino al declino della teoria logismologi-ca – il bilancio era stato concepito come il risultato, ottenuto in maniera piuttosto mec-canica, delle scritture contabili e costitutiva un’esposizione sintetica degli elementi atti-vi e passivi della “sostanza patrimoniale”, permettendo di conoscere il risultato della ge-stione. Come si avrà modo di vedere, la problematica era soprattutto sentita con riferimento a particolari momenti della vita aziendale e, non a caso, le più significative documenta-zioni storiche disponibili riguardano imprese in stato di liquidazione. Con minore luci-dità, invece, erano colti il significato e l’utilità dei rendiconti di periodo e la necessità di una loro regolamentazione normativa. Più di un elemento ci fa ritenere, dunque, che l’attenzione verso il bilancio di eserci-zio abbia assunto caratteri significativi solo quando allo stesso siano stati ricondotti au-tonomi e specifici interessi di ordine giuridico. Tali interessi sono sostanzialmente da riconoscere nella necessità di rendere definitiva la ripartizione degli utili e, quindi, di fornire un fondamento all’accertamento del risultato di gestione e nell’esigenza, alla prima collegata, di tutelare i creditori salvaguardando l’integrità del patrimonio posto a garanzia dei loro diritti (Colombo, 1965, p. 11 ss.; Rispoli, 1973, p. 7 ss.). In tal senso il primo fondamentale punto di riferimento normativo è rappresentato dall’art. 176 del Codice di Commercio del 1882, il quale, riferendosi alle società ano-nime, recita che «il bilancio deve dimostrare con evidenza e verità gli utili realmente conseguiti e le perdite sofferte». La disposizione va letta insieme all’art. 22 dello stesso Codice, che dispone che «il commerciante deve fare ogni anno un inventario dei suoi beni mobili e immobili e dei suoi debiti di qualunque natura e provenienza. L’inventario si chiude col bilancio e col conto dei profitti e delle perdite e deve essere trascritto e fir-mato dal commerciante, di anno in anno, sopra un libro a ciò destinato». Si tratta di disposizioni che oggi ci paiono eccessivamente esigue, ma che sono frutto della prospettiva fondamentalmente interna con cui era concepito il bilancio e della pre-cisa scelta di non vincolare eccessivamente l’imprenditore, rinviando alla tecnica ragio-nieristica il compito di supportare adeguatamente l’opera dell’estensore. La “clausola aperta” prevista dalla normativa ha posto, pertanto, molteplici proble-matiche interpretative ed applicative, aprendo il campo ad una possibilità di contributo sia da parte dei giuristi che degli esperti e degli autori di Ragioneria. L’ipotesi qui assunta è che le elaborazioni dottrinali maturate negli studi ragionieri-stici tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX, in un rapporto di interscambio con la dottrina giuridica, abbiano svolto un ruolo di stimolo per l’evoluzione della prassi e per la successiva opera del legislatore, sfociata nell’adozione del Codice Civile del 1942. L’analisi sarà condotta ponendo attenzione, dapprima, agli aspetti riguardanti le fun-zioni attribuite al bilancio di esercizio e ai principi generali sanciti per la sua costruzio-ne; successivamente saranno esaminati i profili relativi alla struttura formale del docu-mento e quelli concernenti il processo di valutazione delle poste che lo compongono.
Dal Codice di commercio del 1882 al Codice civile del 1942: le interdipendenze fra la dottrina ragionieristica e la disciplina giuridica del bilancio di esercizio
MARI, Libero Mario;BARTOCCI, Luca
2006
Abstract
Il presente lavoro nasce dal tentativo di ricostruire il rapporto dialettico tra “mondo giuridico” e studi di Ragioneria che ha in varia maniera segnato il percorso storico della disciplina del bilancio di esercizio. L’obiettivo è di mettere in luce la capacità della dot-trina ragionieristica di contribuire all’interpretazione delle norme giuridiche e di stimo-lare e supportare l’opera del legislatore in materia di rendiconti annuali. Si è deciso di limitare l’analisi all’arco temporale che va dalla promulgazione del Codice di Commercio del 1882 all’entrata in vigore del Codice Civile del 1942. Si tratta di un periodo di particolare significato sia per il fatto che vede il formarsi delle prime costruzioni dottrinali in materia bilancio di esercizio sia perché è contraddistinto dall’avvento negli studi aziendali di importanti personaggi, capaci di creare scuole di pensiero contabile che ancora oggi costituiscono imprescindibili punti di riferimento per gli studiosi di Ragioneria e di Economia Aziendale. Fino a gran parte del XIX secolo – in pratica fino al declino della teoria logismologi-ca – il bilancio era stato concepito come il risultato, ottenuto in maniera piuttosto mec-canica, delle scritture contabili e costitutiva un’esposizione sintetica degli elementi atti-vi e passivi della “sostanza patrimoniale”, permettendo di conoscere il risultato della ge-stione. Come si avrà modo di vedere, la problematica era soprattutto sentita con riferimento a particolari momenti della vita aziendale e, non a caso, le più significative documenta-zioni storiche disponibili riguardano imprese in stato di liquidazione. Con minore luci-dità, invece, erano colti il significato e l’utilità dei rendiconti di periodo e la necessità di una loro regolamentazione normativa. Più di un elemento ci fa ritenere, dunque, che l’attenzione verso il bilancio di eserci-zio abbia assunto caratteri significativi solo quando allo stesso siano stati ricondotti au-tonomi e specifici interessi di ordine giuridico. Tali interessi sono sostanzialmente da riconoscere nella necessità di rendere definitiva la ripartizione degli utili e, quindi, di fornire un fondamento all’accertamento del risultato di gestione e nell’esigenza, alla prima collegata, di tutelare i creditori salvaguardando l’integrità del patrimonio posto a garanzia dei loro diritti (Colombo, 1965, p. 11 ss.; Rispoli, 1973, p. 7 ss.). In tal senso il primo fondamentale punto di riferimento normativo è rappresentato dall’art. 176 del Codice di Commercio del 1882, il quale, riferendosi alle società ano-nime, recita che «il bilancio deve dimostrare con evidenza e verità gli utili realmente conseguiti e le perdite sofferte». La disposizione va letta insieme all’art. 22 dello stesso Codice, che dispone che «il commerciante deve fare ogni anno un inventario dei suoi beni mobili e immobili e dei suoi debiti di qualunque natura e provenienza. L’inventario si chiude col bilancio e col conto dei profitti e delle perdite e deve essere trascritto e fir-mato dal commerciante, di anno in anno, sopra un libro a ciò destinato». Si tratta di disposizioni che oggi ci paiono eccessivamente esigue, ma che sono frutto della prospettiva fondamentalmente interna con cui era concepito il bilancio e della pre-cisa scelta di non vincolare eccessivamente l’imprenditore, rinviando alla tecnica ragio-nieristica il compito di supportare adeguatamente l’opera dell’estensore. La “clausola aperta” prevista dalla normativa ha posto, pertanto, molteplici proble-matiche interpretative ed applicative, aprendo il campo ad una possibilità di contributo sia da parte dei giuristi che degli esperti e degli autori di Ragioneria. L’ipotesi qui assunta è che le elaborazioni dottrinali maturate negli studi ragionieri-stici tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX, in un rapporto di interscambio con la dottrina giuridica, abbiano svolto un ruolo di stimolo per l’evoluzione della prassi e per la successiva opera del legislatore, sfociata nell’adozione del Codice Civile del 1942. L’analisi sarà condotta ponendo attenzione, dapprima, agli aspetti riguardanti le fun-zioni attribuite al bilancio di esercizio e ai principi generali sanciti per la sua costruzio-ne; successivamente saranno esaminati i profili relativi alla struttura formale del docu-mento e quelli concernenti il processo di valutazione delle poste che lo compongono.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.