Il dibattito sulle modifiche antropologiche che le tecnologie digitali starebbero causando al genere umano è influenzato da una rappresentazione immaginale dell’essere umano che non tiene conto di numerose evidenze scientifiche e del loro impatto sulla probabile tempistica dell’evoluzione. Laddove l’uomo – o i suoi progenitori – abiti la Terra da più di tre milioni di anni e la sua versione più aggiornata, l’Homo sapiens sapiens, circoli da più di trecentomila anni, pensare che un decennio di usi tecnologici possa avere tanta significatività da provocare un salto antropologico appare quanto meno azzardato. Tale rappresentazione è però in perfetto accordo con la visione platonico-cartesiana che modella una delle correnti più importanti della cultura occidentale: dal corpo prigione dell’anima dei miti di Platone alla res extensa cartesiana, il suo rapporto con la corporeità non è mai stato facile e la tendenza prima a disciplinarla con l’artificialismo delle macchine, poi a superarla come una tappa esaurita del percorso evolutivo con l’avvento del virtuale non si è mai affievolita, nonostante l’esistenza di pensieri divergenti e varianti culturali alternative. Tale prospettiva è però difendibile solo a certe condizioni: l’evoluzione umana dev’essere concepita in chiave dello sviluppo della ragione, poiché essa, in questo quadro immaginale, rappresenta l’essenza dell’umano in una dimensione spirituale e disincarnata; la ragione è perciò un tratto costitutivo dell’essere umano, che è sempre stato presente e si è andato via via affinando, per affrancarsi infine dal supporto ormai inutile che ne ha permesso la nascita e la prima fase di sviluppo. Nella gerarchia corporea questo si traduce nel primato del cervello e nella riduzione di ogni attività e percezione ai processi di vario genere che vi hanno luogo. La ricerca dimostra oggi che questo è discutibile: vi è discreto accordo sul fatto che l’umano inizia con la stazione bipede che assicura la possibilità dei successivi salti evolutivi che porteranno al pollice opponibile, alle crescenti dimensioni del cervello, alle modifiche fisiologiche necessarie al linguaggio e al pensiero, che, soprattutto nella sua accezione di attività logica e consapevole, è veramente conquista dell’altro giorno. Nei tre milioni di anni precedenti l’uomo è diventato ciò che è grazie al corpo e al suo sapere sempre più raffinato, in aiuto del quale è giunto prima un sistema nervoso e poi un cervello. Si è trattato – e si tratta ancora – di un sapere corporeo, spaziale, immaginale tanto consolidato da sfuggire in larga misura alla coscienza, tanto che la propriocezione non è tra i sensi comunemente descritti, e poco riducibile alla prospettiva uni-versalistica e razionale inaugurata dalla corrente vittoriosa nella filosofia greca, che si è infatti dedicata immediatamente alla sua stigmatizzazione e rimozione. Prendere atto di questi risultati consente di proporre una lettura diversa dell’umano e della conoscenza attraverso la quale rende abitabile il suo mondo. Si tratta, in una logica inclusiva, di integrare la dimensione sinora eccezionale del pensiero logico scientifico con le altre che ne sono ancora alla base, riconoscendo la loro importanza e iniziando a valutare le distorsioni che la loro rimozione ha provocato nella visione dominante del mondo; ne risulta un paradigma complesso in cui le sfere corporea-emozionale, simbolico-immaginale e razionale sono in continua interazione/tensione dinamica, dal quale sarebbe legittimo aspettarsi una nuova possibilità di futuro.
I tempi dell’evoluzione. Prospettive sul futuro
Fabio D'Andrea
2020
Abstract
Il dibattito sulle modifiche antropologiche che le tecnologie digitali starebbero causando al genere umano è influenzato da una rappresentazione immaginale dell’essere umano che non tiene conto di numerose evidenze scientifiche e del loro impatto sulla probabile tempistica dell’evoluzione. Laddove l’uomo – o i suoi progenitori – abiti la Terra da più di tre milioni di anni e la sua versione più aggiornata, l’Homo sapiens sapiens, circoli da più di trecentomila anni, pensare che un decennio di usi tecnologici possa avere tanta significatività da provocare un salto antropologico appare quanto meno azzardato. Tale rappresentazione è però in perfetto accordo con la visione platonico-cartesiana che modella una delle correnti più importanti della cultura occidentale: dal corpo prigione dell’anima dei miti di Platone alla res extensa cartesiana, il suo rapporto con la corporeità non è mai stato facile e la tendenza prima a disciplinarla con l’artificialismo delle macchine, poi a superarla come una tappa esaurita del percorso evolutivo con l’avvento del virtuale non si è mai affievolita, nonostante l’esistenza di pensieri divergenti e varianti culturali alternative. Tale prospettiva è però difendibile solo a certe condizioni: l’evoluzione umana dev’essere concepita in chiave dello sviluppo della ragione, poiché essa, in questo quadro immaginale, rappresenta l’essenza dell’umano in una dimensione spirituale e disincarnata; la ragione è perciò un tratto costitutivo dell’essere umano, che è sempre stato presente e si è andato via via affinando, per affrancarsi infine dal supporto ormai inutile che ne ha permesso la nascita e la prima fase di sviluppo. Nella gerarchia corporea questo si traduce nel primato del cervello e nella riduzione di ogni attività e percezione ai processi di vario genere che vi hanno luogo. La ricerca dimostra oggi che questo è discutibile: vi è discreto accordo sul fatto che l’umano inizia con la stazione bipede che assicura la possibilità dei successivi salti evolutivi che porteranno al pollice opponibile, alle crescenti dimensioni del cervello, alle modifiche fisiologiche necessarie al linguaggio e al pensiero, che, soprattutto nella sua accezione di attività logica e consapevole, è veramente conquista dell’altro giorno. Nei tre milioni di anni precedenti l’uomo è diventato ciò che è grazie al corpo e al suo sapere sempre più raffinato, in aiuto del quale è giunto prima un sistema nervoso e poi un cervello. Si è trattato – e si tratta ancora – di un sapere corporeo, spaziale, immaginale tanto consolidato da sfuggire in larga misura alla coscienza, tanto che la propriocezione non è tra i sensi comunemente descritti, e poco riducibile alla prospettiva uni-versalistica e razionale inaugurata dalla corrente vittoriosa nella filosofia greca, che si è infatti dedicata immediatamente alla sua stigmatizzazione e rimozione. Prendere atto di questi risultati consente di proporre una lettura diversa dell’umano e della conoscenza attraverso la quale rende abitabile il suo mondo. Si tratta, in una logica inclusiva, di integrare la dimensione sinora eccezionale del pensiero logico scientifico con le altre che ne sono ancora alla base, riconoscendo la loro importanza e iniziando a valutare le distorsioni che la loro rimozione ha provocato nella visione dominante del mondo; ne risulta un paradigma complesso in cui le sfere corporea-emozionale, simbolico-immaginale e razionale sono in continua interazione/tensione dinamica, dal quale sarebbe legittimo aspettarsi una nuova possibilità di futuro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.